La contadina astuta, libretto, Napoli, 1734

                                           Io non sopporto
545Publio d’esser derisa.
 PUBLIO
 Deriderti! Se andò Cesare istesso
 a chiederne il tuo assenso.
 VITELLIA
 E Servilia?
 PUBLIO
                        Servilia,
 non so perché, rimane esclusa.
 VITELLIA
                                                          Ed io...
 PUBLIO
550Tu sei la nostra augusta. Ah principessa
 andiam. Cesare attende.
 VITELLIA
                                               Aspetta. (Oh dei?)
 Sesto?... Misera me! Sesto?... È partito. (Verso la scena)
 Publio corri... Raggiungi...
 Digli... No. Va’ più tosto... (Ah mi lasciai
555trasportar dallo sdegno). E ancor non vai?
 PUBLIO
 Dove?
 VITELLIA
                A Sesto.
 PUBLIO
                                 E dirò?
 VITELLIA
                                                 Che a me ritorni,
 che non tardi un momento.
 PUBLIO
 Vado. (Oh come confonde un gran contento!) (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 VITELLIA
 
 VITELLIA
 Che angustia è questa! Ah caro Tito! Io fui
560teco ingiusta il confesso. Ah se fra tanto
 Sesto il cenno eseguisse, il caso mio
 sarebbe il più crudel... No non si faccia
 sì funesto presagio. E se mai Tito
 si tornasse a pentir... Perché pentirsi?
565Perché l’ho da temer? Quanti pensieri
 mi si affollano in mente! Afflitta e lieta
 godo, torno a temer, gielo, m’accendo,
 me stessa in questo stato io non intendo.
 
    Quando sarà quel dì
570ch’io non ti senta in sen
 sempre tremar così
 povero core.
 
    Stelle che crudeltà!
 Un sol piacer non v’è
575che quando mio si fa
 non sia dolore. (Parte)
 
 Fine dell’atto primo
 
  Ballo di pantomimi che concertano fra loro la rappresentazione dell’Aulularia di Plauto.
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Portici.
 
 SESTO solo, col distintivo de’ congiurati sul manto
 
 SESTO
 Oh dei, che smania è questa!
 Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio,
 m’incamino, m’arresto, ogn’aura, ogn’ombra
580mi fa tremare. Io non credea che fosse
 sì difficile impresa esser malvagio.
 Ma compirla convien; già per mio cenno
 Lentulo corre al Campidoglio; io deggio
 Tito assalir. Nel precipizio orrendo
585è scorso il piè. Necessità divenne
 ormai la mia ruina. Almen si vada
 con valore a perir. Valore? E come
 può averne un traditor? Sesto infelice
 tu traditor! Che orribil nome! E pure
590t’affretti a meritarlo. E chi tradisci?
 Il più grande, il più giusto, il più clemente
 principe della terra, a cui tu devi
 quanto puoi, quanto sei. Bella mercede
 gli rendi invero. Ei t’innalzò per farti
595il carnefice suo. M’inghiotta il suolo
 prima ch’io tal divenga. Ah non ho core
 Vitellia a secondar gli sdegni tui;
 morrei prima del colpo in faccia a lui.
 S’impedisca... Ma come
600or che tutto è disposto... Andiamo, andiamo
 Lentulo a trattener. Sieguane poi
 quel che il fato vorrà. Stelle! Che miro!
 Arde già il Campidoglio! Aimè l’impresa
 Lentulo incominciò. Forse già tardi
605sono i rimorsi miei;
 difendetemi Tito eterni dei. (Vuol partire)
 
 SCENA II
 
 ANNIO e detto
 
 ANNIO
 Sesto dove t’affretti?
 SESTO
                                         Io corro amico...
 Oh dei non m’arrestar. (Come sopra)
 ANNIO
                                              Ma dove vai?
 SESTO
 Vado... Per mio rossor già lo saprai. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ANNIO, poi SERVILIA, indi PUBLIO con guardie
 
 ANNIO
610Già lo saprai per mio rossor! Che arcano
 si nasconde in que’ detti? A quale oggetto
 celarlo a me! Quel pallido sembiante,
 quel ragionar confuso
 stelle che mai vuol dir? Qualche periglio
615sovrasta a Sesto. Abbandonar nol deve
 un amico fedel. Sieguasi. (Vuol partire)
 SERVILIA
                                                 Alfine
 Annio pur ti riveggo.
 ANNIO
                                         Ah mio tesoro
 quanto deggio al tuo amor! Torno a momenti.
 Perdonami se parto.
 SERVILIA
                                        E perché mai
620così presto mi lasci?
 PUBLIO
                                        Annio, che fai?
 Roma tutta è in tumulto; il Campidoglio
 vasto incendio divora; e tu fra tanto
 puoi star, senza rossore,
 tranquillamente a ragionar d’amore!
 SERVILIA
625Numi!
 ANNIO
                (Or di Sesto i detti
 più mi fanno tremar. Cerchisi...) (In atto di partire)
 SERVILIA
                                                               E puoi
 abbandonarmi in tal periglio?
 ANNIO
                                                         (Oh dio
 fra l’amico e la sposa
 divider mi vorrei). Prendine cura
630Publio per me; di tutti i giorni miei
 l’unico ben ti raccomando in lei. (Parte frettoloso)
 
