Demetrio, libretto, Mannheim, Pierron, 1753

                       Oh stelle!
 ANNIO, PUBLIO
                                           Oh numi!
 TITO
                                                                E quanti mai
1460quanti siete a tradirmi?
 VITELLIA
                                               Io la più rea
 son di ciascuno; io meditai la trama;
 il più fedele amico
 io ti sedussi; io del suo cieco amore
 a tuo danno abusai.
 TITO
                                       Ma del tuo sdegno
1465chi fu cagion?
 VITELLIA
                             La tua bontà. Credei
 che questa fosse amor. La destra e il trono
 da te speravo in dono e poi negletta
 restai due volte e procurai vendetta.
 TITO
 Ma che giorno è mai questo! Al punto istesso
1470che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando
 troverò, giusti numi,
 un’anima fedel? Congiuran gli astri
 cred’io per obbligarmi a mio dispetto
 a diventar crudel. No; non avranno
1475questo trionfo. A sostener la gara
 già s’impegnò la mia virtù. Vediamo
 se più costante sia
 l’altrui perfidia o la clemenza mia.
 Olà, Sesto si sciolga; abbian di nuovo
1480Lentulo e i suoi seguaci
 e vita e libertà; sia noto a Roma
 ch’io son l’istesso e ch’io
 tutto so, tutti assolvo e tutto obblio.
 ANNIO, PUBLIO
 Oh generoso!
 SERVILIA
                            E chi mai giunse a tanto!
 SESTO
1485Io son di sasso!
 VITELLIA
                               Io non trattengo il pianto.
 TITO
 Vitellia, a te promisi
 la destra mia ma...
 VITELLIA
                                     Lo conosco, Augusto,
 non è per me; dopo un tal fallo, il nodo
 mostruoso saria.
 TITO
                                 Ti bramo in parte
1490contenta almeno. Una rival sul trono
 non vedrai, tel prometto. Altra io non voglio
 sposa che Roma; i figli miei saranno
 i popoli soggetti;
 serbo indivisi a lor tutti gli affetti.
1495Tu d’Annio e di Servilia
 agl’imenei felici unisci i tuoi,
 principessa, se vuoi. Concedi pure
 la destra a Sesto; il sospirato acquisto
 già gli costa abbastanza.
 VITELLIA
                                              Infin ch’io viva
1500fia sempre il tuo voler legge al mio core.
 SESTO
 Ah Cesare, ah signore! E poi non soffri
 che t’adori la terra? E che destini
 tempi il Tebro al tuo nume? E come e quando
 sperar potrò che la memoria amara
1505de’ falli miei...
 TITO
                              Sesto, non più; torniamo
 di nuovo amici; e de’ trascorsi tuoi
 non si parli più mai. Dal cor di Tito
 già cancellati sono;
 me gli scordo, t’abbraccio e ti perdono.
 CORO
 
1510   Che del ciel, che degli dei
 tu il pensier, l’amor tu sei,
 grand’eroe, nel giro angusto
 si mostrò di questo dì.
 
    Ma cagion di meraviglia
1515non è già, felice Augusto,
 che gli dei chi lor somiglia
 custodiscano così.
 
 
 LICENZA
 
 Non crederlo, signor; te non pretesi
 ritrarre in Tito. Il rispettoso ingegno
1520sa le sue forze a pieno