Didone abbandonata, partitura ms. A-Wn, 1763

 quel passaggiero ardente,
 fra l’onde poi si pente,
320se ad onta del nocchiero
 dal lido si partì. (Parte)
 
 SCENA X
 
 IARBA, SELENE ed ARASPE
 
 IARBA
 Non partirà se pria... (In atto di seguire Enea lo ferma)
 SELENE
                                         Da lui che brami?
 IARBA
 Il suo nome.
 SELENE
                          Il suo nome
 senza tanto furor da me saprai.
 IARBA
325A questa legge io resto.
 SELENE
 Quell’Enea che tu cerchi appunto è questo.
 IARBA
 Ah m’involasti un colpo
 che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
 SELENE
 Ma perché tanto sdegno? In che t’offese?
 IARBA
330Gli affetti di Didone
 al mio signor contende,
 t’è noto e mi domandi in che m’offende?
 SELENE
 Arbace, a quel ch’io veggio
 nella scuola d’amor sei rozzo ancora.
335Un cor che s’innamora
 non sceglie a suo piacer l’oggetto amato.
 Onde nessuno offende
 quando in amor contende o allor che niega
 corrispondenza altrui. Non è bellezza,
340non è senno o valore
 che in noi risveglia amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s’adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
 la fiamma sua ma poche volte è vero. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 IARBA, ARASPE, poi OSMIDA
 
 IARBA
345Non è più tempo Araspe
 di celarmi così. Troppa finora
 sofferenza mi costa.
 ARASPE
                                       E che farai?
 IARBA
 I miei guerrier, che nella selva ascosi
 quindi non lungi al mio venir lasciai,
350chiamerò nella regia,
 distruggerò Cartago e l’empio core
 all’indegno rival trarrò.
 OSMIDA
                                             Signore.
 Già di Nettuno al tempio
 la regina s’invia. Sugl’occhi tuoi
355al superbo troiano,
 se tardi a riparar porge la mano.
 IARBA
 Tanto ardir?
 OSMIDA