Il mondo della luna, libretto, Brunswick, 1760

 GIACINTO
 
955   Qual sdegno, qual ira,
 qual furia v’inspira?
 
 CINTIA
 
 Che cosa ho fatt’io?
 
 AURORA
 
 Feritela.
 
 GRAZIOSINO
 
                   Ah!
 
 GIACINTO
 
 Fermatevi.
 
 GRAZIOSINO
 
                        Ah!
 
 CINTIA
 
960   Tu sei un’indegna.
 
 AURORA
 
 Sei tu maledetta.
 
 A DUE
 
 Vendetta, vendetta
 vuo’ contro di te.
 
 AURORA
 
 Feritela.
 
 GRAZIOSINO
 
                   Ah!
 
 GIACINTO
 
965Fermatevi.
 
 GRAZIOSINO
 
                        Ah!
 
 CINTIA
 
 Ah perfido!
 
 GRAZIOSINO
 
                         Ah!
 
 AURORA
 
    Fermate, sentite,
 frenarmi non so.
 
 A QUATTRO
 
    A tempo migliore
970vendetta farò.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera.
 
 TULLIA e RINALDO
 
 TULIA
 Ahimè! Chi mi soccorre?
 RINALDO
                                                Ah Tullia mia!
 TULIA
 Le donne invidiose,
 superbe, orgogliose,
 per il desio d’occupar sole il regno,
975ardono fra di lor d’ira e di sdegno.
 RINALDO
 Ah! Voi pietà mi fate.
 TULIA
 Deh non mi abbandonate.
 RINALDO
 Tullia, che pretendete?
 TULIA
 Esser a voi soggetta,
980rinunciar del comando
 ogni ragione a voi.
 RINALDO
                                     Che far degg’io?
 (Vo’ prenderla in parola).
 Idolo mio, venite, a questa legge
 novamente v’accetto.
 TULIA
985Amor e fedeltà io vi prometto.
 
    La costanza di quest’alma
 a te giuro, a te prometto,
 tutt’affetto e fedeltà.
 
 SCENA II
 
 RINALDO
 
 RINALDO
 Il periglio passato
990cauto mi ha reso e colla donna accorta
 cieco più non sarò. Tullia peraltro
 non è delle più scaltre,
 che se tal fosse stata
 questa spada serbata io non avrei,
995per troncare con questa i lacci miei.
 Onde amarla poss’io senza timore
 che ingannare mi voglia il di lei cuore.
 
    È un dolce tesoro
 la pace, la calma,
1000felice quell’alma
 che ignora il timor.
 
    Non mancan pretesti
 per esser scontenti,
 gelosi tormenti
1005non prova il mio cor.
 
 SCENA III
 
 AURORA e GRAZIOSINO
 
 GRAZIOSINO
 Non ne vo’ più sapere.
 AURORA
                                            Io son perduta,
 se voi mi abbandonate.
 GRAZIOSINO
 Siete femine tutte indiavolate.
 AURORA
 Il regno delle donne
1010distruggendo si va.
 GRAZIOSINO
 Causa la vostra troppo vanità.
 AURORA
 Ma voi mi lascierete
 al furore degli uomini in balia?
 GRAZIOSINO
 Io sono schiavo di vusignoria.
 AURORA
1015Graziosino pietà.
 GRAZIOSINO
                                  (Mi sento movere).
 AURORA
 Abbiate compassione.
 GRAZIOSINO
 (Mi si scalda il polmone).
 AURORA
 Se volete ch’io mora, morirò.
 GRAZIOSINO
 Ah! Se voi morirete, io crepperò.
 AURORA
1020Dunque...
 GRAZIOSINO
                      Dunque son vostro.
 AURORA
 Mi salverete voi?
 GRAZIOSINO
                                  Vi salverò.
 AURORA
 E mi amerete poi?
 GRAZIOSINO
                                     Sì, io v’amerò.
 AURORA
 
    Che bel regnar contenta
 nel cuor del caro bene
1025e senza amare pene
 godere e giubilar!
 
