La favola de’ tre gobbi, libretto, Venezia, Tevernin, 1753

 EZIO
                                                      Che sento!
 ONORIA
 Di recartene il cenno
 egl’istesso or m’impose. Ezio, dovresti
 consolartene alfin; veder soggetto
 tutto il mondo al suo ben pure è diletto.
 EZIO
570Ah questo è troppo! A troppo gran cimento
 d’Ezio la fedeltà Cesare espone.
 Qual dritto, qual ragione
 ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
 Disprezzarmi così? Forse pretende
575ch’io lo sopporti? O pure
 vuol che Roma si faccia
 di tragedie per lui scena funesta?
 ONORIA
 Ezio minaccia e la sua fede è questa?
 EZIO
 
    Se fedele mi brama il regnante,
580non offenda quest’anima amante
 nella parte più viva del cor.
 
   Non si lagni se in tanta sventura
 un vassallo non serba misura,
 se il rispetto diventa furor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 ONORIA e FULVIA
 
 FULVIA
585A Cesare nascondi,
 Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele.
 Parla così da disperato amante.
 ONORIA
 Mostri, Fulvia, al sembiante
 troppa pietà per lui, troppo timore.
590Fosse mai la pietà segno d’amore?
 FULVIA
 Principessa, m’offendi. Assai conosco
 a chi deggio l’affetto.
 ONORIA
 Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
 FULVIA
 Se prestar si dovesse
595tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
 dubitar ne faria. Da’ sdegni tuoi
 come soffri un rifiuto anch’io m’avvedo,
 dovrei crederti amante e pur nol credo.
 ONORIA
 Anch’io, quando m’oltraggi
600con un sospetto al fasto mio nemico,
 dovrei dirti arrogante; e pur nol dico.
 
    Ancor non premi il soglio
 e già nel tuo sembiante
 sollecito l’orgoglio
605comincia a comparir.
 
    Così tu mi rammenti