La clemenza di Tito, libretto, Stoccarda, Cotta, 1753

 SCENA V
 
 Innanzi atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro parte del Foro romano, magnificamente adornato d’archi, obelischi e trofei; da’ lati vedute in lontano del monte Palatino e d’un gran tratto della via Sacra; in faccia aspetto esteriore del Campidoglio e magnifica strada per cui vi si ascende.
 
 Nell’atrio suddetto saranno PUBLIO, i senatori romani ed i legati delle provincie soggette destinati a presentare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre TITO preceduto da’ littori, seguito da’ pretoriani e circondato da numeroso popolo scende dal Campidoglio, cantasi il seguente
 
 CORO
 
    Serbate o dei custodi
 della romana sorte
 in Tito il giusto, il forte,
 l'onor di nostra età.
 
95   Voi gl'immortali allori
 su la cesarea chioma,
 voi custodite a Roma
 la sua felicità.
 
    Fu vostro un sì gran dono,
100sia lungo il dono vostro;
 l'invidi al mondo nostro
 il mondo che verrà. (Nel fine del coro sudetto giunge Tito nell’atrio e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
 
 PUBLIO
 Te della patria il padre (A Tito)
 oggi appella il Senato. E mai più giusto
105non fu ne' suoi decreti o invitto Augusto.
 ANNIO
 Né padre sol ma sei
 suo nume tutelar. Eccelso tempio
 ti destina il Senato. E là si vuole
 che fra divini onori
110anche il nume di Tito il Tebro adori.
 PUBLIO
 Quei tesori che vedi
 delle serve provincie annui tributi
 all'opra consagriam. Tito non sdegni
 questi del nostro amor publici segni.
 TITO
115Romani, unico oggetto
 è de' voti di Tito il vostro amore;
 ma il vostro amor non passi
 tanto i confini suoi
 che debbano arrossirne e Tito e voi.
120Più tenero, più caro
 nome che quel di padre
 per me non v'è; ma meritarlo io voglio,
 ottenerlo non curo. I sommi dei
 quanto imitar mi piace
125abborrisco emular. Gli perde amici
 chi gli vanta compagni; e non si trova
 follia la più fatale
 che potersi scordar d'esser mortale.
 Quegli offerti tesori
130non ricuso però. Cambiarne solo
 l'uso pretendo. Udite. Oltre l'usato
 terribile il Vesevo ardenti fiumi
 dalle fauci eruttò; scosse le rupi;
 riempié di ruine
135i campi intorno e le città vicine.
 Le desolate genti
 fuggendo van; ma la miseria opprime
 quei che al fuoco avanzar. Serva quell'oro
 di tanti afflitti a riparar lo scempio.
140Questo, o Romani, è fabricarmi il tempio.
 ANNIO
 O vero eroe!
 PUBLIO
                          Quanto di te minori
 tutti i premi son mai, tutte le lodi!
 CORO
 
    Serbate o dei custodi
 della romana sorte
145in Tito il giusto, il forte,
 l'onor di nostra età.
 
 TITO
 Basta, basta o Quiriti.
 Sesto a me s'avvicini; Annio non parta,
 ogn'altro s'allontani. (Si ritirano tutti fuori dell’atrio e vi rimangano Tito, Annio e Sesto)
 ANNIO
                                         (Adesso, o Sesto,
150parla per me).
 SESTO
                              Come signor potesti
 la tua bella regina...
 TITO
                                       Ah Sesto amico
 che terribil momento! Io non credei...
 Basta, ho vinto, partì. Grazie agli dei!
 Giusto è ch'io pensi adesso
155a compir la vittoria. Il più si fece,
 facciasi il meno.
 SESTO
                                 E che più resta?
 TITO
                                                                 A Roma
 togliere ogni sospetto
 di vederla mia sposa.
 SESTO
                                          Assai lo toglie
 la sua partenza.
 TITO
                                Un'altra volta ancora
160partissi e ritornò. Del terzo incontro
 dubitar si potrebbe. Oggi mia sposa
 sarà la tua germana.
 ANNIO
 (Oh dei!)
 SESTO
                     Servilia!
 TITO
                                       Appunto.
 SESTO
 (Ah si serva l'amico).
 ANNIO
                                          (Annio coraggio).
 SESTO
165Tito... (Risoluto)
 ANNIO
               Augusto io conosco (Come sopra)
 di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme
 tenero amor ne stringe. Ei di sé stesso
 modesto estimator teme che sembri
 sproporzionato il dono; e non s'avvede
170ch'ogni distanza eguaglia
 d'un cesare il favor. Ma tu consiglio
 da lui prender non dei. Come potresti
 sposa elegger più degna
 dell'impero e di te? Virtù, bellezza
175ch'era nata a regnar. De' miei presagi
 l'adempimento è questo.
 SESTO
 (Annio parla così! Sogno o son desto?)
 TITO
 E ben recane a lei
 Annio tu la novella. E tu mi siegui
180amato Sesto. E queste
 tue dubiezze deponi. Avrai tal parte
 tu ancor nel soglio e tanto
 t'innalzerò che resterà ben poco
 dello spazio infinito
185che frapposer gli dei fra Sesto e Tito.
 SESTO
 Questo è troppo, o signor. Modera almeno
 se ingrati non ci vuoi,
 modera Augusto i benefici tuoi.
 TITO
 Ma che, se mi niegate
190che benefico io sia, che mi lasciate?
 
    Del più sublime soglio
 l'unico frutto è questo;
 tutto è tormento il resto
 e tutto è servitù.
 
195   Che avrei, se ancor perdessi
 le sole ore felici
 ch'ho nel giovar gli oppressi,
 nel sollevar gli amici,
 nel dispensar tesori
200al merto e alla virtù? (Parte col Sesto)