Il mondo della luna, libretto, Venezia e Treviso, Grazioli, 1753 (Treviso)

 GIACINTO
                    Che bramate?
 CINTIA
1140Voglio che voi mi amate.
 GIACINTO
                                                Questo «voglio»
 a voi, signora, non sta bene in bocca,
 perché alle donne comandar non tocca.
 CINTIA
 Ma voi siete mio schiavo.
 GIACINTO
                                                 Schiavo io fui,
 è ver, della bellezza;
1145ma veggo alfin che la bellezza nostra
 è assai migliore e val più della vostra.
 CINTIA
 Dunque voi mi lasciate?
 GIACINTO
 Se l’amor mio bramate,
 pregatemi, umiliatevi;
1150abbassate l’orgoglio e inginocchiatevi.
 CINTIA
 E così vil sarò?
 GIACINTO
                              Più non sperate
 amor da me né ch’altri amar vi voglia,
 se negate d’usar questa obbedienza.
 CINTIA
 Farlo mi converrà, per non star senza.
 
1155   Per te ho io nel core
 il martellin d’amore
 che mi percote ognior.
 
 GIACINTO
 
    Mi sta per te nel core
 con un tamburo amore
1160e batte forte ognor.
 
 CINTIA
 
    Deh, senti il tipitì.
 
 GIACINTO
 
 Lo sento, è vero sì.
 Tu senti il tapatà.
 
 CINTIA
 
 È vero il sento già.
 
 A DUE
 
1165Ma questo ch’esser può.
 
 CINTIA
 
 Io nol so.
 
 GIACINTO
 
                    Nol so io.
 
 CINTIA
 
 Ah caro!
 
 GIACINTO
 
                   Ah gioia!
 
 A DUE
 
                                      Oh dio,
 ben te lo puoi pensar.
 
 SCENA ULTIMA
 
 Luogo delizioso e magnifico, destinato per piacevole trattenimento delle femine dominanti.
 
 Tutti
 
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi,
1170voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 RINALDINO
 Se cedete l’impero,
 se a noi voi vi arrendete,
 pietà nel nostro cor ritroverete.
 TULIA
1175Tutto io cedo e m’arrendo
 e la pietà dal vostro core attendo.
 CORO (Come sopra)
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 AURORA
1180Graziosino, son vostra.
 GRAZIOSINO
 Ed io vi accetterò.
 Vi terrò, v’amerò, vi sposerò.
 CINTIA
 E voi, Giacinto mio,
 cosa di me farete?
 GIACINTO
1185Quel che di voi farò lo sentirete.
 FERRAMONTE
 Lode al ciel, finalmente s’è veduto
 che Il mondo alla roversa
 durare non potea
 e che da sé medesime
1190in rovina si mandano
 le donne superbette che comandano.
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 CORO DI UOMINI
 
1195   Pietà voi troverete
 allorché abbasserete
 la vostra vanità.
 
 TUTTI
 
    Le donne che comandano
 è Il mondo alla roversa
1200che mai non durerà.
 
 Fine del dramma
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 IL MONDO ALLA ROVERSCIA O SIA LE DONNE CHE COMANDANO
 
 
    Dramma giocoso per musica da rappresentarsi nel nuovo teatro dell’illustrissima Accademia degli Erranti di Brescia nella fiera di agosto 1753, dedicato a sua eccellenza il signor Tommaso Quirini, podestà e vicecapitanio.
    In Brescia, MDCCLIII, per Marco Vendramino, con licenza de’ superiori.
 
 
 Eccellenza,
    l’insolita allegrezza che leggete universalmente sul volto di tutti questi vostri fedelissimi popoli, eccellentissimo signore, certamente è cagionata dalla sicurezza che hanno di godere, pel vostro saggio provvedimento, quel felicissimo governo che tanto sospirano. Ora, siccome per ciò ottenere richieggonsi tutte quelle gravissime cure ed ottima direzione, che voi siete solito usare in ogni vostra sì pubblica come privata incombenza, così abbiamo pensato di dare alle medesime un qualche alleggiamento coll’offerirvi il presente dramma giocoso, il quale, come potete agevolmente conoscere, non ha altro fine che quello di staccarvi per qualche brieve spazio di tempo da que’ sodi e difficili pensieri che andate studiando di mettere in opera per renderci appieno felici. Siamo già certi di ottenere da voi un generosissimo aggradimento come un naturale effetto di quelle doti che il vostro grand’animo adornano; e ciò appunto è quanto noi potevamo bramare per darvi un argomento della gratitudine nostra e per farvi conoscere la stima ed ossequio innalterabile con cui ci protestiamo di vostra eccellenza divotissimi, obligatissimi servidori.
 
