| Rappresentato con musica del Caldara la prima volta nel giardino dell’imperial Favorita alla presenza degli augustissimi sovrani, il dì 28 agosto 1736, per festeggiare il giorno di nascita dell’imperatrice Elisabetta, d’ordine dell’imperator Carlo VI. |
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| ARGOMENTO |
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| Il crudelissimo Astiage, ultimo re de’ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl’indovini sopra alcun suo sogno e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno; ond’egli, per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciolo Ciro, che tal era il nome del nato infante, e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l’altra appresso di sé, affinché non nascesser da loro insieme con altri figli nuove cagioni a’ suoi timori. Arpago, non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l’esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea in quel giorno appunto partorito un fanciullo ma senza vita; onde la natural pietà, secondata dal comodo del cambio, persuase ad entrambi che Mitridate esponesse il proprio figliuolo già morto, ed il picciol Ciro, sotto nome d’Alceo in abito di pastore, in luogo di quello educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro, ritrovato in una foresta bambino, fosse stato dalla pietà d’alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito che, approfittandosi di questa favola o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venire Arpago e dimandollo di nuovo se avesse egli veramente ucciso il picciolo Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago, che dagli esterni segni avea ragion di sperare che fosse pentito il re, stimò questa una opportuna occasione di tentar l’animo suo; e rispose di non avere avuto coraggio d’ucciderlo ma d’averlo esposto in un bosco, preparato a scoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza, e sicuro frattanto che, quando se ne sdegnasse, non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro di cui con questa dimezzata confessione accreditava l’impostura. Sdegnossi Astiage ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio e con sì barbare circostanze che, non essendo necessarie all’azione che si rappresenta, trascuriamo volentieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure avido di vendetta non lasciò di libertà alle smanie paterne se non quanta ne bisognava, perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione. Fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che, se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re e ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio, il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscì così felicemente il disegno che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo, ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogni anno su’ confini del regno, dov’erano appunto le capanne di Mitridate, un solenne sacrifizio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sagrifizio, che saran quelli dell’azione che si rappresenta, parvero ad entrambi opportuni all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne com’egli ne aveva abusato (Herodotus, Clio, liber I; Giustino, libro I; Ctesia, Historiae excerpta; Valerius Maximus, liber I, capitulum VII, eccetera). |
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| INTERLOCUTORI |
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| ASTIAGE re de’ Medi, padre di Mandane |
| MANDANE moglie di Cambise, madre di Ciro |
| CIRO sotto nome d’Alceo in abito di pastore, creduto figlio di Mitridate |
| ARPAGO confidente d’Astiage, padre d’Arpalice |
| ARPALICE confidente di Mandane |
| MITRIDATE pastore degli armenti reali |
| CAMBISE principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale |
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| L’azione si rappresenta in una campagna su’ confini della Media. |
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| ATTO PRIMO |
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| SCENA PRIMA |
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| Campagna su’ confini della Media, sparsa di pochi alberi ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d’Astiage e della sua corte. Da un lato gran padiglione aperto, dall’altro steccati per le guardie reali. |
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| MANDANE seduta e ARPALICE |
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| MANDANE |
| Ma di’; non è quel bosco (Con impazienza) |
| della Media il confine? |
| ARPALICE |
| È quello. |
| MANDANE |
| Il loco |
| questo non è, dove alla dea triforme |
| ogni anno Astiage ad immolar ritorna |
5 | le vittime votive? |
| ARPALICE |
| Appunto. |
| MANDANE |
| E scelto |
| questo dì, questo loco |
| non fu dal genitore al primo incontro |
| del ritrovato Ciro? |
| ARPALICE |
| E ben, per questo |
| che mi vuoi dir? |
| MANDANE |
| Che voglio dirti? E dove |
10 | questo Ciro s’asconde? |
| Che fa? Perché non viene? |
| ARPALICE |
| Eh principessa, |
| l’ore corron più lente |
| che il materno desio. Sai che prescritta |
| del tuo Ciro all’arrivo è l’ora istessa |
15 | del sacrifizio. Alla notturna dea |
| immolar non si vuole |
| pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole. |
| MANDANE |
| È ver; ma non dovrebbe |
| il figlio impaziente?... Ah ch’io pavento... |
20 | Arpalice... |
| ARPALICE |
| E di che, se Astiage istesso, |
| che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro |
| chiama, attende, sospira? |
| MANDANE |
| E non potrebbe |
| finger così? |
| ARPALICE |
| Finger! Che dici? E vuoi |
| che di tanti spergiuri |
25 | si faccia reo? Che ad ingannarlo il tempo |
| scelga d’un sacrifizio e far pretenda |
| del tradimento suo complici i numi? |
| No; col cielo in tal guisa |
| non si scherza, o Mandane. |
| MANDANE |
| E pur, se fede |
30 | prestar si dee... Ma chi s’appressa? Ah corri... |
| Forse Ciro... |
| ARPALICE |
| È una ninfa. |
| MANDANE |
| È ver. Che pena! |
| ARPALICE |
| (Tutto Ciro le sembra). E ben? |
| MANDANE |
| Se fede |
| meritan pur le immagini notturne, |
| odi qual fiero sogno... |
| ARPALICE |
| Ah non parlarmi |
35 | di sogni, o principessa; è di te indegna |
| sì pueril credulità. Tu dei |
| più d’ognun detestarla. Un sogno, il sai, |
| fu cagion de’ tuoi mali. In sogno il padre |
| vide nascer da te l’arbor che tutta |
40 | l’Asia copria; n’ebbe timor; ne volle |
| interpreti que’ saggi, il cui sapere |
| sta nel nostro ignorar. Questi, ogni fallo |
| usi a lodar ne’ grandi, il suo timore |
| chiamar prudenza; ed affermar che un figlio |
45 | nascerebbe da te che il trono a lui |
| dovea rapir. Nasce il tuo Ciro e a morte, |
| oh barbara follia! |
| su la fede d’un sogno il re l’invia. |
| Né gli bastò. Perché mai più non fosse |
50 | il talamo fecondo |
| a te di prole e di timori a lui, |
| esule il tuo consorte |
| scaccia lungi da te. Vedi a qual segno |
| può acciecar questa insana |
55 | vergognosa credenza. |
| MANDANE |
| Eh non è sogno |
| che ormai l’ottava messe |
| due volte germogliò, da che perdei |
| nato appena il mio Ciro. Oggi l’attendo; |
| e mi speri tranquilla? |
| ARPALICE |
| In te credei |
60 | più moderato almeno |
| questo materno amor. Perdesti il figlio |
| nel partorirlo; ed il terz’anno appena |
| compievi allora oltre il secondo lustro; |
| in quella età s’imprime |
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