Il prigionier superbo, libretto, Napoli, 1733

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Gran piazza pomposamente adornata per il trionfo di Metalce: verranno in essa precedute dal suono festivo di vari stromenti da fiato gran numero di milizie gote e norveggie; indi appresso molti mori danzando, e suonando ognuno di loro vari stromenti alla turca: dopo di questi, verrà SOSTRATE incatenato in mezzo a quattro schiavi per sua custodia, con sciable nude in mano. Carro magnifico tirato da mori, nella di cui sommità vedrassi METALCE trionfante assiso con ERICLEA sua destinata sposa, e più abbasso VIRIDATE e MICISDA. Terminata la danza, e calati dal carro comincerà il
 
 CORO
 
    Splenda il sol di luce adorno
 e sì chiaro e fausto giorno
 venga lieto a festeggiar.
 
 METALCE
 Vedi, o bella Ericlea,
5dentro le patrie soglie
 fauste già folgorar le avite insegne:
 questi è il paterno regno,
 quella è tua reggia, ed al real tuo piede
 ha la Norveggia in sorte
10sua regina acclamarti e mia consorte.
 ERICLEA
 Questi titoli illustri empion di troppa
 gioia il mio sen. Mi è noto
 de' Norveggi l'amore;
 ma più mi è caro di Metalce il core.
 METALCE
15A te mio Viridate
 qual premio dar mai posso
 degno di quanto oprasti?
 VIRIDATE
                                                Il ferro io strinsi,
 signor, per sostenere i giusti dritti
 al soglio di Norveggia
20dell'illustre Ericlea, nel di cui sangue
 congiunto io son per le materne vene:
 quindi, dovere e non virtù s'appelli
 quanto oprare ebbi in sorte.
 Non in premio, ma in dono
25sol Rosmene ti chiedo.
 METALCE
                                            Al tuo gran merto
 troppo bassa mercé: pur se la brami
 sia tua sposa Rosmene.
 SOSTRATE
 Sia tua sposa Rosmene? E qual ti usurpi
 ragion tu mai sovra il mio reggio sangue?
30Sai tu, che ancor tra ferri
 medito contro te la mia vendetta,
 e che della mia prole
 a me disporre, e non a te s'aspetta?
 METALCE
 Delira l'infelice.
 VIRIDATE
                                Ed a suo danno.
 SOSTRATE
35A me volgi o tiranno, a me le ciglia:
 guardami, e sappi che le tue catene
 non mi han tolto ragion sovra mia figlia;
 e che per te nel petto
 ho il mio gran core accinto...
 METALCE
40Olà! con più rispetto
 dinanzi al vincitor favelli il vinto.
 SOSTRATE
 Che vincitor? che vinto? Usurpatore
 sei tu di mia corona; il regge io sono.
 METALCE
 Usurpatore è chi premeva un trono
45di vergine real retaggio avito.
 SOSTRATE
 No, che i fidi vassalli...
 METALCE
                                            Il volgo insano
 non toglie al re la sua ragione al soglio.
 SOSTRATE
 Un re tiranno...
 METALCE
                               Olà! frena l'orgoglio.
 Io parlerò a Rosmene
50acciò a te Viridate
 giuri la fé di sposa: impara, altero,
 a venerar del tuo sovran le leggi.
 SOSTRATE
 Tu mio sovrano? Menti.
 La mia gloria, il mio sangue, il mio valore,
55il mondo, i numi il sanno; anzi tu stesso
 a tuo scorno ben sai che degno appena
 sei di portar la mia più vil catena.
 
    Premi o tiranno altero
 quel soglio ov'io regnai:
60ma in questi ceppi mira
 quella che tu non hai
 alta virtù e valor.
 
    Prepara a' danni miei
 tutto il tuo sdegno e l'ira;
65ch'io, benché prigioniero,
 sempre dirò che sei
 un vile usurpator.
 
 SCENA II
 
 METALCE, ERICLEA, MICISDA, VIRIDATE
 
 METALCE
 Micisda!
 MICISDA
                    Sire.
 METALCE
                                Vanne
 Rosmene a prevenir che seco io debbo
70trattar non lieve e necessario arcano.
 MICISDA
 Vado signor. Bella Ericlea, né meno
 or che sovrana sei vuoi più degnarti
 volgere a me un tuo sguardo.
 ERICLEA
                                                       Addio Micisda.
 MICISDA
 Deh! ti sovvenga o cara
75che ancora porto al piè la tua catena.
 ERICLEA
 Micisda addio. (E si volge a Metalce)
 MICISDA
                               Che gelosia, che pena! (Parte)
 METALCE
 Tu ne' reali appartamenti, amico,
 Ericlea condurrai.
 Colà in brev'ora, idolo mio, m'avrai.
 VIRIDATE
80Andiamo. (Ancor sicure
 non son le mie speranze,
 onde il cor mi predice alte sventure).
 ERICLEA
 A momenti colà, sposo, ti attendo.
 (Un non so che d'infausto
85mi gira intorno al cor, ch'io non l'intendo).
 
