Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 SCENA XI
 
 DIDONE e IARBA
 
 DIDONE
 Senti. (Verso Enea)
 IARBA
                Lascia che parta. (S’alza Iarba)
 DIDONE
                                                 I sdegni suoi
 a me giova placar.
 IARBA
                                    Di che paventi?
 Dammi la destra e mia
 di vendicarti poi la cura sia.
 DIDONE
945D'imenei non è tempo.
 IARBA
 Perché?
 DIDONE
                  Più non cercar.
 IARBA
                                                Saperlo io bramo.
 DIDONE
 Giacché vuoi, tel dirò. Perché non t'amo,
 perché mai non piacesti agli occhi miei,
 perché odioso mi sei, perché mi piace
950più che Iarba fedele Enea fallace.
 IARBA
 Dunque, perfida, io sono
 un oggetto di riso agli occhi tuoi?
 Ma sai chi Iarba sia?
 Sai con chi ti cimenti?
 DIDONE
955So che un barbaro sei, né mi spaventi.
 IARBA
 
    Chiamami pur così.
 Forse pentita un dì
 pietà mi chiederai
 ma non l'avrai da me.
 
960   Quel barbaro che sprezzi
 non placheranno i vezzi;
 né soffrirà l'inganno
 quel barbaro da te. (Parte)