    I cavalieri direttori
 
 
 ATTORI
 
 RINALDINO
 (la signora Angela Conti detta la Taccarini)
 CINTIA
 (la signora Serafina Penni)
 GIACINTO
 (il signor Filippo Laschi, virtuoso di camera di sua altezza reale il principe Carlo, duca di Lorena e Bar, eccetera)
 TULLIA
 (la signora Angela Sartori)
 AURORA
 (la signora Agata Ricci)
 GRAZIOSINO
 (il signor Giovanni Leonardi)
 FERRAMONTE
 (il signor Gianfrancesco Alfani; la signora Cattarina Masi)
 
 
 BALLERINI
 
    Il signor Francesco Turchi, la signora Teresa Colonna, il signor Lucca Borghese, la signora Margherita Falchini, il signor Antonio Sacchi, la signora Anna Maria Cazzoli detta Massese, il signor Bortolomeo Cambi, la signora Giuditta Falchini, il signor Vicenzo Turchi, la signora Elena Bottini.
    Li balli sono di vaga e nuova invenzione del signor Francesco Turchi, il vestiario del signor Natale Canziani.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENA
 
    Atto primo: atrio magnifico, corrispondente alla gran piazza, ornato di spoglie virili, acquistate in varie guise dalle accorte femine; appartamenti nobili nel palazzo delle femine dominanti; luogo magnifico per il ballo.
    Atto secondo: camera preparata per il femminile consiglio; deliziosa alla riva del mare, il quale formando un seno nel lido offre commodo sbarco a piccioli legni; camera; boscareccia con vedute per il ballo.
    Atto terzo: appartamenti nobili; luogo magnifico e delizioso destinato al divertimento delle donne primarie.
    La scena si rappresenta in un’isola degli antipodi.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all’intorno, acquistate in varie guise dalle accorte femine. Termina il cortile con archi maestosi, oltre i quali vedesi la gran piazza, da dove entrano nel cortile sovra carro trionfale, tirato da vari uomini:
 
 TULLIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle cattene e delle vittoriose insegne; mentre si canta il coro, gli uomini s’incatenano
 
 TULLIA, CINTIA, AURORA, CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULLIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno.
 Se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno, non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partano gli uomini incatenati, condotti dalle donne. Le tre sudette scendono dal carro, il quale si fa retrocedere per la parte dond’è venuto)
 
 SCENA II
 
 TULLIA, CINTIA e AURORA
 
 TULLIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo e orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver, ma crudeltà consuma amore.
 Io consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULLIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 esser ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar; voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare;
 e vuo’ che, doppo un lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULLIA ed AURORA
 
 TULLIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tullia, voi, per dir vero,
 saggiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 Anzi madre natura
75alla breve statura
 del vostro corpo graziosetto e bello
 ha supplito con darvi assai cervello,
 indi la madre vostra
 vi diè il nome di Tullia con ragione,
80poiché sembrate un Tulio Cicerone.
 TULLIA
 Raguniamo il consiglio.
 Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si renda
 impossibile a l’uom scuotere il giogo.
85Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
    Fiero leon, che audace
 scorse per l’ampia arena,
 soffre la sua catena
90e minacciar non sa.
 
    Ma se quei lacci spezza,
 ritorna alla fierezza,
 stragi facendo ei va.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
95puol recar alla donna il fier rigore!
 Il trattar con amore
 gl’uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitude in pace
 e la femina gode e si compiace.
100Io fra quanti son presi ai lacci nostri
 amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino,
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
105Elà. (Esce un servo) Venga qui tosto
 Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
110Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO