La favola de’ tre gobbi, libretto, Praga, Pruscha, [1760] (Madama Vezzosa)

 EZIO
                          L’imperator finora
 dunque non sa ch’io t’amo?
 MASSIMO
                                                     Il vostro amore
 per tema io gli celai.
 EZIO
                                        Questo è l’errore.
180Cesare non ha colpa. Al nome mio
 avria cangiato affetto. Egli conosce
 quanto mi deve; e sa ch’opra da saggio
 l’irritarmi non è.
 FULVIA
                                  Tanto ti fidi?
 Ezio, mille timori
185mi turban l’alma. È troppo amante Augusto;
 troppo ardente tu sei. Rifletti, oh dio,
 pria di parlar. Qualche funesto evento
 mi presagisce il cor. Nacqui infelice
 e sperar non mi lice
190che la sorte per me giammai si cangi.
 EZIO
 Son vincitor; sai che t’adoro e piangi?
 
    Pensa a serbarmi, o cara,
 i dolci affetti tuoi;
 amami e lascia poi
195ogni altra cura a me.
 
   Tu mi vuoi dir col pianto
 che resti in abbandono.
 No, così vil non sono;
 e meco ingrato tanto
200no, Cesare non è. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
 È tempo, o genitore,
 che uno sfogo conceda al mio rispetto.
 Tu pria d’Ezio all’affetto
 prometti la mia destra; indi m’imponi
205ch’io soffra, ch’io lusinghi
 di Cesare l’amore; e m’assicuri
 che di lui non sarò. Servo al tuo cenno;
 credo alla tua promessa; e quando spero
 d’Ezio stringer la mano,
210ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
 Io d’ingannarti, o figlia,
 mai non ebbi il pensier. T’accheta. Alfine
 non è il peggior de’ mali
 il talamo d’Augusto.
 FULVIA
                                       E soffrirai
215ch’abbia sposa la figlia
 chi della tua consorte
 insultò l’onestà? Così ti scordi
 le offese dell’onor? Così t’abbagli
 del trono allo splendor?
 MASSIMO
                                             Vieni al mio seno,
220degna parte di me. Quell’odio illustre
 merita ch’io ti scopra
 ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
 dell’onor mio dissimulai le offese.
 Perde l’odio palese
225il luogo alla vendetta. Ora è vicina;
 eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
 tu puoi svenarlo; o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
230posso a Cesare offrirmi
 coll’idea di tradirlo? Il reo disegno
 mi leggerebbe in faccia. a’ gran delitti
 è compagno il timor. L’alma ripiena
 tutta della sua colpa
235teme sé stessa. È qualche volta il reo
 felice sì, non mai sicuro. E poi
 vindice di sua morte
 il popolo saria.
 MASSIMO
                              L’odia ciascuno;
 vano è il timor.
 FULVIA
                               T’inganni; il volgo insano
240quel tiranno talora,
 che vivente abborrisce, estinto adora.
 MASSIMO
 Tu l’odio mi rammenti e poi dimostri
 quell’istessa freddezza
 che disapprovi in me!
 FULVIA
                                           Signor, perdona
245se libera ti parlo. Un tradimento
 io non consiglio, allora
 che una viltà condanno.
 MASSIMO
                                              Io ti credea,
 Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
 di colpa e di virtù lacci servili,
250utili all’alme vili,
 inutili alle grandi.
 FULVIA
                                    Ah, non son questi
 que’ semi di virtù che in me versasti
 da’ miei primi vagiti infino ad ora.
 M’inganni adesso o m’ingannasti allora?
 MASSIMO
255Ogni diversa etade
 vuol massime diverse. Altro a’ fanciulli,
 altro agli adulti è d’insegnar permesso.
 Allora io t’ingannai.
 FULVIA
                                       M’inganni adesso.
 Che l’odio della colpa,
260che l’amor di virtù nasce con noi,
 che da’ principi suoi
 l’alma ha l’idea di ciò che nuoce o giova,
 mel dicesti; io lo sento; ognun lo prova.
 E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
265quando togliermi tenti
 l’orror d’un tradimento, orror ne senti.
 Ah! Se cara io ti sono,
 pensa alla gloria tua, pensa che vai...
 MASSIMO
 Taci, importuna; io t’ho sofferta assai.
270Non dar consigli; o consigliar se brami,
 le tue pari consiglia.
 Rammenta ch’io son padre e tu sei figlia.
 FULVIA
 
    Caro padre, a me non dei
 rammentar che padre sei;
275io lo so; ma in questi accenti
 non ritrovo il genitor.
 
