Il mondo della luna, libretto, Vercelli, Panialis, 1752

 tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
225di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
 Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zottico e vile
230e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
 abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quell’occhio briconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
235m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate.
 CINTIA
                                                Sì, v’adoro.
 GIACINTO
 Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
240Concedete il favore
 che rispettosamente
 e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
245Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
 non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      No me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
250d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena!
 Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate.
255Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    In quel volto siede un nume
 che fa strage del mio cor;
 in quegl’occhi veggo un lume
 che mi fa sperare amor.
260E frattanto vivo in pianto
 ed un uomo sì ben fatto
 contrafatto morirà.
 
    Se adorata esser volete,
 ecco qui, v’adorerò. (S’inginochia)
265Se al mio core non credete,
 idol mio, vel mostrerò.
 Ma crudele, oh dio! non siate
 ed abbiate almen pietà.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
270con questo sospirar, con questo piangere.
 Gli uomini non s’avveggono
 che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULIA
275Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira.
 Egli smania e delira;
 ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
280Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
 Gl’uomini sono avvezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
285a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    L’accorto uccellatore
 aspetta il tordo al laccio,
 il cauto cacciatore
 attende il daino al varco;
290così quel baronaccio
 nella mia trapolina
 alfin cader farò.
 
    Da donna scaltra e fina
 io gli farò un zimbello,
295quanto mai far si può.
 Il tristo, il cattivello
 si vederà fra un po’.
 
 SCENA VIII
 
 TULIA, poi RINALDINO
 
 TULIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei,
300son con gli amanti miei
 quanto basta severa e orgogliosa;
 ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
305fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tulia, bell’idol mio,
 de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
310che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULIA
 Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresse
315della smarrita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
 Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
320sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
 sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,