Il filosofo di campagna, libretto, Bologna, Sassi, 1770

 tenero core onesto
 per voi serbo nel petto.
855Ardo solo per voi di puro affetto.
 NARDO
 (Impossibile par ch’ella m’inganni).
 LESBINA
 Tenera sono d’anni
 ma ho cervello che basta e so ben io
 che di vivere ancor non può il cor mio.
860Voi siete il mio sposino
 e se amico il destino a voi mi dona,
 anche un re lascierei colla corona.
 NARDO
 S’ella fosse così...
 LESBINA
                                  Così è purtroppo.
 Ma voi siete pentito
865d’essere mio marito,
 qualch’altra donna amate
 e per questo, crudel, mi discacciate.
 NARDO
 No, ben mio, mia carina,
 siete la mia sposina e se colui
870o m’inganna o v’inganna o fu ingannato,
 dell’inganno sarà disingannato.
 LESBINA
 Dunque m’amate?
 NARDO
                                     Sì, v’amo da vero.
 LESBINA
 Siete l’idolo mio.
 NARDO
                                  Siete il mio amore.
 
 SCENA XI
 
 LENA, EURILLA e detti
 
 LENA
 Signor zio, che cosa fate? Lontano
875discacciate colei
 che a ingannarvi s’impegna;
 d’essere vostra sposa non è degna.
 EURILLA
 Cacciatela lontan, mentre non merta
 che voi prestiate fede a’ detti suoi;
880che già v’inganni lo vedete voi.
 LESBINA
 (Qualche imbroglio novello!)
 NARDO
                                                       Ha forse altrui
 data la fé di sposa?
 LENA
                                      Eh, signor no;
 quel ch’io dico lo so per cosa vera,
 ella di don Tritemio è cameriera.
 LESBINA
885(Ah, maledetta).
 EURILLA
                                 È vero, è vero.
 Con quest’arte, padron, lei si lusinga
 comprare il vostro core.
 NARDO
 (Puol darsi ch’ella finga).
 È ver quel ch’ella dice? (A Lesbina)
 LESBINA
890Ah misera infelice!
 Compatite se tanto
 amor mi rese ardita.
 Finsi il grado, egli è ver, perché v’adoro;
 per voi languisco e moro;
895confesso il mio fallire.
 Ma voglio essere vostra o pur morire.
 NARDO
 (Poverina!)
 LENA
                         Vi pare
 che convenga sposare
 a un uomo come voi femmina tale?
 NARDO
900Non ci vedo alcun male;
 per me nel vostro sesso
 serva o padrona sia, tutto è l’istesso.
 EURILLA
 Padron mio, vi vuo’ dir una cosa;
 vi mancano partiti
905per satollar l’insaziabil amore?
 Io invece di lei vi dono il core.
 LESBINA
 Deh per pietà donate
 perdono all’error mio.
 NARDO
 Se mi amate di cor, v’adoro anch’io.
910Per me sostengo e dico,
 ed ho la mia ragione,
 che sia la condizione un accidente.
 Sposar una servente,
 che cosa importa a me, s’è bella e buona?
915Peggio assai s’è cattiva la padrona.
 
    Il mio nonno mi diceva
 un racconto molto bello:
 «Nardo caro, sta’ in cervello,
 se tu moglie dei pigliar».
 
920   Primo capite.
 «Bada ben che non sia nobile,
 che ti puoi precipitar,
 perché vonno i cicisbei
 la signora corteggiar».
 
925   Secondo capite.
 «Se la prendi un poco bella,
 li dei far la sentinella,
 a cagion de’ cascamorti
 che corteggio li von far».
 
930   Terzo capite.
 «Se corregger vuoi costei,
 fuor di qui fuggir tu dei
 e duecento bastonate
 le potrai allor contar».
 