    Non son io chi ti consiglia;
 è il rispetto d’un regnante,
 è l’affetto d’una figlia,
280è il rimorso del tuo cor. (Parte)
 
 SCENA V
 
 MASSIMO solo
 
 MASSIMO
 Che sventura è la mia! Così ripiena
 di malvagi è la terra e quando poi
 un malvagio vogl’io, son tutti eroi.
 Un oltraggiato amore
285d’Ezio gli sdegni ad irritar non basta.
 La figlia mi contrasta... Eh di riguardi
 tempo non è. Precipitare omai
 il colpo converrà; troppo parlai.
 Pria che sorga l’aurora,
290mora Cesare, mora. Emilio il braccio
 mi presterà. Che può avvenirne? O cade
 Valentiniano estinto e pago io sono;
 o resta in vita ed io farò che sembri
 Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto,
295invido alla sua gloria,
 rivale all’amor suo, senz’opra mia
 il reo lo crederà. S’altro succede,
 io saprò dagli eventi
 prender consiglio. Intanto
300il commettersi al caso
 nell’estremo periglio
 è il consiglio miglior d’ogni consiglio.
 
    Il nocchier che si figura
 ogni scoglio, ogni tempesta
305non si lagni se poi resta
 un mendico pescator.
 
    Darsi in braccio ancor conviene
 qualche volta alla fortuna,
 che sovente in ciò che avviene
310la fortuna ha parte ancor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l’applauso popolar? Serbava in volto
315la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Questo narrami, o Varo, e non le imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi, più che di lui,
320la germana d’Augusto
 curiosa io credei. Sembrano queste
 sì minute richieste
 d’amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
325misera servitù. Due volte appena
 s’ode da’ labbri nostri
 un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue geste e vanno
330d’Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
 nel soggiorno è rimasta;
 non v’accorse, nol vide; e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d’amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
335al tuo lungo servir tollero, o Varo,
 di parlarmi così. Ma la distanza,
 ch’è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d’Ezio il valor; Roma l’adora; il mondo
340pieno è del nome suo; fino i nemici
 ne parlan con rispetto;
 ingiustizia saria negargli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
345esagerar così. Cesare è troppo
 d’indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, uffizio grato
 all’amico non rendi.
 Chi sa, potrebbe un dì... Varo, m’intendi.
 VARO
350Io, che son d’Ezio amico,
 più cauto parlerò; ma tu, se l’ami,
 mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell’ardire
355può innamorarti,
 perché arrossire,
 perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
360   Chi si fe’ chiaro
 per tante imprese
 già grande al paro
 di te si rese;
 già della sorte
365si vendicò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ONORIA sola
 
 ONORIA
 Importuna grandezza,
 tiranna degli affetti, e perché mai
 ci neghi, ci contrasti
 la libertà d’un ineguale amore,
370se a difender non basti il nostro core?
 
    Quanto mai felici siete,
 innocenti pastorelle
 che in amor non conoscete
 altra legge che l’amor!
 
375   Ancor io sarei felice,
 se potessi all’idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch’io bramo
380seco parlar, che qui l’attendo. (Ad una comparsa che, ricevuto l’ordine, parte) Amico,
 comincia ad adombrarmi
 la gloria di costui. Ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberatore; egli sé stesso
385troppo conosce. Assicurarmi io deggio
 della sua fedeltà. Voglio d’Onoria
 al talamo innalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all’eccesso
390l’idolatria del volgo. Omai si scorda
 quasi del suo sovrano;
 e un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele e il dubitarne è vano;
395se però tal non fosse, a me parrebbe
 mal sicuro riparo
 tanto innalzarlo.
 VALENTINIANO
                                 Un sì gran dono ammorza
 l’ambizion d’un’alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l’accende.
 Quando è vasto l’incendio, è l’onda istessa
400alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
 sicurezza miglior? Vuoi ch’io m’impegni
 su l’orme de’ tiranni e ch’io divenga
 all’odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
405è il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante
 più l’odio che l’amor. Con chi l’offende
 ha più ragion d’esercitar l’impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero.
 Chi fa troppo temersi
410teme l’altrui timor. Tutti gli estremi
 confinano fra loro. Un dì potrebbe
 il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d’ogni altro
415sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi
 un lume ignoto a noi. Parlai finora
 per zelo sol del tuo riposo; e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi infin che è lieve.
 
