Il mondo della luna, libretto, Praga, 1755

 ed or di quelle misere
 vendetta si fa qui.
 
 SCENA VIII
 
 TULIA, poi RINALDINO
 
 TULIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei.
325Son con gli amanti miei
 quanto basta severa e orgogliosa
 ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
330fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tulia, bell’idol mio,
 de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
335che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULIA
 Dite il ver Rinaldino,
 siete pentio ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
340della smarrita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
 Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
345sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
 sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,
350fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
 godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
355siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
 Noi dai consigli escluse,
 prive d’autorità, come se nate
 non compagne dell’uom ma serve e schiave,
 solo ad opre servili
360condannate dal vostro ingrato sesso,
 far per noi si dovria con voi lo stesso.
 Ma nostra autorità, nostro rigore
 temprerà dolce amore
 ed il vostro servir, che non sia grave,
365sarà grato per noi, per voi soave.
 
    Fra pene un core
 diviene amante
 e più costante,
 se può soffrir.
 
370   Li rende amore
 per sua mercede
 meno dolore
 nel suo martir.
 
 SCENA IX
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
375che dura ed aspra sia
 d’amor la prigionia? Finché un amante
 vive dubioso e incerto
 fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
380s’abbandona al piacer gode e non sente
 i rimorsi del cor... Ma oh dio! purtroppo
 li risento al mio sen, malgrado al cieco
 abbandono di me fato al diletto
 e mi sgrida l’onore a mio dispetto.
385Ah! Che farò? Si studi,
 se possibile sia, scacciar dal cuore
 il residuo fatal del mio rossore.
 
    Son qual legno in grembo all’onda
 che agitato in mar crudele,
390senza remi e senza vele,
 scorre questa e quella sponda
 già vicina a naufragar.