Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 SCENA X
 
 IARBA, SELENE ed ARASPE
 
 IARBA
 Non partirà se pria... (In atto di seguire Enea lo ferma)
 SELENE
                                         Da lui che brami?
 IARBA
 Il suo nome.
 SELENE
                          Il suo nome
 senza tanto furor da me saprai.
 IARBA
325A questa legge io resto.
 SELENE
 Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
 IARBA
 Ah m'involasti un colpo
 che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
 SELENE
 Ma perché tanto sdegno? In che t'offese?
 IARBA
330Gli affetti di Didone
 al mio signor contende,
 t'è noto e mi domandi in che m'offende?
 SELENE
 Arbace, a quel ch'io veggio
 nella scuola d'amor sei rozzo ancora.
335Un cor che s'innamora
 non sceglie a suo piacer l'oggetto amato.
 Onde nessuno offende
 quando in amor contende o allor che niega
 corrispondenza altrui. Non è bellezza,
340non è senno o valore
 che in noi risveglia amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s'adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
 la fiamma sua ma poche volte è vero. (Parte)