 SCENA III
 
 METALCE
 
 METALCE
 Esser dovrei pur lieto
 con la man d'Ericlea che sul mio crine
 porta un serto real di lauri adorno,
 e pur nulla m'appaga in sì gran giorno.
 
90   Che fiero martire,
 in mezzo al gioire,
 da ignoto timore
 sentirsi agitar.
 
    Son regge, son sposo,
95e pure il mio core
 non trova riposo,
 non sa che bramar.
 
 SCENA IV
 
 Camera reggia.
 
 ROSMENE poi VIRIDATE
 
 ROSMENE
 
    Fra tanti affanni miei
 chi mi consiglia, e dice,
100che far mai deggio o dei?
 Troppo infelice figlia,
 misero genitor!
 
 Sventurata Rosmene,
 soggetta ad un tiranno
105che ristretto in catene,
 cinto da inique squadre
 opprime ingiustamente il mio gran padre.
 VIRIDATE
 Principessa Rosmene, ecco a' tuoi piedi,
 non già più vincitor, né più nemico
110il più fedele amante...
 ROSMENE
                                           Usurpi ancora,
 traditor, questo nome? Eh! Viridate,
 tempo è di sdegni e non d'amori: ostenta
 il carattere austero
 di vincitor nemico, e a me t'invola.
 VIRIDATE
115L'essere tuo nemico
 fu necessario impegno
 di sostenere il re Metalce al regno;
 ma sempre impressa al core, e in seno accolta
 io l'immago portai del tuo sembiante.
 ROSMENE
120Che caro amante! In seno,
 della figlia portar l'immago impressa,
 e poi togliere al padre
 e regno e libertà!
 VIRIDATE
                                  Di questo, incolpa...
 ROSMENE
 Viridate, non più: del tuo delitto
125più accende i sdegni miei la tua discolpa!
 O parti, o taci.
 VIRIDATE
                             Ah! bella mia nemica,
 giusti sono i tuoi sdegni, e sallo il cielo
 s'io morrei per placarti.
 Deh! almeno...
 ROSMENE
                              Viridate! o taci, o parti.
 VIRIDATE
 
130   Parto. Non ti sdegnar:
 ma se di te mi privi
 perché mi vuoi lasciar;
 ch'io parta non mi dir,
 dimmi ch'io mora.
 
135   Merito i sdegni tuoi:
 punisci il mio fallir:
 ma ti rammenta poi
 che il cor t'adora.
 
 SCENA V
 
 ROSMENE, indi METALCE
 
 ROSMENE
 Giusti numi del cielo,
140deh a qual pena crudel voi mi serbate!
 Pria l'amar Viridate
 era gloria per me; sprezzarlo adesso
 è legge ed è dover. Legge funesta.
 METALCE
 (Ecco Rosmene. Ahi che sembianza è questa?)
 ROSMENE
145E ancora spiro e vivo?
 METALCE
 Principessa gentil!
 ROSMENE
                                     (Noioso arrivo).
 
 SCENA VI
 
 ERICLEA in disparte e detti
 
 ERICLEA
 (Con Rosmene Metalce!)
 METALCE
 Quelle dolci pupille in cui sfavilla
 d'invincibile amor dardo il più forte
150omai serena, e tergi sul bel volto
 l'ingiuria di quel pianto.
 ERICLEA
                                               (Oimè, che ascolto?)
 ROSMENE
 Non credere o Metalce
 che tutto questo pianto
 esca da quel dolor che mi divora.
155Ha le lagrime sue lo sdegno ancora.
 METALCE
 (Adorabil fierezza!) Io quel dolore
 placar posso se 'l brami.
 ERICLEA
                                              (Ah traditore!)
 METALCE
 Solo che a me tu volga
 quelle luci serene...
 ROSMENE
160A me, signor! deliri?
 ERICLEA
                                         Eh! Via, Rosmene,
 appaga il suo desir, che poi placato
 sarà tutto il tuo duolo. (Infido, ingrato).
 METALCE
 (Inopportuno arrivo). Odi, Ericlea.
 ERICLEA
 Abbastanza t'intesi; or se t'abbaglia
165il fulgor di quei rai, se di Rosmene
 tu puoi placar le pene
 perché indugi, crudel? L'opra pietosa
 sollecito compisci; agli occhi miei
 non s'invidi quel ben, che doni a lei.
 METALCE
170Qual pietate, qual ben tu non ramenti?
 ERICLEA
 Ch'io rammenti e che mai? Forse i spergiuri,
 le barbare lusinghe, i finti vezzi
 per misurar così de' tuoi disprezzi
 quanta sia l'empietade, anima rea?
 ROSMENE
175A che tanto furor, dimmi Ericlea?
 Tu che speri Metalce? Egli è tuo sposo
 e vincitor tu sei; perciò nemica
 son io d'entrambi, e sol ritrova in voi
 l'agitato mio core
180la funesta cagion degl'odii suoi.
 Per chi la gelosia, con chi l'amore?
 Parlate di vendetta
 e allor v'ascolterò; questa s'aspetta
 all'alma prigioniera,
185e chi crede allettarmi, invan lo spera.
 
