Alessandro nell’Indie, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1776

 SCENA IV
 
 ALESSANDRO e TIMAGENE
 
 TIMAGENE
860(Dei, che m'avvenne mai? Gelar mi sento!
 Mi trema il cor).
 ALESSANDRO
                                 Siam soli; (Tutto senza sdegno)
 ecco l'ora, ecco il loco, ecco Alessandro.
 Che pensi, o Timagene? A che d'intorno
 volgi il guardo così? Se Poro attendi,
865molto è lungi da noi; l'attendi invano.
 Ardir. Che? La tua mano
 all'onor di svenarmi
 non può sola aspirar?
 TIMAGENE
                                          Come! Io... svenarti?
 Ah! Qual è quell'infame,
870che ha questo in te nero sospetto impresso?
 ALESSANDRO
 Vedilo. (Gli dà il foglio da lui scritto a Poro)
 TIMAGENE
                  (Oh numi!) (Abbattuto)
 ALESSANDRO
                                          È Timagene istesso.
 TIMAGENE
 Perfido messaggier.
 ALESSANDRO
                                       Come? Si lagna
 della perfidia altrui
 chi l'esempio ne diede!
 
 TIMAGENE
                                             È ver; nel passo
875a cui ridotto io sono, (Disperato)
 più difesa o perdono
 è follia di sperar. Dovuto è questo
 mio sangue a te.
 ALESSANDRO
                                 Ma che mi giova il sangue
 d'un traditore? Ah se mi vuoi superbo
880del mio poter, rendimi il cor; ritorna
 ad esser fido.
 TIMAGENE
                            Oh delitto! Oh perdono!
 Oh clemenza maggior de' falli miei! (Inginocchiandosi con impeto e piangendo)
 ALESSANDRO
 Non più. Sorgi; in quel pianto
 già l'amico vegg'io. Sì bel rimorso
885le tue virtù ravvivi.
 Vieni al sen d'Alessandro; amalo e vivi.
 
    Serbati a grandi imprese
 acciò rimanga ascosa
 la macchia vergognosa
890di questa infedeltà. (Parte)