    Noi donne siamo nate
 per esser onorate
 ma non per comandar.
 
 SCENA IV
 
 GRAZIOSINO, poi CINTIA
 
 GRAZIOSINO
1030Colui di Ferramonte
 m’ha consigliato ad essere crudele;
 ma, se una donna poi gli andasse appresso,
 come un poltrone cascherebbe anch’esso.
 CINTIA
 Lupi, tigri, leoni,
1035gattipardi, pantere, orsi e mastini
 mi sento a divorar negl’intestini.
 GRAZIOSINO
 Ecco qui un altro imbroglio.
 CINTIA
 Fermate, è mio quel soglio.
 Io vi voglio salir. Ma Giove irato
1040mi fulmina e precipita
 e la terra mi affoga e il mar mi accoppa,
 ahimè, mi danno un maglio sulla coppa.
 GRAZIOSINO
 Questa è pazza davvero.
 CINTIA
 Buongiorno, cavaliero.
 GRAZIOSINO
1045Schiavo, padrona mia.
 CINTIA
 Andate col malan che il ciel vi dia.
 GRAZIOSINO
 (Ha perdutto il cervello).
 CINTIA
 Perfido, tu sei quello
 che vuol rapirmi il trono?
1050Vatene o ti bastono.
 GRAZIOSINO
                                       Io non so nulla.
 CINTIA
 
    Il capo mi frulla,
 la testa sen va.
 La la laranlella
 la lan laranlà.
 
 GRAZIOSINO
1055Quando in capo alle donne
 entran di dominar le frenesie,
 si vedono da lor mille pazzie.
 CINTIA
 Olà, tu sei mio schiavo.
 GRAZIOSINO
                                             Sì signora.
 CINTIA
 Accostati.
 GRAZIOSINO
                     Son qui.
 CINTIA
                                       Vanne in malora.
 GRAZIOSINO
1060La femina tradir non può l’usanza
 e anche pazza mantiene la incostanza.
 CINTIA
 Olà suddito altero
 del mio sovranno impero,
 mi conosci, briccon, sai tu chi sono?
1065Inginocchiati al trono;
 giurami fedeltà con obbedienza;
 abbassa il capo e fammi riverenza.
 GRAZIOSINO
 Eh via che siete pazza...
 CINTIA
                                              Ah temerario,
 così parli con me!
1070Giurami fedeltade a tuo dispetto
 o ch’io ti caccio questo stile in petto.
 GRAZIOSINO
 Piano, piano, son qui, tutto farò.
 CINTIA
 Giurami fedeltà.
 GRAZIOSINO
                                  La giurerò.
 
    Giuro... signora sì.
1075Ma cosa ho da giurar?
 Giuro... (che via di qui
 procurerò d’andar).
 
    Fermate, giuro, giuro
 servirvi, obbedirvi,
1080piacervi, vedervi,
 amarvi, onorarvi
 e irvi, irvi, arvi
 con tutta fedeltà. (Parte)
 
 SCENA V
 
 CINTIA, poi GIACINTO
 
 CINTIA
 Ah ch’è un piacer soave
1085della donna tener gl’uomini sotto.
 Ma ohimè veggo distrutta
 questa nostra grand’opra
 e gl’uomini vuon star a noi di sopra.
 GIACINTO
 Viva il sesso virile;
1090la schiatta feminile
 con tutti i grilli suoi
 finalmente ha da star soggetta a noi.
 CINTIA
 Giacinto?
 GIACINTO
                     Che bramate?
 CINTIA
 Voglio che voi mi amate.
 GIACINTO
                                                Questo «voglio»
1095a voi, signora, non sta bene in bocca,
 perché alle donne comandar non tocca.
 CINTIA
 Ma voi siete mio schiavo.
 GIACINTO
                                                 Schiavo io fui
 è ver della bellezza;
 ma veggo alfin che la bellezza nostra
1100è assai migliore e val più della vostra.
 CINTIA
 Dunque voi mi lasciate?
 GIACINTO
 Se l’amor mio bramate,
 pregatemi, umiliatevi;
 abbassate l’orgoglio e inginocchiatevi.
 CINTIA
1105E così vil sarò?
 GIACINTO
                              Più non sperate
 amor da me né ch’altri amar vi voglia,
 se negate di usar questa obbedienza.
 CINTIA
 Farlo mi converrà, per non star senza.
 