    M'intendeste? non pavento. (Ad Ericlea)
 Non t'ascolto, e tutta sdegno (A Metalce)
 punirei quell'alma audace, (A Ericlea)
 strapperei quel core indegno. (A Metalce)
190Così t'amo, così bramo, (A Ericlea)
 così grida il mio furor.
 
    E se niega avversa sorte
 la sua calma a questo seno,
 coll'idea di straggi e morte
195tempro almeno
 la mia rabbia, il mio dolor.
 
 SCENA VII
 
 ERICLEA e METALCE
 
 ERICLEA
 Sventurato Metalce, oh quanto ingrata
 teco è Rosmene, allor ch'offri la pace
 guerra minaccia, e con rabbiosi detti
200vilipende superba i dolci affetti.
 METALCE
 Ascoltarmi non vuoi, non vuoi l'inganno
 riconoscer del cor, che di se stesso
 per presto giudicar si fa tiranno?
 Io sol per Viridate
205a Rosmene parlai.
 ERICLEA
                                    Per Viridate?
 METALCE
 Appunto, e la crudele
 sprezza il suo amor.
 ERICLEA
                                       Così sarà. (Infedele.
 Ma fingiamo per ora). Perdonami ben mio,
 d'amor nacque il sospetto.
210Perché caro mi sei, così diss'io.
 Pur contenta non sono, a te nol niego.
 Affretta, io te ne priego,
 il reale imeneo, che già dovea
 esser compito ormai.
 METALCE
                                         Senti Ericlea:
215questi è giorno sagrato alla vittoria;
 e cinto il crin di marziali allori
 vuol che attenda mia gloria
 a mieter palme, e non trattare amori.
 
 SCENA VIII
 
 ERICLEA, indi MICISDA
 
 ERICLEA
 Così l'empio mi lascia; ed io schernita
220restar dovrò?
 MICISDA
                            (Qui la regina, e parmi
 di sdegno accesa).
 ERICLEA
                                    Miei pensieri, all'armi.
 Contro il principe infido
 qui tutte chiamo l'ire mie. Micisda!
 Ora è tempo opportuno in cui potrai
225col tuo valore, e su l'altrui ruina
 alzar le tue speranze.
 MICISDA
                                         Addio regina.
 ERICLEA
 Come? così risponde
 Micisda ad Ericlea? così in oblio
 ponesti il tuo dover?
 MICISDA
                                        Regina addio.
 ERICLEA
230Regina addio! qual favellar? son queste
 d'un rispettoso amor le voci umili
 con cui poc'anzi il labro tuo s'espresse?
 MICISDA
 Son le finezze istesse
 con cui poc'anzi accogliere ti piacque
235gli affetti miei.
 ERICLEA
                               Principe ascolta. Allora
 il rammentarmi l'amor tuo primiero
 era in me gran delitto,
 poco rispetto in te. Siam ora in tempo
 di disporre altrimenti. Ha già Metalce
240altra fiamma nel seno. Io vo' vendetta,
 e se un mio gran pensier pago tu rendi,
 molto da me sperar potrai. M'intendi?
 MICISDA
 Purché il servirti non offenda, o bella,
 la gloria mia, di me disponi. Io spero
245meritar forti i tuoi reali affetti:
 ma rammentati poi quanto prometti.
 
    Un'aura di speranza
 mi vola intorno al cor;
 e par che dica ognor
250sarai contento.
 
    E mentre in me s'avanza
 la speme di gioir,
 si placa il mio martir,
 manca il tormento.
 
