La clemenza di Tito, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1771

 SCENA V
 
 Innanzi atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro parte del Foro romano, magnificamente adornato d’archi, obelischi e trofei; da’ lati vedute in lontano del monte Palatino e d’un gran tratto della via Sacra; in faccia aspetto esteriore del Campidoglio e magnifica strada per cui vi si ascende.
 
 Nell’atrio suddetto saranno PUBLIO e senatori romani ed i legati delle provincie soggette destinati a prestare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre TITO preceduto da’ littori, seguito da’ pretoriani e circondato da numeroso popolo scende dal Campidoglio, cantasi il seguente
 
 CORO
 
    Serbate, o dei custodi
 della romana sorte,
 in Tito il giusto, il forte,
95l'onor di nostra età.
 
    Voi gl'immortali allori
 su la cesarea chioma,
 voi custodite a Roma
 la sua felicità.
 
100   Fu vostro un sì gran dono,
 sia lungo il dono vostro;
 l'invidi al mondo nostro
 il mondo che verrà. (Nel fine del coro suddetto giunge Tito nell’atrio e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
 
 PUBLIO
 Te della patria il padre (A Tito)
105oggi appella il Senato; e mai più giusto
 non fu ne' suoi decreti, o invitto Augusto.
 ANNIO
 Né padre sol ma sei
 suo nume tutelar. Eccelso tempio
 ti destina il Senato e là si vuole
110che fra divini onori
 anche il nume di Tito il Tebro adori.
 PUBLIO
 Quei tesori che vedi
 delle serve provincie annui tributi
 all'opra consagriam. Tito non sdegni
115questi del nostro amor publici segni.
 TITO
 Romani, unico oggetto
 è de' voti di Tito il vostro amore;
 ma il vostro amor non passi
 tanto i confini suoi
120che debbano arrossirne e Tito e voi.
 Più tenero, più caro
 nome che quel di padre
 per me non v'è; ma meritarlo io voglio,
 ottenerlo non curo. I sommi dei
125quanto imitar mi piace
 abborrisco emular; gli perde amici
 chi gli vanta compagni e non si trova
 follia la più fatale
 che potersi scordar d'esser mortale.
130Quegli offerti tesori
 non ricuso però. Cambiarne solo
 l'uso pretendo. Udite. Oltre l'usato
 terribile il Vesevo ardenti fiumi
 dalle fauci eruttò; scosse le rupi;
135riempié di ruine
 i campi intorno e le città vicine.
 Le desolate genti
 fuggendo van ma la miseria opprime
 quei che al fuoco avanzar. Serva quell'oro
140di tanti afflitti a riparar lo scempio.
 Questo, o Romani, è fabbricarmi il tempio.
 ANNIO
 O vero eroe!
 PUBLIO
                          Quanto di te minori
 tutti i premi son mai, tutte le lodi!
 CORO
 
    Serbate o dei custodi
145della romana sorte
 in Tito il giusto, il forte,
 l'onor di nostra età.
 
 TITO
 Basta, basta o Quiriti.
 Sesto a me s'avvicini; Annio non parta,
150ogni altro s'allontani. (Si ritirano tutti fuori dell’atrio e vi rimangono Tito, Annio e Sesto)
 ANNIO
                                          (Adesso, o Sesto,
 parla per me).
 SESTO
                              Come, signor, potesti
 la tua bella regina...
 TITO
                                       Ah, Sesto amico,
 che terribil momento! Io non credei...
 Basta, ho vinto, partì. Grazie agli dei.
155Giusto è ch'io pensi adesso
 a compir la vittoria. Il più si fece,
 facciasi il meno.
 SESTO
                                 E che più resta?
 TITO
                                                                 A Roma
 togliere ogni sospetto
 di vederla mia sposa.
 SESTO
                                          Assai lo toglie
160la sua partenza.
 TITO
                                Un'altra volta ancora
 partissi e ritornò. Del terzo incontro
 dubitar si potrebbe. Oggi mia sposa
 sarà la tua germana.
 ANNIO
                                        (Oh dei!)
 SESTO
                                                            Servilia!
 TITO
                                                                              Appunto.
 SESTO
 (Ah si serva l'amico).
 ANNIO
                                          (Annio, coraggio).
 SESTO
165Tito... (Risoluto)
 ANNIO
               Augusto io conosco (Come sopra)
 di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme
 tenero amor ne stringe. Ei di sé stesso
 modesto estimator teme che sembri
 sproporzionato il dono; e non s'avvede
170ch'ogni distanza eguaglia
 d'un cesare il favor. Ma tu consiglio
 da lui prender non dei. Come potresti
 sposa elegger più degna
 dell'impero e di te? Virtù, bellezza
175tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto
 ch'era nata a regnar. De' miei presagi
 l'adempimento è questo.
 SESTO
 (Annio parla così! Sogno, o son desto?)
 TITO
 E ben, recane a lei
180Annio tu la novella. E tu mi siegui
 amato Sesto e queste
 tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte
 tu ancor nel soglio e tanto
 t'innalzerò che resterà ben poco
185dello spazio infinito
 che frapposer gli dei fra Sesto e Tito.
 SESTO
 Questo è troppo, o signor. Modera almeno,
 se ingrati non ci vuoi,
 modera Augusto i benefici tuoi.
 TITO
190Ma che, se mi niegate
 che benefico io sia, che mi lasciate?
 
    Del più sublime soglio
 l'unico frutto è questo;
 tutto è tormento il resto
195e tutto è servitù.
 
    Che avrei, se ancor perdessi
 le sole ore felici
 ch'ho nel giovar gli oppressi,
 nel sollevar gli amici,
200nel dispensar tesori
 al merto e alla virtù? (Parte con Sesto)