Il negligente, libretto, Venezia, Savioli, 1771

 ERNESTO e CECCO
 
 CECCO
 Costui dovrebbe al certo
 esser ricco sfondato.
 ERNESTO
                                        E a che motivo?
 CECCO
 Perché a far il mezzano
220egli non ha difficoltade alcuna.
 Ed è questo un mestier che fa fortuna.
 ERNESTO
 Tu dici male; Ecclitico è sagace
 e se in ciò noi compiace
 il fa perché Clarice ei spera ed ama.
 CECCO
225Ho inteso, ho inteso. Ei brama
 render contenti i desideri suoi
 e vuol far il piacer pagar a noi.
 ERNESTO
 Orsù taci e rammenta
 chi son io, chi sei tu.
 CECCO
230Per cent’anni, padron, non parlo più.
 ERNESTO
 Vado in questo momento
 danaro a provveder. Tu va’, m’attendi
 d’Ecclitico all’albergo, ove domani,
 mercé il di lui talento,
235spero che l’amor mio sarà contento.
 
    Grandi è ver son le mie pene
 nel pensar al caro bene
 ma il mio cor si strugge intanto,
 benché speri un dì pietà.
 
240   Il mio spirto resta oppresso
 né ravviso più me stesso
 e consola questo pianto
 la perduta libertà.
 
 SCENA VI
 
 CECCO solo
 
 CECCO
 Qualche volta il padrone mi fa ridere.
245Ei segue il mondo stolido
 che cambia a tutto il termine
 e il nome cambia ben e spesso agli uomini.
 Per esempio a un ippocrita
 si dice uom divotissimo;
250all’avaro si dice un bravo economo
 e generoso vien chiamato il prodigo.
 Così appella talun bella la femina,
 perché sul volto suo la biacca semina.