    Eccomi al vostro piede
1110pietade a domandar.
 
 GIACINTO
 
    Impari chi la vede
 le donne ad umiliar.
 
 CINTIA
 
    Ma troppo vil son io.
 
 GIACINTO
 
 Se non volete, addio.
 
 CINTIA
 
1115Fermate.
 
 GIACINTO
 
                    Voglio andar.
 
 CINTIA
 
    Via, caro Giacintino.
 Tornatemi ad amar.
 
 GIACINTO
 
    Il sesso feminino
 si venga ad ispecchiar.
 
 CINTIA
 
1120   Ma questo mai non fia.
 
 GIACINTO
 
 Bondì a vusignoria.
 
 CINTIA
 
 Fermatevi.
 
 GIACINTO
 
                        Pregatemi.
 
 CINTIA
 
 Ohimè che crudeltà!
 
 GIACINTO
 
 Rispetto ed umiltà.
 
 CINTIA
 
1125   Caro il mio bambolo
 per carità.
 
 GIACINTO
 
    Mi sento muovere
 tutto a pietà.
 
 A DUE
 
    Visetto amabile,
1130siete adorabile;
 il mio cuor tenero
 vi adorerà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 Luogo delizioso e magnifico, destinato per piacevole trattenimento delle femine dominanti.
 
 Tutti
 
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi,
1135pietà, di noi pietà.
 
 RINALDO
 Se cedete l’impero,
 se a noi voi vi arrendete,
 pietà nel nostro cor ritroverete.
 TULIA
 Tutto io cedo e m’arrendo
1140e la pietà dal vostro core attendo.
 AURORA
 Graziosino, son vostra.
 GRAZIOSINO
 Ed io vi accetterò,
 vi terrò, v’amerò, vi sposerò.
 CINTIA
 E voi, Giacinto mio,
1145cosa di me farete?
 GIACINTO
 Quel che di voi farò lo sentirete.
 CINTIA
 Lode al ciel, finalmente s’è veduto
 che Il mondo alla roversa
 durare non potea
1150e che da sé medesime
 in rovina si mandano
 le donne superbette che comandano.
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi;
1155pietà, di noi pietà.
 
 CORO DI UOMINI
 
    Pietà voi troverete
 allorché abbasserete
 la vostra vanità.
 
 TUTTI
 
    Le donne che comandano
1160è Il mondo alla roversa
 che mai non durerà.
 
 Il fine
 
 
 
 IL MONDO ALLA ROVERSCIA O SIA LE DONNE CHE COMANDANO
 
 
    Dramma giocoso per musica da rappresentarsi sul teatro di Praga nell’anno MDCCLV.
 
 
 PERSONAGGI
 
 TULIA
 (la signora Maria Camati detta la Farinella)
 RINALDINO
 (la signora Faustina Tedeschi)
 GIACINTO
 (il signor Michele Angelo Potenza)
 CINTIA
 (la signora Teresa Alberis)
 AURORA
 (la signora Anna Bassani)
 GRAZIOSINO
 (il signor Anastasio Massa)
 FERRAMONTE
 (il signor Gabriele Messieri)
 
    La musica è del signor Baldassaro Galuppi detto il Buranello.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: atrio magnifico, corrispondente alla gran piazza, ornato di spoglie virili, acquistate in varie guise dalle accorte femine; appartamento nel palazzo delle femine dominanti.
    Nell’atto secondo: camera preparata per il feminile consiglio; deliziosa alla riva del mare con comodo sbarco a piccioli legni; camera.
    Nell’atto terzo: appartamenti; luogo magnifico e delizioso, destinato al divertimento delle donne primarie.
    La scena si rappresenta in una isola degli antipodi.
    I balli sono vagamente inventati dal signor Giuseppe Ciuti.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all’intorno, acquistate in varie guise dalle accorte femine.
 
 TULIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle vittoriose insegne. Mentre si canta il coro, gli uomini s’incatenano
 
 TULIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno.
 Se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne)
 
 SCENA II
 
 TULIA, CINTIA e AURORA
 
 TULIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo e orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati,
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver, ma crudeltà consuma amore.
 Il consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar, voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare
 e vuo’ che, dopo un lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULIA ed AURORA
 
 TULIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tulia, voi, per dir vero,
 sagiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 Anzi madre natura
75alla breve statura
 del vostro corpo graziosetto e bello
 ha supplito con darvi assai cervello.
 Indi la madre vostra
 vi diè il nome di Tulia con ragione,
80poiché sembrate un Tulio Cicerone.
 TULIA
 Raguniamo il consiglio.
 Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si renda
 impossibile all’uom scuotere il giogo.
85Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
    Fiero leon, che audace
 scorse per l’ampia arena,
 soffre la sua catena
90e minacciar non sa.
 
    Ma se quei lacci spezza,
 ritorna alla fierezza,
 stragi facendo ei va.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
95puol recar alla donna il fier rigore!
 Il trattar con amore
 gl’uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitute in pace
 e la femina gode e si compiace.
100Io, fra quanti son presi ai lacci nostri,
 amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino;
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
105Elà. (Esce un servo) Venga qui tosto
 Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
110Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
 Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
 Lavoro in fretta in fretta
 e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
115Bene, signora sì.
 AURORA
 Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
 Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
 Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
120Mi fate vergognar.
 AURORA
                                     Vi voglio bene
 e vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
 Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
 Baciatemi la mano.
 GRAZIOSINO
                                      Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
125vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
 Oh benedette sian le mie bellezze.
 AURORA
 Ma vuo’ che siate attento
 a servirmi qualora vi comando.
 La mattina per tempo
130mi recherete il cioccolate al letto;
 mi scalderete i panni;
 mi dovrete allestir la tavoletta;
 starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
135e se verranno visite a trovarmi
 voi dovrete avisarmi
 e come fanno i buoni servitori
 voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
140E dentro...
 AURORA
                       Signor no,
 aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                        Aspetterò.
 AURORA
 Se farete così, vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
 Sì cara, farò tutto.
 Farò la cameriera;
145farò la cuciniera;
 farò tutte le cose più triviali;
 laverò le scudele e gli orinali.
 AURORA
 In cose tanto abiette
 impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
150il mio caro, il mio bello,
 il mio amor tenerello,
 il mio fedele amato Graziosino,
 tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegl’occhietti sì furbetti
155m’hanno fatta innamorar;
 quel bocchino piccinino
 mi fa sempre sospirar.
 
    Caro il mio bene,
 dolce mia spene,
160sempre, sempre
 ti voglio amar.
 
    (Ei gode tutto
 e questo è il frutto
 della lusinga.
165Ami o lo finga
 donna che vuole
 l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO solo
 
 GRAZIOSINO
 Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
170Graziosin fortunato. Oh quanto io godo!
 Non si può dar nel mondo
 piacer che sia maggiore
 d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
175le pecore e gli agnelli;
 amano i cani e i gatti
 e quei che amar non san son tutti matti.
 
    Quando gli augelli cantano,
 amor li fa cantar;
180e quando i pesci guizzano,
 amor li fa guizzar.
 
    La pecora, la tortora,
 la passera, la lodola
 amor fa giubilar.
185Oh che piacer amabile!
 Oh che gustoso amar!
 
