L’olimpiade (Pergolesi), libretto, Roma, 1735

 L’OLIMPIADE
 
 
    Drama per musica da rappresentarsi nell’antico teatro di Tordinona nel carnavale dell’anno 1735. Dedicato all’illustrissima ed eccellentissima signora duchessa donna Ottavia Strozzi Corsini, pronipote della santità di nostro signore papa Clemente XII, felicemente regnante.
    In Roma, MDCCXXXV, con licenza de’ superiori, si vendono a Pasquino all’insegna di San Giovanni di Dio.
 
 
 Illustrissima ed eccellentissima signora,
    benché andasse di già fastoso il presente drama per la stima e per l’applauso communicatogli dall’eruditissimo e non mai abbastanza lodato autore, di cui egli è parto, va ora, che di sé fa nuova mostra su le scene di Roma, per un titolo maggiore vie più glorioso, merceché si vede distinto col nome luminoso di vostra eccellenza ed onorato altresì dall’alta sua protezzione. Io però nel procurargli un così sublime vantaggio e col presentarlo all’eccellenza vostra ho adempiuto ancora in qualche parte all’obbligo di corrispondere ai tanti favori compartitimi dalla medesima con quella singolar benignità, che è virtù propria, ma non sola, del di lei animo grande. La supplico dunque ad accogliere in queste sincere espressioni il tributo del mio umilissimo ossequio e di accordarmi il bramato onore di sottoscrivermi nell’atto di farle profondissimo inchino. Di vostra eccellenza umilissimo, devotissimo ed obbligatissimo servitore.
 
    Gioseppe Polvini Faliconti
 
 
 ARGOMENTO
 
    Nacquero a Clistene re di Sicione due figliuoli gemelli, Filinto ed Aristea, ma avvertito dall’oracolo di Delfo del pericolo ch’ei correrebbe d’essere ucciso dal proprio figlio, per consiglio del medesimo oracolo, fece esporre il primo e conservò la seconda. Cresciuta questa in età ed in bellezza fu amata da Megacle, nobile e valoroso giovane ateniese, più volte vincitore ne’ giuochi olimpici. Questi non potendo ottenerla dal padre, a cui era odioso il nome ateniese, va disperato in Creta. Quivi assalito e quasi oppresso da’ masnadieri, è conservato in vita da Licida, creduto figliuolo del re dell’isola, onde contrae tenera e indissolubile amistà col suo liberatore. Avea Licida lungamente amata Argene, nobil dama cretense, e promessale occultamente fede di sposo; ma, scoperto il suo amore, il re, risoluto di non permettere queste nozze ineguali, perseguitò di tal sorte la sventurata Argene, che si vide costretta ad abbandonar la patria e fuggirsene sconosciuta nelle campagne d’Elide, dove, sotto nome di Licori ed in abito di pastorella, visse nascosta a’ risentimenti de’ suoi congiunti ed alle violenze del suo sovrano. Rimase Licida inconsolabile per la fuga della sua Argene; e dopo qualche tempo, per distrarsi dalla sua mestizia, risolse di portarsi in Elide e trovarsi presente alla solennità de’ giuochi olimpici, che, ivi col concorso di tutta la Grecia, dopo ogni quarto anno si ripetevano. Andovvi, lasciando Megacle in Creta; e trovò che il re Clistene, eletto a presiedere a’ giuochi sudetti e perciò condottosi da Sicione in Elide, proponeva la propria figlia Aristea in premio al vincitore. La vide Licida, l’ammirò ed obbliate le sventure de’ suoi primi amori ardentemente se ne invaghì; ma disperando di poter conquistarla, per non esser egli punto addestrato agli atletici esercizi, di cui dovea farsi pruova ne’ detti giuochi, immaginò come supplire con l’artificio al difetto dell’esperienza. Si sovvenne che l’amico era stato più volte vincitore in somiglianti contese; e (nulla sapendo degli antichi amori di Megacle con Aristea) risolse di valersi di lui, facendolo combattere sotto il finto nome di Licida. Venne dunque anche Megacle in Elide alle violenti istanze dell’amico; ma fu così tardo il suo arrivo, che già l’impaziente Licida ne disperava. Da questo punto prende il suo principio la rappresentazione del presente drammatico componimento. Il termine, o sia la principale azzione di esso è il ritrovamento di quel Filinto, per le minacce degli oracoli fatto esporre bambino dal proprio padre Clistene, ed a questo termine insensibilmente conducono le amorose smanie di Aristea, l’eroica amicizia di Megacle, l’incostanza ed i furori di Licida e la generosa pietà della fedelissima Argene.
    Herodotus, Pausanias, Natalis Comes, eccetera.
 
 
 ATTORI
 
 CLISTENE, re di Sicione, padre d’Aristea
 (il signor Giovanni Battista Pinacci, virtuoso di sua altezza serenissima il signor principe d’Armestadt)
 ARISTEA, sua figlia, amante di Megacle
 (il signor Mariano Nicolini, virtuoso di sua altezza serenissima il signor principe d’Armestadt)
 ARGENE, dama cretense in abito di pastorella sotto nome di Licori, amante di Licida
 (il signor Giovanni Tedeschi, virtuoso di sua eccellenza il signor prior Vaini)
 LICIDA, creduto figlio del re di Creta, amante d’Aristea ed amico di Megacle
 (il signor Francesco Bilancioni napolitano, virtuoso di sua eccellenza il signor principe della Torella)
 MEGACLE, amante d’Aristea ed amico di Licida
 (il signor Domenico Ricci)
 AMINTA, aio di Licida
 (il signor Nicola Licchesi)
 ALCANDRO, confidente di Clistene
 (il signor Carlo Brunetti)
 
    La scena si finge nelle campagne d’Elide, vicine alla città d’Olimpia alle sponde del fiume Alfeo.
    La poesia è del signor abbate Pietro Metastasio, poeta di sua maestà cesarea e cattolica.
    La musica è del signor Giovanni Battista Pergolese maestro di capella napolitano.
    Maestro de’ balli il signor Pietro Fumantini.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Atto primo.
    Folto bosco adombrato da grandi alberi, che giungono in alto ad intrecciare li rami da una all’altra parte, fra’ quali è chiusa picciola pianura.
    Vasta campagna alle falde di un monte sparsa di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo; veduta della città d’Olimpia in lontano interrotta da poche piante, che adornano la pianura, ma non la ingombrano.
    Atto secondo.
    Antica deliziosa in parte diroccata e insalvatichita dal tempo.
    Campagna che termina in prospetto in un folto bosco; fra i tronchi di questo in lontano picciola collina deliziosa.
    Atto terzo.
    Bipartita, che si forma dalle ruine di un antico ippodromo già ricoperta in parte d’edera, di spine ed altre piante selvaggie.
    Aspetto esteriore del gran tempio di Giove Olimpico. Bosco all’intorno con sacri olivi silvestri, donde si formavano le corone per li atleti vincitori. Magnifica scala avanti al medesimo, per la quale si scende nella gran piazza adornata da’ lati di maestosa fabrica tutta tendata con ara ardente nel mezzo.
 
    Ingegneri e pittori delle scene il signor Domenico Villani bolognese e il signor Pietro Orta bresciano.
    Inventore degli abiti il signor Giovanni Antonio Banci.