Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 SCENA IX
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
 Tutta ho scorsa la regia,
285cercando Enea, né ancor m'incontro in lui.
 ARASPE
 Forse quindi partì.
 IARBA
                                      Fosse costui? (Vedendo Enea)
 Africano alle vesti ei non mi sembra.
 Stranier dimmi, chi sei? (Ad Enea)
 ARASPE
 (Quanto piace quel volto agl'occhi miei!) (Vedendo Selene)
 ENEA
290Troppo bella Selene...
 IARBA
                                          Olà non odi? (Ad Enea)
 ENEA
 Troppo ad altri pietosa... (A Selene)
 SELENE
 Che superbo parlar (Verso Iarba)
 ARASPE
                                       (Quanto è vezzosa!) (Verso Selene)
 IARBA
 O palesi il tuo nome o ch'io... (Ad Enea)
 ENEA
                                                        Qual dritto
 hai tu di domandarne? A te che giova?
 IARBA
295Ragione è il piacer mio.
 ENEA
                                              Fra noi non s'usa
 di rispondere a' stolti.
 IARBA
                                           A questo acciaro... (In atto di porre mano alla spada)
 SELENE
 Sugli occhi di Selene,
 nella reggia di Dido un tanto ardire?
 IARBA
 Di Iarba al messaggiero
300sì poco di rispetto?
 SELENE
                                      Il folle orgoglio
 la regina saprà.
 IARBA
                               Sappialo. Intanto
 mi vegga ad onta sua troncar quel capo
 e a quel d'Enea congiunto
 dell'offeso mio re portarlo a' piedi.
 ENEA
305Difficile sarà più che non credi.
 IARBA
 Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea
 che per glorie racconta
 tante perdite sue?
 ENEA
                                    Cedono assai
 in confronto di glorie
310alle perdite sue le tue vittorie.
 IARBA
 Ma tu chi sei che tanto
 meco per lui contrasti?
 ENEA
 Son un che non ti teme e ciò ti basti.
 
    Quando saprai chi sono
315sì fiero non sarai
 né parlerai così.
 
    Brama lasciar le sponde
 quel passaggiero ardente,
 fra l'onde poi si pente,
320se ad onta del nocchiero
 dal lido si partì. (Parte)