935   Quinto capite.
 Nel quarto e quinto capite,
 parlando da filosofo,
 con ragion sottilissime,
 pigliate d’Aristotile
940nel capo settuagesimo,
 al libro Naturalibus,
 parlando delle femmine,
 de matrimonialibus,
 che debbano sempr’essere
945de paribus cum paribus.
 E questo è un gran capitolo,
 che se si fa il contrario
 tra l’uomo e tra la femmina
 discordia vi sarà. (Via)
 
 LENA
950Mio zio ricco sfondato
 non si puole scordar che vile è nato.
 EURILLA
 La gatta ben vestita fa così,
 stringe il busto e con aria si contorce,
 poi si scorda del lusso e prende il sorce.
 LESBINA
955Signora, mi rincresce
 ch’ella serva sarà e lei nipote
 d’una senza natali e senza dote.
 LENA
 Certo che il zio poteva
 maritarsi con miglior proprietà.
 EURILLA
960Se si fa il matrimonio in verità,
 signora, non vi servo più;
 son giovane di buon core ed amorosa;
 ma questa volta
 senza serva sarà, signora sposa.
 
965   Una donna come me
 non vi fu né vi sarà.
 
    Io son tutta amore e fé,
 io son tutta carità. (Via)
 
 LESBINA
 Che nella nobiltà
970resti pregiudicata,
 certo, è un peccato. Imparentarmi
 arrossire dovrei
 con una contadina come lei.
 LENA
 Son contadina, è vero,
975ma d’accasarmi spero
 con un uomo civil, poiché del pari
 talor di nobiltà vanno i danari.
 LESBINA
 Udita ho una novella
 d’un somar che solea
980con pelle di leone andar coperto;
 ma poi dal suo ragghiar l’hanno scoperto.
 Così voi vi coprite
 talor con i danari
 ma siete nel parlar sempre somari. (Via)
 LENA
985Se fosse in casa mia
 questa signora zia, confesso il vero,
 non mi starei con essa un giorno intero.
 
    Son fanciulla da marito
 e lo voglio, già si sa;
990son graziosa, spiritosa,
 tutta piena di bontà.
 
    Se ritrovo un giovinetto,
 spiritoso e graziosetto,
 voglio godermela,
995voglio spassarmela,
 vuo’ divertirmela
 fin che si può.
 
 SCENA XII
 
 Camera.
 
 DON TRITEMIO e LESBINA
 
 DON TRITEMIO
 Che ardir, che petulanza!
 Questo signor Rinaldo è un temerario;
1000gli ho detto civilmente
 ch’Eugenia è andata via,
 egli viene a bravarmi in casa mia.
 LESBINA
 Povero innamorato! Il compatisco.
 DON TRITEMIO
 Brava; lo compatisci?
 LESBINA
                                          Anch’io d’amare
1005provo il desio, desio però modesto
 e s’altri compatisco, egli è per questo.
 DON TRITEMIO
 Ami ancor tu, Lesbina?
 LESBINA
                                             Da quest’occhio
 lo potete arguire.
 DON TRITEMIO
 Ma chi...
 LESBINA
                   Basta...
 DON TRITEMIO
                                   Ma chi...
 LESBINA
                                                     Nol posso dire.
 DON TRITEMIO
1010Eh t’intendo, furbetta.
 Basta Lesbina, aspetta
 ch’Eugenia se ne vada
 a fare i fatti suoi
 ed allor penseremo anche per noi.
 LESBINA
1015Per me come per lei
 si potrebbe pensar nel tempo istesso.
 DON TRITEMIO
 Via, pensiamoci adesso,
 quando il notaro viene,
 ch’ho mandato a chiamar per la figliuola,
1020farem due cose in una volta sola.
 LESBINA
 Ecco il notaro appunto
 e v’è Nardo con lui.
 DON TRITEMIO
                                      Vengono a tempo.
 Vado a prender Eugenia e in un momento
 farem due matrimoni e un istromento.
 LESBINA
1025Oh se sapessi il modo
 di burlare il padron, farlo vorrei.
 
