Alessandro nell’Indie, libretto, Stoccarda, Cotta, 1760

 SCENA IV
 
 ERISSENA e TIMAGENE
 
 TIMAGENE
 (O rimprovero acerbo
 che irrita l'odio mio!)
 ERISSENA
                                          Questo è Alessandro?
 TIMAGENE
 È questo.
 ERISSENA
                     Io mi credea
 che avessero i nemici
175più rigido l'aspetto,
 più fiero il cor. Ma sono
 tutti i greci così?
 TIMAGENE
                                  (Semplice!) Appunto.
 ERISSENA
 Quanto invidio la sorte
 delle greche donzelle! Almen fra loro
180fossi nata ancor io.
 TIMAGENE
                                     Che aver potresti
 di più vago, nascendo in altr'arena?
 ERISSENA
 Avrebbe un Alessandro anch'Erissena.
 TIMAGENE
 Se le greche sembianze
 ti son grate così, l'affetto mio
185posso offrirti, se vuoi. Son greco anch'io.
 ERISSENA
 Tu greco ancor?
 TIMAGENE
                                Sotto un istesso cielo
 spuntò la prima aurora
 a' giorni d'Alessandro, a' giorni miei.
 ERISSENA
 Non è greco Alessandro o tu nol sei.
 TIMAGENE
190Dimmi almen qual ragione
 sì diverso da me lo renda mai?
 ERISSENA
 Ha in volto un non so che, che tu non hai.
 TIMAGENE
 (Che pena!) Ah già per lui
 fra gli amorosi affanni
195dunque vive Erissena!
 ERISSENA
                                            Io?
 TIMAGENE
                                                     Sì.
 ERISSENA
                                                             T'inganni.
 
    Chi vive amante sai che delira;
 spesso si lagna; sempre sospira;
 né d'altro parla che di morir.
 
    Io non mi affanno, non mi querelo,
200giammai tiranno non chiamo il cielo:
 dunque il mio core d'amor non pena
 o pur l'amore non è martir. (Parte con i due prigionieri indiani accompagnata dal seguito di Timagene)