Demofoonte, libretto, Stoccarda, Cotta, 1764

 FENICIO
                             Su la mia fé lo giuro.
 CLEONICE
450Siegui, Olinto.
 FENICIO
                              Non parli?
 OLINTO
 Lasciatemi tacer.
 CLEONICE
                                  Forse ricusi?
 OLINTO
 Io n’ho ragion. Né solo
 m’oppongo al giuramento. Altri vi sono...
 CLEONICE
 E ben. Su questo trono (S’alza dal trono e seco tutti)
455regni chi vuole. Io d’un servile impero
 non voglio il peso.
 FENICIO
                                    Eh non curar di pochi
 il contrasto, o regina, in faccia a tanti
 rispettosi vassalli.
 CLEONICE
                                    In faccia mia
 l’ardir di pochi io tollerar non deggio. (Scende dal trono)
460Libero il gran consiglio
 l’affar decida. O senza legge alcuna
 sceglier mi lasci o soffra
 che da quel soglio, ove richiesta ascesi,
 volontaria discenda. Almen privata
465disporrò del cor mio. Volger gli affetti
 almen potrò dove più il genio inclina;
 ed allor crederò d’esser regina.
 
    Se libera non sono,
 s’ho da servir nel trono,
470non curo di regnar,
 l’impero io sdegno.
 
    A chi servendo impera
 la servitude è vera,
 è finto il regno. (Parte Cleonice seguita da Mitrane, dai grandi, dalle guardie e dal popolo)
 
 SCENA IX
 
 FENICIO, OLINTO ed ALCESTE
 
 FENICIO
475Così de’ tuoi trasporti
 sempre arrossir degg’io? Né mai de’ saggi
 il commercio, l’esempio
 emendar ti farà?
 OLINTO
                                  Ma, padre, io soffro
 ingiustizia da te. Potresti al soglio
480innalzarmi e m’opprimi.
 FENICIO
                                                Avrebbe invero
 la Siria un degno re; torbido, audace,
 violento, inquieto...
 OLINTO
                                      Il caro Alceste
 saria placido, umile,
 generoso, prudente... Ah! Chi d’un padre
485gli affetti ad acquistar l’arte m’addita?
 FENICIO
 Vuoi gli affetti d’un padre? Alceste imita.
 
    Se fecondo e vigoroso
 crescer vede un arboscello,
 si affatica intorno a quello
490il geloso agricoltor.
 
    Ma da lui rivolge il piede,
 se lo vede in su le sponde
 tutto rami e tutto fronde,
 senza frutto e senza fior. (Parte)
 
 SCENA X
 
 OLINTO ed ALCESTE
 
 OLINTO
495Nelle tue scuole il padre
 vuol ch’io virtude apprenda. E bene, Alceste,
 comincia ad erudirmi. Ah! Renda il cielo
 così l’ingegno mio facile e destro
 che non faccia arrossir sì gran maestro.
 ALCESTE
500Signor, quei detti amari
 soffro solo da te. Senza periglio
 tutto può dir chi di Fenicio è figlio.
 OLINTO
 Io poco saggio invero
 ragionai col mio re. Signor, perdona
505se offendo in te la maestà del soglio.
 ALCESTE
 Olinto, addio. Più cimentar non voglio
 la sofferenza mia. Tu scherzi meco,
 m’insulti, mi deridi
 e del rispetto mio troppo ti fidi.
 
510   Scherza il nocchier talora