    Farò lo cuoco, farò lo sguattero;
 laverò i piatti ed ettecetera,
 purché l’amore mi faccia il core
190movere, ridere e giubilar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
    Madre natura,
 tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
195con il pennello,
 come le donne
 sogliono far.
 
 Questa parucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
200fa risaltar mirabilmente il viso.
 Al ragirar di queste
 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
205fa tutte innamorar, quando favella.
 Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
210Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
 il nastro, la parucca, i guanti, tutto,
 tutto assettar conviene e gli occhi e il labbro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
215(Ecco il bell’amorino).
 GIACINTO
 Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
220Parmi con più ragione
 vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
225Deh lasciate ch’io possa
 coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
230Ah, se sdegnate, o bella,
 i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
235Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
 servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante,
 voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
240Giove, Pluton, Nettuno,
 dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
245Sì sì, Nettun m’inspira,
 Giove mi dà valore,
 Pluto mi dà furore;
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
250Fermatevi; ed avrete
 tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
255Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zottico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
260abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quell’occhio briconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate?
 CINTIA
                                                 Sì v’adoro.
 GIACINTO
265Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
270e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
275non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      Non me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
280Ah quel dolce rigor più m’incatena!
 Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate,
 basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Cara Cintia, allor che voglio
285da te lungi andar un passo,
 sento in me sì gran cordoglio
 che m’impetro come un sasso,
 perdo i sensi, son gelato,
 resto immoto in mezzo qua.
 
290   Quel bel volto, anima mia,
 ah! il mio cor già pena e smania;
 tu conosci, tu ben vedi
 che scolpito è in petto a me.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
295con questo sospirar, con questo piangere!
 Gli uomini non s’avveggono
 che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULIA
300Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira,
 egli smania e delira.
 Ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
305Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
 Gl’uomini sono avezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
310a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    Se gl’uomini sospirano,
 che cosa importa a me?
 Che pianghino, che crepino
 ma vuo’ che stiano lì.
315Anch’essi, se potessero,
 con noi farian così.
 
    Là dove delle femine
 il regno ancor non v’è,
 la tirannia dei perfidi
320purtroppo s’infierì
 ed or di quelle misere
 vendetta si fa qui.
 
 SCENA VIII
 
 TULIA, poi RINALDINO
 
 TULIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei,
325son con gli amanti miei
 quanto basta severa e orgogliosa
 ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
330fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tulia, bell’idol mio,
 de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
335che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULIA
 Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
340della smarrita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
 Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
345sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
 sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,
350fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
 godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
355siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
 Noi dai consigli escluse,
 prive d’autorità, come se nate
 non compagne dell’uom ma serve e schiave,
 solo ad opre servili
360condannate dal vostro ingrato sesso,
 far per noi si dovria con voi lo stesso.
 Ma nostra autorità, nostro rigore
 temprerà dolce amore
 ed il vostro servir, che non sia grave,
365sarà grato per noi, per voi soave.
 
    Voi donzelle che vedete
 qual mi reca amore affanno
 imparate del tiranno
 a fuggir la crudeltà.
 
370   Ei piacer promette e pace
 ma ne cinge di catene
 e sperar non ci conviene
 di tornare in libertà.
 
 SCENA IX
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
375che dura ed aspra sia
 d’amor la prigionia? Finché un amante
 vive dubioso e incerto
 fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
380s’abbandona al piacer gode e non sente
 i rimorsi del cor... Ma oh dio! Purtroppo
 li risento al mio sen, malgrado al cieco
 abbandono di me fatto al diletto,
 e mi sgrida l’onore a mio dispetto.
385Ah! Che farò? Si studi,
 se possibile sia, scacciar dal cuore
 il residuo fatal del mio rossore.
 
    Sento che nel mio seno
 voce d’onor mi sgrida,
390dice che ho l’alma infida,
 se lascio il caro ben.
 
    Del cor non è difetto,
 è colpa sol d’amore
 e il misero mio petto
395ah non penasse almen.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO ed AURORA
 
 GIACINTO
 Oh Diana mia gentile!
 AURORA