 SCENA XIII
 
 NARDO, CAPOCCHIA e detta
 
 NARDO
 Lesbina, eccoci qui, se don Tritemio
 ch’ha mandati a chiamar perché vi sposi,
 lo farò volentier ma non vorrei
1030che mi nascesse qualche parapiglia,
 qualche imbroglio novel tra serva e figlia.
 LESBINA
 La cosa è accomodata
 e la figlia sposata
 sarà col cavalier che voi sapete
1035ed io vostra sarò, se mi volete.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà a momenti.
 Signor notaro, intanto
 prepari bello e fatto
 per un paio di nozze il suo contratto.
 CAPOCCHIA
1040Come? Un contratto solo
 per doppie nozze? Ohibò;
 due contratti farò, se piace a lei,
 che non vuo’ dimezzar gli utili miei.
 LESBINA
 Ma facendone un solo,
1045avrete doppia paga.
 CAPOCCHIA
 Quand’è così, questa ragion m’appaga.
 NARDO
 Mi piace questa gente,
 della ragione amica,
 ch’ama il guadagno ed odia la fatica.
 LESBINA
1050Presto dunque, signore,
 fin che viene il padrone
 a scriver principiate.
 CAPOCCHIA
 Bene, principierò;
 ma che ho da far?
 LESBINA
                                    Scrivete, io detterò.
 CAPOCCHIA
 
1055   In questo giorno etcaetera,
 dell’anno mille etcaetera,
 promettono, si sposano,
 i nomi quali son? (A Lesbina)
 
 LESBINA
 
 I nomi sono questi...
1060(Ohimè, viene il padron).
 
 SCENA XIV
 
 DON TRITEMIO e detti
 
 DON TRITEMIO
 Ehi Lesbina.
 LESBINA
                           Signore.
 DON TRITEMIO
 Eugenia non ritrovo,
 sai tu dov’ella sia? (Confuso)
 LESBINA
                                     No, certamente.
 DON TRITEMIO
 Tornerò a ricercarla immantinente.
 NARDO
1065Terminiamo l’affar.
 CAPOCCHIA
                                       Scrivo, dettate.
 
 Quartetto
 
    In questo giorno etcaetera
 dell’anno mille etcaetera,
 promettono, si sposano,
 i nomi quali son? (A Lesbina)
 
 LESBINA
 
1070I nomi sono questi:
 Eugenia con Rinaldo
 dei conti di Pancaldo.
 
 NARDO
 
 Dei Trotoli Lesbina
 con Nardo Ricottina.
 
 CAPOCCHIA
 
1075Promettono, si sposano.
 La dote qual sarà?
 
 LESBINA
 
    La dote della figlia
 saranno mille scudi.
 
 CAPOCCHIA
 
 Eugenia mille scudi,
1080pro dote, cum etcaetera.
 
 NARDO
 
 La serva quanto avrà?
 
 LESBINA
 
 Scrivete. Della serva
 la dote eccola qua.
 
    Due mani ben leste
1085che tutto san far.
 
 NARDO
 
 Scrivete; duemila
 si puon calcolar.
 
 LESBINA
 
    Un occhio modesto,
 un animo onesto.
 
 NARDO
 
1090Scrivete, seimila
 li voglio apprezzar.
 
 LESBINA
 
    Scrivete, una lingua
 che sa ben parlar.
 
 NARDO
 
 Cessate, fermate,
1095seimila per questo
 ne voglio levar.
 
 CAPOCCHIA
 
    Duemila, seimila,
 buttati tremila,
 saran cinquemila;
1100ma dite, di che?
 
 LESBINA, NARDO
 
 Contenti ed affetti,
 diletti per me.
 
 A TRE
 
    Ciascuno lo crede,
 ciascuno lo vede
1105che dote di quella
 più bella non v’è.
 
 DON TRITEMIO
 
    Corpo di satanasso,
 cieli, son disperato,
 ah m’hanno assassinato;
1110arde di sdegno il cor.
 
 LESBINA
 
    Il contratto è bello e fatto.
 
 CAPOCCHIA
 
 Senta, senta, mio signor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Dove la figlia è andata?
 Dove me l’han portata?
1115Empio Rinaldo, indegno,
 perfido, traditor.
 
 CAPOCCHIA
 
    Senta, senta mio signor.
 
 DON TRITEMIO
 
 Empio.
 
 CAPOCCHIA
 
                 Senta.
 
 DON TRITEMIO
 
 Perfido.
 
 CAPOCCHIA
 
                  Senta.
 