 SCENA IX
 
 ERICLEA
 
 ERICLEA
255Io dunque soffrirò che un'alma infida
 la fede infranga, e l'amor mio derida?
 No, no, vendetta. Ah! voi se giusti siete
 numi eterni del ciel, voi vendicate
 il mio tradito amore;
260sì, confondete voi quel traditore.
 
    Giusti numi che scorgete
 di mia fede il bel candore,
 per pietà voi difendete
 il mio onore e la mia fé.
 
265   E quell'empio, quel indegno
 fabro vil di mie sciagure,
 provi pure il vostro sdegno,
 voi punitelo per me.
 
 SCENA X
 
 METALCE, ROSMENE
 
 METALCE
 Or vedi, principessa,
270qual è il mio cor per te: tu sprezzi ingrata
 le mie reali offerte; ed io già imposi
 che si sciolgano a Sostrate que' ceppi,
 che tolgono in un punto
 a lui la libertade, a te il riposo.
 ROSMENE
275E da me che pretendi?
 METALCE
                                            Esser tuo sposo.
 ROSMENE
 Mio sposo? Ah! chiudi o perfido,
 chiudi quel labbro indegno. E vuoi ch'io stringa
 una man che ancor fuma
 del sangue d'un german che a me uccidesti?
280Pria sul mio capo scenda
 tutta l'ira de' numi: e sappi, o barbaro,
 che saprò pria spirar l'alma col sangue,
 che di colpa sì enorme io farmi rea.
 S'altra virtù non hai, se a questo prezzo
285prometti libertade, io non la bramo.
 Fortunata mi chiamo,
 se alle usate ritorte
 il genitor ritorna, io vado a morte.
 METALCE
 (Del genitore ha la ferocia istessa:
290d'avvilirla tentiam). Dunque la destra
 d'un vincitor che priega a vil tu prendi?
 ROSMENE
 Che, non l'udisti?
 METALCE
                                   E bene: ora vedrai,
 già che sprezzi il mio amor, che può lo sdegno.
 Olà! (Viene una guardia)
 ROSMENE
             (Che fia!)
 METALCE
                                  Tolgasi in questo istante
295a Sostrate la vita
 col ferro o col veleno.
 ROSMENE
 (Oddio ch'io vengo meno). Ah! no, fermate.
 Signor, s'io son la rea, sovra il mio capo
 cada tutto il furore: al mio gran padre
300una colpa perdona...
 
 SCENA XI
 
 SOSTRATE e detti
 
 SOSTRATE
 Come? vile che sei,
 tu a' piè del mio nemico?
 Sorgi: non s'ha da rimirar prostrato
 dinanzi ad un tiranno il sangue mio.
 ROSMENE
305Signore, in simil atto
 sol di Metalce l'ira
 tentai placar, che te privar di vita
 volea col ferro o 'l tosco.
 Deh! padre per pietà...
 SOSTRATE
                                            Non ti conosco.
 METALCE
310Placa pure una volta
 tanta ferocia, o prence:
 non irritarmi più. Dal piede i lacci
 ti sciolsi perché voglio
 spegnere l'odio antico:
315Sostrate, non sdegnar d'essermi amico.
 SOSTRATE
 Amico! E che direbbe
 il mondo in rimirar col traditore
 in amistà l'eroe? No, no, Metalce,
 usa di tua fortuna; e d'odiarti
320lascia me in libertà. Tu mia Rosmene
 penza, che da la man di questo iniquo
 il regno a me fu tolto, a te il germano;
 che Viridate è un traditor, ch'entrambi
 son miei nemici, e se furor ti manca
325per odiarlo a bastanza,
 penza che sei mia figlia,
 e tua ragion con l'ira mia consiglia.
 ROSMENE
 Padre, vedrai che di Rosmene il core
 sempre in odio per lui sarà lo stesso. (Parte)
 METALCE
330(Che invincibil fierezza!) Io t'abbandono
 in braccio al tuo destin, pensa al tuo danno,
 pensa che regge io sono
 e che col tuo furor mi fai tiranno. (Parte)
 SOSTRATE
 Sì, fa' ch'io rieda, o perfido, a' miei lacci,
335ma non sperar vedermi in quelli oppresso,
 ch'io non ti temo, e sono,
 nel carcere, nel trono,
 in ceppi e in libertà sempre l'istesso.
 
    Salda quercia allor che incalza
340d'aquilon lo sdegno e l'ira,
 più le cime al cielo inalza,
 più si mira insuperbir.
 
    E l'invitta mia costanza
 nel rigor dell'empia sorte
345rende il cor più fermo e forte;
 più s'avanza in me l'ardir.
 
 Fine dell’atto primo