Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 CREUSA
 E tu, Dircea, che fai? Di te si tratta,
 si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
 corri, cerca saper... Ma tu non m’odi?
1305Tu le attonite luci
 non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
 svegliati alfin. Sempre il peggior consiglio
 è il non prenderne alcun. S’altro non fai,
 sfoga il duol che nascondi;
1310piangi, lagnati almen, parla, rispondi.
 DIRCEA
 
    Che mai risponderti?
 Che dir potrei?
 Vorrei difendermi,
 fuggir vorrei;
1315né so qual fulmine
 mi fa tremar.
 
    Divenni stupida
 nel colpo atroce;
 non ho più lagrime,
1320non ho più voce,
 non posso piangere,
 non so parlar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 CREUSA sola
 
 CREUSA
 Qual terra è questa? Io perché venni a parte
 delle miserie altrui? Quante in un giorno,
1325quante il caso ne aduna, ire crudeli
 tra figlio e genitor, vittime umane,
 contaminati tempi,
 infelici imenei! Mancava solo
 che tremar si dovesse
1330senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
 è violento il tuo furor. Conviene
 che passi o scemi. In così rea fortuna
 parte è di speme il non averne alcuna.
 
    Non dura una sventura,
1335quando a tal segno avanza.
 Principio è di speranza
 l’eccesso del timor.
 
    Tutto si muta in breve;
 e il nostro stato è tale
1340che se mutar si deve
 sempre sarà miglior. (Parte)
 
 SCENA IX
 
  Luogo magnifico nella reggia festivamente adornato per le nozze di Creusa.
 
 TIMANTE e CHERINTO
 
 TIMANTE
 Dove, crudel, dove mi guidi? Ah! Queste
 liete pompe festive
 son pene a un disperato.
 CHERINTO
                                               Io non conosco
1345più il mio german. Che debolezza è questa
 troppo indegna di te? Senza saperlo
 errasti alfin. Sei sventurato, è vero,
 ma non sei reo. Qualunque male è lieve,
 dove colpa non è.
 TIMANTE
                                  Dall’opre il mondo
1350regola i suoi giudizi; e la ragione,
 quando l’opra condanna, indarno assolve.
 Son reo purtroppo; e se finor nol fui,
 lo divengo vivendo. Io non mi posso
 dimenticar Dircea. Sento che l’amo;
1355so che non deggio. In così brevi istanti
 come franger quel nodo
 che un vero amor, che un imeneo, che un figlio
 strinser così? Che le sventure istesse
 resero più tenace? E tanta fede?
1360E sì lungo costume? Oh dio, Cherinto,
 lasciami per pietà! Lascia ch’io mora,
 finché sono innocente.
 
 SCENA X
 
 ADRASTO e poi MATUSIO, DIRCEA con OLINTO e detti
 
 ADRASTO
                                            Il re per tutto
 ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
 dal domestico tempio uscir lo vidi.
1365Ambo son lieti in volto
 né chiedon che di te.
 TIMANTE
                                         Fuggasi. Io temo
 troppo l’incontro del paterno ciglio.
 MATUSIO
 Figlio mio, caro figlio. (Abbracciandolo)
 TIMANTE
                                            A me tal nome?
 Come? Perché?