 DON TRITEMIO
 
1120Sospendete.
 Me l’ha fatta il traditor.
 
 LESBINA
 
    Dov’è Eugenia?
 
 DON TRITEMIO
 
                                   Non lo so.
 
 LESBINA
 
 Se n’è ita?
 
 DON TRITEMIO
 
                       Se n’andò.
 
 CAPOCCHIA
 
 Due contratti?
 
 DON TRITEMIO
 
                              Signor no.
 
 CAPOCCHIA
 
1125   Lascio Eugenia cum etcaetera,
 non sapendosi, etcaetera,
 se sia andata o no, etcaetera.
 
 A QUATTRO
 
    Oh che caso, che avventura!
 Si sospenda la scrittura,
1130che da poi si finirà.
 
    Se la figlia fu involata,
 a quest’ora è maritata
 e presente la servente
 questa ancor si sposerà.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 
 SCENA PRIMA
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
1135Misera, a che m’indusse
 un eccesso d’amor! Tremo, pavento,
 parlar mi sento al core
 giustamente sdegnato il genitore.
 RINALDO
 Datevi pace; alfine
1140siete con chi v’adora;
 siete mia sposa.
 EUGENIA
                                Ah! Non lo sono ancora.
 RINALDO
 Venite al tetto mio, colà potrassi
 compire al rito e con gli usati modi
 celebrare i sponsali.
 EUGENIA
1145Ove s’intese mai che onesta figlia
 a celebrare andasse
 dello sposo in balia nozze furtive?
 RINALDO
 Tutto farò per compiacervi o cara;
 eleggete l’albergo ove pensate
1150d’essere più sicura;
 l’onor vostro mi cale, io n’avrò cura.
 
 SCENA II
 
 LENA e detti
 
 LENA
 Questa, se non m’inganno, (A parte)
 di don Tritemio è la figliuola.
 EUGENIA
                                                        Dite,
 pastorella gentile, è albergo vostro
1155questo di dove uscite?
 LENA
                                           Sì signora.
 EUGENIA
 Altri vi son?
 LENA
                          Per ora
 altri non v’è che io
 ed un uomo da ben qual è mio zio.
 RINALDO
 Siete voi maritata?
 LENA
1160Sono fanciulla ancora
 ma d’esserla son stanca.
 RINALDO
 (Sia malizia o innocenza, ell’è assai franca).
 EUGENIA
 Di grazia pregarvi
 vorrei, se non sdegnate.
 LENA
1165Dite pur, comandate.
 EUGENIA
 Vorrei nel vostro tetto
 passar per un momento.
 LENA
 Sola passate pur, che mi contento.
 RINALDO
 Perché sola? Son io,
1170pastorella gentile, il di lei sposo.
 LENA
 Da vero? Compatite,
 ho ancor qualche sospetto;
 perché non la menate al vostro tetto?
 RINALDO
 Vi dirò...
 EUGENIA
                    Non ancora
1175son contratti i sponsali.
 (Correre una bugia lasciar non voglio).
 LENA
 (Me n’avvidi che v’era qualch’imbroglio).
 EUGENIA
 Deh! Per pietà vi prego.
 LENA
 (Mi fa pietà). Sentite,
1180v’offro l’albergo mio ma con un patto
 che subito sul fatto,
 in mia presenza e d’altro testimonio
 si faccia e si concluda il matrimonio.
 EUGENIA
 Sì sì, ve lo prometto,
1185andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
 LENA
 Precedetemi voi, questa è la strada.
 EUGENIA
 Andiam, Rinaldo amato,
 l’innocente desio secondi il fato.
 
    Che più bramar poss’io?
1190Che più dal ciel aspetto?
 Andrò co’ mio diletto
 la pace ad incontrar. (Entra)
 
 RINALDO
 Ninfa gentile, al vostro amor son grato,
 in braccio al mio contento
1195per voi andrò. (Partendo)
 LENA
                              Fermatevi un momento.
 Se grato esser volete,
 qualche cosa potrete
 fare ancora per me.
 RINALDO
                                       Che non farei
 per chi fu sì pietosa a’ desir miei?
 LENA
1200Son contadina, è vero,
 ma ho massime civili e buona dote;
 son di Nardo nipote,
 maritar mi vorrei con civiltà;
 da voi, che siete cavalier compito,
1205secondo il vostro genio spero marito.
 RINALDO
 Ritrovar si potrà.
 LENA
                                  Ma fate presto.
 Se troppo in casa resto
 col zio, che poco pensa alla nipote,
 perdo e consumo invan la miglior dote.
 