 SCENA IV
 
 SERVILIA e PUBLIO
 
 SERVILIA
 Publio, che inaspettato
 accidente funesto!
 PUBLIO
                                    Ah voglia il cielo
 che un’opra sia del caso e che non abbia
635forse più reo disegno
 chi destò quelle fiamme.
 SERVILIA
                                                Ah tu mi fai
 tutto il sangue gelar.
 PUBLIO
                                        Torna, o Servilia,
 a’ tuoi soggiorni e non temer. Ti lascio
 quei custodi in difesa e corro intanto
640di Vitellia a cercar. Tito m’impone
 d’aver cura d’entrambe.
 SERVILIA
                                               E ancor di noi
 Tito si rammentò?
 PUBLIO
                                     Tutto rammenta.
 Provede a tutto. A riparare i danni,
 a prevenir l’insidie, a ricomporre
645gli ordini già sconvolti... Oh se ’l vedessi
 della confusa plebe
 gl’impeti regolar! Gli audaci affrena;
 i timidi assicura; in cento modi
 sa promesse adoprar, minacce e lodi.
650Tutto ritrovi in lui; ci vedi insieme
 il difensor di Roma,
 il terror delle squadre,
 l’amico, il prence, il cittadino, il padre.
 SERVILIA
 Ma sorpreso così, come ha saputo...
 PUBLIO
655Eh Servilia, t’inganni.
 Tito non si sorprende. Un impensato
 colpo non v’è che nol ritrovi armato.
 
    Sia lontano ogni cimento,
 l’onda sia tranquilla e pura,
660buon guerrier non s’assicura,
 non si fida il buon nocchier.
 
    Anche in pace, in calma ancora,
 l’armi adatta, i remi appresta,
 di battaglia o di tempesta
665qualche assalto a sostener. (Parte)
 
 SCENA V
 
 SERVILIA sola
 
 SERVILIA
 Dall’adorato oggetto
 vedersi abbandonar! Saper che a tanti
 rischi corre ad esporsi! In sen per lui
 sentirsi il cor tremante! E nel periglio
670non poterlo seguir! Questo è un affanno
 d’ogni affanno maggior; questo è soffrire
 la pena del morir, senza morire.
 
    Almen, se non poss’io
 seguir l’amato bene,
675affetti del cor mio
 seguitelo per me.
 
    Già sempre a lui vicino
 raccolti amor vi tiene;
 e insolito cammino
680questo per voi non è. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 VITELLIA e poi SESTO
 
 VITELLIA
 Chi per pietà m’addita
 Sesto dov’è? Misera me! Per tutto
 ne chiedo invano, invan lo cerco. Almeno
 Tito trovar potessi.
 SESTO
                                     Ove m’ascondo,
685dove fuggo infelice! (Senza veder Vitellia)
 VITELLIA
                                        Ah Sesto, ah senti.
 SESTO
 Crudel sarai contenta. Ecco adempito
 il tuo fiero comando.
 VITELLIA
                                         Aimè, che dici!
 SESTO
 Già Tito... oh dio! già dal trafitto seno
 versa l’anima grande.
 VITELLIA
                                          Ah che facesti!
 SESTO
690No, nol fec’io, che dell’error pentito
 a salvarlo correa. Ma giunsi appunto
 che un traditor del congiurato stuolo
 da tergo lo feria. «Ferma» gridai
 ma ’l colpo era vibrato. Il ferro indegno
695lascia colui nella ferita e fugge.
 A ritrarlo io m’affretto;
 ma con l’acciaro il sangue
 n’esce, il manto m’asperge e Tito, o dio,
 manca, vacilla e cade.
 VITELLIA
                                          Ah ch’io mi sento
700morir con lui.
 SESTO
                            Pietà, furor mi sprona
 l’uccisore a punir; ma il cerco invano,
 già da me dilieguossi. Ah principessa
 che fia di me? Come avrò mai più pace?
 Quanto, ahi quanto mi costa
705il desio di piacerti!
 VITELLIA
                                      Anima rea!
 Piacermi! Orror mi fai. Dove si trova
 mostro peggior di te? Quando s’intese
 colpo più scelerato? Hai tolto al mondo
 quanto avea di più caro. Hai tolto a Roma
710quanto avea di più grande. E chi ti fece
 arbitro de’ suoi giorni?
 Di’, qual colpa inumano
 punisti in lui? L’averti amato? È vero,
 questo è l’error di Tito;
715ma punir nol dovea chi l’ha punito.
 SESTO
 Onnipotenti dei! Son io? Mi parla
 così Vitellia? E tu non fosti...
 VITELLIA
                                                      Ah taci,
 barbaro, e del tuo fallo