Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 SCENA VII
 
 IARBA e ARASPE
 
 IARBA
 Quant'è stolto se crede
235ch'io gl'abbia a serbar fede.
 ARASPE
 Il promettesti a lui.
 IARBA
 Non merta fé chi non la serba altrui.
 Ma vanne amato Araspe,
 Vanne le mie vendette
240un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.
 ARASPE
 Vado e sarà fra poco
 del suo, del mio valore
 in aperta tenzone arbitro il fato.
 IARBA
 No, t'arresta. Io non voglio
245che al caso si commetta
 l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta.
 Improviso l'assali, usa la frode.
 ARASPE
 Da me frode Signor! Suddito io nacqui
 ma non già traditore.
250Ogni indugio è tormento al mio furore.
 IARBA
 A me non manca
 braccio del tuo più fido.
 ARASPE
                                              E come, o dei,
 la tua virtute...
 IARBA
                              Eh che virtù? Nel mondo
 o virtù non si trova
255o è sol virtù quel che diletta e giova.
 
    Tra lo splendor del trono
 belle le colpe sono,
 perde l'orror l'inganno,
 tutto si fa virtù.
 
260   Fuggir con frode il danno
 può dubitar se lice
 quell'anima infelice
 che nacque in servitù. (Parte con Araspe)