1210   Ogni anno passa un anno,
 l’età non torna più;
 passar la gioventù
 io non vorrei così;
 ci penso notte e dì.
 
1215   Vorrei un giovinetto,
 civile e graziosetto,
 che non dicesse no,
 quand’io gli chiedo un sì. (Entra)
 
 RINALDO
 Di Nardo nell’albergo,
1220che fu già mio rival, mi porta il fato.
 Ma Nardo ho ritrovato
 meco condescendente e non pavento
 ed ho cor d’incontrar ogni cimento.
 
    Guerrier, che valoroso
1225nell’assalir si veda,
 quando ha in poter la preda
 perderla non saprà. (Entra)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO solo
 
 DON TRITEMIO
 Figlia, figlia sgraziata,
 dove sei? Non ti trovo. Ah se Rinaldo
1230mi capita alle mani
 lo voglio sbranar come l’orso i cani.
 
 SCENA IV
 
 LENA, che esce di casa, e detto
 
 LENA
 Signor, che cosa avete
 che sulle furie siete?
 Fin là dentro ho sentito
1235che siete malamente inviperito.
 DON TRITEMIO
 Ah! Sono assassinato,
 m’han la figlia involato;
 non la trovo. Non so dov’ella sia.
 LENA
 E non v’è altro?
 DON TRITEMIO
                                Una minchioneria.
 LENA
1240Eugenia vostra figlia
 è in sicuro, signor, ve lo prometto,
 è collo sposo suo nel nostro tetto.
 DON TRITEMIO
 Là dentro?
 LENA
                       Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Con lo sposo?
 LENA
                            Con lui.
 DON TRITEMIO
                                             Ma Nardo adunque?
 LENA
1245Nardo mio zio l’ha a caro,
 per ordin suo vo a prender il notaro.
 DON TRITEMIO
 Oh questa sì ch’è bella!
 Nardo, a cui l’ho promessa,
 me l’ha fatta involar, per qual ragione?
1250Sì sì, l’ha fatta da politicone.
 
 SCENA V
 
 NARDO e detto
 
 NARDO
 (Io crepo dalle risa).
 DON TRITEMIO
 (Eccolo qui l’amico).
 NARDO
                                        (Ecco il buon padre!)
 DON TRITEMIO
 Galantuomo, che fa la figlia mia?
 NARDO
 Bene, al comando di vossignoria.
 DON TRITEMIO
1255Il rapirla mi pare un’insolenza.
 NARDO
 La cosa è fatta e vi vorrà pacienza.
 DON TRITEMIO
 E lei quella sfacciata
 cosa dice di me?
 NARDO
                                 Non dice niente.
 DON TRITEMIO
 Non teme il padre?
 NARDO
                                      Non l’ha neanco in mente.
 DON TRITEMIO
1260Basta, chi ha fatto il male
 farà la penitenza.
 Dote non ne darò, certo certissimo.
 NARDO
 Sì sì, fate benissimo.
 Stimo quei genitori,
1265che profittan dai figli negli errori.
 DON TRITEMIO
 L’ho trovata alla fin e ciò mi basta.
 Dopo il fatto si loda,
 chi l’ha avuta l’ha avuta e se la goda.
 
    Da me non speri
1270nemmeno un soldo,
 se il manigoldo
 vedessi lì.
 
    Se se n’è andata,
 lei s’è sposata,
1275da me non venga,
 non verrò qui.
 
    Chi ha avuto ha avuto,
 chi ha fatto ha fatto,
 non son sì matto,
1280non vuo’ gettare
 né vuo’ dotare
 la figlia ardita
 che se n’è gita
 da me così. (Via)
 
 NARDO
1285A Rinaldo per ora
 basterà la consorte;
 poi dopo la sua morte il padre avaro
 a suo dispetto lascierà il danaro.
 