420   Se povero il ruscello
 mormora lento e basso,
 un ramoscello, un sasso
 quasi arrestar lo fa.
 
    Ma se alle sponde poi
425gonfio d’umor sovrasta,
 argine oppor non basta;
 e co’ ripari suoi
 torbido al mar sen va. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VALENTINIANO, poi EZIO
 
 VALENTINIANO
 Del ciel felice dono
430sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
 ma sembra il trono istesso
 dono infelice a chi gli sta dappresso.
 EZIO
 Eccomi al cenno tuo.
 VALENTINIANO
                                        Duce, un momento
 non posso tollerar d’esserti ingrato.
435Il Tebro vendicato,
 la mia grandezza, il mio riposo e tutto
 del senno tuo, del tuo valore è frutto.
 Se prodigo ti sono
 anche del soglio mio, rendo e non dono;
440onde in tanta ricchezza, allor che bramo
 ricompensare un vincitore amico,
 trovo, chi ’l crederia? ch’io son mendico.
 EZIO
 Signor, quando fra l’armi
 a pro di Roma, a pro di te sudai,
445nell’opra istessa io la mercé trovai.
 Che mi resta a bramar? L’amor d’Augusto
 quando ottener poss’io,
 basta questo al mio cor.
 VALENTINIANO
                                              Non basta al mio.
 Vuo’ che il mondo conosca
450che, se premiarti appieno
 Cesare non poté, tentollo almeno.
 Ezio, il cesareo sangue
 s’unisca al tuo. D’affetto
 darti pegno maggior non posso mai.
455Sposo d’Onoria al nuovo dì sarai.
 EZIO
 (Che ascolto!)
 VALENTINIANO
                             Non rispondi?
 EZIO
                                                          Onor sì grande
 mi sorprende a ragion. D’Onoria il grado
 chiede un re, chiede un trono;
 ed io regni non ho, suddito io sono.
 VALENTINIANO
460Ma un suddito tuo pari
 è maggior d’ogni re. Se non possiedi,
 tu doni i regni; e il possederli è caso;
 il donarli è virtù.
 EZIO
                                  La tua germana,
 signor, deve alla terra
465progenie di monarchi; e meco unita
 vassalli produrrà. Sai che con questi
 ineguali imenei
 ella a me scende, io non m’innalzo a lei.
 VALENTINIANO
 Il mondo e la germana
470nell’illustre imeneo punto non perde;
 e se perdesse ancor, quando all’imprese
 d’un eroe corrispondo,
 non può lagnarsi e la germana e il mondo.
 EZIO
 No, consentir non deggio
475che comparisca Augusto,
 per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.
 VALENTINIANO
 Duce, fra noi si parli
 con franchezza una volta. Il tuo rispetto
 è un pretesto al rifiuto. Alfin che brami?
480Forse è picciolo il dono? O vuoi per sempre
 Cesare debitor? Superbo al paro
 di chi troppo richiede
 è colui che ricusa ogni mercede.
 EZIO
 E ben, la tua franchezza
485sia d’esempio alla mia. Signor, tu credi
 premiarmi e mi punisci.
 VALENTINIANO
                                                Io non sapea
 che a te fosse castigo
 una sposa germana al tuo regnante.
 EZIO
 Non è gran premio a chi d’un’altra è amante.
 VALENTINIANO
490Dov’è questa beltà che tanto indietro
 lascia il merto d’Onoria? È a me soggetta?
 Onora i regni miei? Stringer vogl’io
 queste illustri catene.
 Spiegami il nome suo.
 EZIO
                                            Fulvia è il mio bene.
 VALENTINIANO
495Fulvia!
 EZIO
                 Appunto. (Si turba).
 VALENTINIANO
                                                        (Oh sorte!) Ed ella
 sa l’amor tuo?
 EZIO
                             Nol credo.
 (Contro lei non s’irriti).
 VALENTINIANO
                                              Il suo consenso
 prima ottener procura;
 vedi se tel contrasta.
 EZIO
500Quello sarà mia cura; il tuo mi basta.
 VALENTINIANO
 Ma potrebbe altro amante
 ragione aver sopra gli affetti suoi.
 EZIO
 Dubitarne non puoi. Dov’è chi ardisca
 involar temerario una mercede
505alla man che di Roma il giogo scosse?
 Costui non veggo.
 VALENTINIANO
                                   E se costui vi fosse?
 EZIO
 Vedria ch’Ezio difende
 gli affetti suoi come gl’imperi altrui;
 temer dovrebbe...
 VALENTINIANO
                                    E se foss’io costui?
 EZIO
510Saria più grande il dono,
 se costasse uno sforzo al cor d’Augusto.
 VALENTINIANO
 Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
 uno sforzo in mercede.
 EZIO
 Ma Cesare è il sovrano; Ezio lo chiede;
515Ezio che fin ad ora
 senza premio servì; Cesare a cui
 è noto il suo dover, che i suoi riposi
 sa che gode per me, che al voler mio
 quando il soglio abbandona
520sa che rende, e non dona, e che un momento
 non prova fortunato
 per tema sol di comparirmi ingrato.
 VALENTINIANO
 (Temerario!) Credea
 nel rammentare io stesso i merti tuoi
525di scemartene il peso.
 EZIO
                                           Io li rammento,
 quando in premio pretendo...
 VALENTINIANO
 Non più; dicesti assai; tutto comprendo.
 
    So chi t’accese;
 basta per ora.
530Cesare intese;