Artaserse, libretto, Stoccarda, Cotta, 1756

 SCENA VI
 
 SEMIRA e MEGABISE
 
 SEMIRA
 Gran cose io temo. Il mio germano Arbace
 parte pria dell'aurora. Il padre armato
190incontro e non mi parla. Accusa il cielo
 agitato Artaserse e m'abbandona.
 Megabise, che fu? Se tu lo sai,
 determina il mio core
 fra tanti suoi timori, a un sol timore.
 MEGABISE
195E tu sola non sai che Serse ucciso
 fu poc'anzi nel sonno?
 Che Dario è l'uccisore? E che la reggia
 fra le gare fraterne arde divisa?
 SEMIRA
 Che ascolto! Or tutto intendo.
200Miseri noi, misera Persia... Oh Dio!
 MEGABISE
 So che parla in Semira
 d'Artaserse l'amor ma se il consiglio
 d'un labbro  a te fedele
 ti piace d'ascoltar, scegli un amante
205uguale al grado tuo. Sai che l'amore
 d'uguaglianza si nutre. E se mai porre
 volessi in opra il mio consiglio, allora
 ricordati, ben mio, di chi t'adora.
 SEMIRA
 Veramente il consiglio
210degno è di te; ma voglio
 renderne un altro in ricompensa; e parmi
 più opportuno del tuo; lascia d'amarmi.
 MEGABISE
 È impossibile, o cara,
 vederti e non amarti.
 SEMIRA
                                          E chi ti sforza
215il mio volto a mirar? Fuggimi e un'altra
 di me più grata all'amor tuo ritrova.
 MEGABISE
 Ah che il fuggir non giova. Io porto in seno
 l'immagine di te; quest'alma avvezza
 d'appresso a vagheggiarti ancor da lungi
220ti vagheggia, ben mio. Quando il costume
 si converte in natura,
 l'alma quel che non ha, sogna e figura.
 
    Sogna il guerrier le schiere,
 le selve il cacciator;
225e sogna il pescator
 le reti e l'amo.
 
    Sopito in dolce obblio,
 sogno pur io così
 colei che tutto il dì
230sospiro e chiamo. (Parte)