 SCENA VI
 
 LENA, CAPOCCHIA e detto
 
 LENA
 Venite a stipulare
1290delle nozze il contratto.
 CAPOCCHIA
 Eccolo qui, l’avevo mezzo fatto.
 NARDO
 Andate in casa mia,
 l’opera terminate,
 l’ordine seguitate
1295dei due sponsali in un contratto espressi,
 colle stesse notizie e i nomi stessi.
 CAPOCCHIA
 Sì signor, si farà
 ma poi chi pagherà?
 NARDO
                                        Bella domanda!
 Pagherà chi è servito e chi comanda.
 LENA
1300Sentite, se si fa
 la scrittura in casa mia,
 voglio la sensaria.
 CAPOCCHIA
                                   Come?
 LENA
                                                   Dirò,
 se mi mariterò,
 come spero di farlo prestamente,
1305la scrittura m’avete a far per niente.
 CAPOCCHIA
 Vostra nipote è avara, come voi.
 NARDO
 Credetemi, lo fa senza malizia.
 Delle donne è un costume l’avarizia.
 CAPOCCHIA
 Son lente nello spendere,
1310egli è vero, ma son leste nel prendere.
 
    Voi che filosofo
 chiamato siete,
 dirmi saprete
 come si dia
1315di simpatia
 forza e virtù.
 
    La calamita
 tira l’acciaro,
 tira l’avaro
1320l’oro ancor più. (Entra)
 
 NARDO
 Nato son contadino,
 non ho studiato niente
 ma però colla mente
 talor filosofando a discrezione
1325trovo di molte cose la ragione;
 e vedo chiaramente
 che interesse, superbia, invidia e amore
 hanno la fonte lor nel nostro core.
 
 SCENA VII
 
 LESBINA e detto
 
 LESBINA
 Ma cappari si vede,
1330affé, che mi volete poco bene;
 nel giardino v’aspetto e non si viene?
 NARDO
 Un affar di premura
 m’ha trattenuto un poco;
 concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
1335Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro ei scrive
 il solito contratto.
 Due matrimoni si faranno a un tratto.
 Porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
1340invochiamo Cupido in testimonio.
 
 Duetto
 
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
 deh testimoni siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
1345   Alberi, piante e fiori,
 i vostri ascosi ardori
 insegnino a due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
1350«Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama la sposa ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella
 graziosa e bella
1355il suo compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
 due piante unite
 a’ sposi insegnino
1360la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
1365   Rondone fido,
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto. (S’abbracciano)
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto,
 vite amorosa,
1370diletta sposa.
 
 LESBINA
 
    Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor.
 
1375   Io son la rondinella.
 
 NARDO
 
 Ed il rondone io sono.
 
 LESBINA
 
 No non si trova,
 più bella pace,
 più caro ardor.
 
 SCENA VIII
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
1380Diammane, ch’ho sentito?
 Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia;
 che la filosofia
 colle ragioni sue
1385accordasse ad un uom sposarne due?
 Quel che pensar non so...
 All’uscio io picchierò, verranno fuori,
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA IX
 
 LENA in finestra e detto
 
 LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
1390cosa si fa là dentro?
 LENA
 Finito è l’istromento.
 Si fan due matrimoni;
 fra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
1395se comanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto, mi vien caldo.
 LENA
 E l’altra, padron mio,
1400è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina? Ohimè! No, non lo credo.
 LENA
 Eccoli tutti quattro.
 TRITEMIO
                                      Ahi cosa vedo!
 
 CORO
 
 EUGENIA
 
    Ah genitor, perdona.
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà.
 
 LESBINA
 
1405   Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Questa è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi, scellerati,
 vi siete accomodati.
 Senza la figlia resto,
1410senza la sposa resto;
 che bella carità!
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme (A Tritemio)
 con una sposa assieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
1415   Per far dispetto a lei, (Per Eugenia)
 per disperar costei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
1420amore al core
 piacer dovrà.
 
