Didone abbandonata, libretto, Stoccarda, Cotta, 1763

 ENEA
                     Il re de’ Mori!
 DIDONE
 Un re sensi sì rei
 non chiude in seno, un mentitor tu sei.
480Si disarmi.
 IARBA
                        Nessuno (Snuda la spada)
 avvicinarsi ardisca o ch’io lo sveno.
 OSMIDA
 (Cedi per poco almeno
 finch’io genti raccolga, a me ti fida). (A Iarba)
 IARBA
 E così vil sarò?
 ENEA
                              Fermate amici,
485a me tocca punirlo.
 DIDONE
                                      Il tuo valore
 serba ad uopo miglior; che più s’aspetta?
 O si renda o svenato a’ piè mi cada.
 OSMIDA
 (Serbati alla vendetta). (A Iarba)
 IARBA
                                              Ecco la spada.
 
    Tu mi disarmi il fianco. (A Didone)
490Tu mi vorresti oppresso. (Ad Enea)
 Ma sono ancor l’istesso,
 ma non son vinto ancor.
 
    Soffro per or lo scorno.
 Ma forse questo è il giorno
495che domerò quell’alma, (A Didone)
 che punirò quel cor. (Ad Enea)
 
 DIDONE
 Frenar l’alma orgogliosa
 tua cura sia.
 OSMIDA
                          Su la mia fé riposa. (Parte con guardie)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, ENEA
 
 DIDONE
 Enea, salvo già sei
500dalla crudel ferita.
 Per me serban gli dei sì bella vita.
 ENEA
 Oh dio regina.
 DIDONE
                              Ancora
 forse della mia fede incerto stai?
 ENEA
 No; più funeste assai
505son le sventure mie. Vuole il destino...
 DIDONE
 Chiari i tuoi sensi esponi.
 ENEA
 Vuol (mi sento morir) ch’io t’abbandoni.
 DIDONE
 M’abbandoni! Perché?
 ENEA
                                            Di Giove il cenno,
 l’ombra del genitor, la patria, il cielo,
510la promessa, il dover, l’onor, la fama
 alle sponde d’Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
 purtroppo degli dei mosse lo sdegno.