 
 Fine
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Drama giocoso per musica da rappresentarsi nel teatro di questa elettorale corte nel mese di febbraio 1764, per commando di sua altezza eminentissima elettorale Massimiliano Frederico, arcivescovo di Colonia, principe ed elettore del sacro romano impero, arcicancelliere in Italia, legato nato della sede aspostolica, vescovo e principe di Münster, duca di Westphalia ed Angaria, conte di Königsegg Rottenfels, burggravio di Stromberg, signore d’Odenkirchen, Borkelohe, Werth, Aulendorff e Stauffen, eccetera, eccetera, per la direzzione del signor Angelo Mingotti, direttore dell’opere italiane.
    In Münster, presso il Giuseppe Hermann Kördinck, nella stamparia di sua altezza eminentissima elettorale.
 
 
 Altezza eminentissima elettorale,
    quel ardentissimo desiderio che ho sempre mai nudrito di far palese al mondo tutto l’innalterabile e dovuta mia venerazione per questa elettorale corte ho avuta la bella sorte di dimostrarlo in quest’occasione che godo l’alto onore di servire all’altezza vostra eminentissima elettorale e con l’abbandono dell’Italia ed altre corti della Germania, essendo stimato il vostro merito o gran principe incomparabile per tutti i titoli da chiunque e con parziale distinctione da me.
    È tale e tanta la clemenza ed umiltà di vostra altezza eminentissima elettorale verso chiunque che mi fa coraggio (contro ogni mia voglia) d’esporre sopra questo teatro alla vista d’un principe di tanto merito ed intelligenza uno spettacolo (abbenché non intieramente completto) e per retta consequenza non degno della presenza dell’altezza vostra emimentissima elettorale.
    Un vostro commando mi fa ubbidire. Eccolo adunque che ve lo presento e pongo sotto la souvranna vostra protezzione, per essere (ancor che immeritevole) protetto dalla souvranna autorità e padronanza di vostra altezza eminentissima elettorale, mediante la qual protezzione spero di diffenderlo da quella tassa temo abbia (per sola mia mancanza) a meritarsi da questo abenché grazioso auditorio.
    Non altro a me s’aspetta che supplicare genuflesso l’altezza vostra eminentissima elettorale d’un generoso perdono e compatimento a’ mie mancanze promettendo ed assicurando vostra altezza eminentissima elettorale che in avenire averò l’onore d’esporre al vostro gran merito opere più degne della vostra approvazione, a’ piedi di cui con profondissimo osequio mi fo l’onore di dichiararmi di vostra altezza eminentissima elettorale umilissimo, devotissimo, obsequiosissimo servitore.
 
    Angelo Mingotti, direttore dell’opere italiane
 
 
 PERSONAGGI
 
 EUGENIA figlia di donna Alcea
 (la signora Marianna De Grandis di Roma)
 RINALDO gentiluomo amante di Eugenia
 (la signora Marianna De Padulli, virtuosa della Capella di sua altezza eminentissima elettorale di Colonia)
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Francesco De Grandis di Roma)
 LESBINA cameriera di casa di donna Alcea
 (la signora Francesca Mucci di Roma)
 LA LENA nipote di Nardo
 (la signora Caterina Isola di Bologna)
 DONNA ALCEA cittadina abbitante in villa
 (la signora Anna Isola di Genova)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (il signor N.N.)
 
    La poesia del signor dottore Carlo Goldoni. La musica è del celebre signor Baldissera Galluppi detto il Buranello.
 
 
 DECORAZIONI
 
    Atto primo: giardino; casa rustica in campagna; salotto con diverse porte.
    Atto secondo: camera; casa rustica sudetta; camera sudetta.
    Atto terzo: casa rustica sudetta.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di donna Alcea.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto a una madre
20asprissima e severa
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho quel suo core.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25la intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlareste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nella età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la ritrosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata!
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Pria di lasciar la sponda
 mira il nocchier attento
55come s’increspa l’onda,
 dove più spira il vento
 e poi s’espone al mar.
 
    E alle procelle appresso
 sprezza quel’onda irata,
60sdegna quel vento istesso
 di cui potea tremar.
 
 SCENA II
 
 LESBINA e DONNA ALCEA
 
 LESBINA