L’olimpiade (Jommelli), libretto, Stoccarda, Cotta, 1761

 SCENA X
 
 AMINTA e detti
 
 AMINTA
 Ah Licida... (Vuol abbracciarlo)
 CLISTENE
                         T'accheta.
1330Rispondi e non mentir. Questo monile
 donde avesti?
 AMINTA
                             Signor, da mano ignota,
 già scorse il quinto lustro
 ch'io l'ebbi in don.
 CLISTENE
                                     Dov'eri allor?
 AMINTA
                                                                Là dove
 in mar presso a Corinto
1335sbocca il torbido Asopo.
 ALCANDRO
                                              (Ah ch'io rinvengo (Guardando attentamente Aminta)
 delle note sembianze
 qualche traccia in quel volto. Io non m'inganno;
 certo egli è desso). Ah d'un antico errore, (Inginocchiandosi)
 mio re, son reo. Deh mel perdona. Io tutto
1340fedelmente dirò.
 CLISTENE
                                  Sorgi, favella.
 ALCANDRO
 Al mar, come imponesti,
 non esposi il bambin; pietà mi vinse.
 Costui straniero, ignoto
 mi venne innanzi e gliel donai, sperando
1345che in rimote contrade
 tratto l'avrebbe.
 CLISTENE
                                E quel fanciullo, Aminta,
 dov'è? Che ne facesti?
 AMINTA
                                           Io... (Quale arcano
 ho da scoprir!)
 CLISTENE
                              Tu impallidisci? Parla,
 empio, di', che ne fu? Taccendo aggiungi
1350all'antico delitto error novello.
 AMINTA
 L'hai presente, o signor; Licida è quello.
 CLISTENE
 Come! Non è di Creta
 Licida il prence?
 AMINTA
                                  Il vero prence in fasce
 finì la vita. Io ritornato appunto
1355con lui bambino in Creta, al re dolente
 l'offersi in dono; ei dell'estinto invece
 al trono l'educò per mio consiglio.
 CLISTENE
 Oh numi, ecco Filinto, ecco il mio figlio! (Abbracciandolo)
 ARISTEA
 Stelle!
 LICIDA
               Io tuo figlio?
 CLISTENE
                                         Sì. Tu mi nascesti
1360gemello ad Aristea. Delfo m'impose
 d'esporti al mar bambino, un parricida
 minacciandomi in te.
 LICIDA
                                          Comprendo adesso
 l'orror che mi gelò, quando la mano
 sollevai per ferirti.
 CLISTENE
                                     Adesso intendo
1365l'eccessiva pietà che nel mirarti
 mi sentivo nel cor.
 AMINTA
                                     Felice padre!
 ALCANDRO
 Oggi molti in un punto
 puoi render lieti.
 CLISTENE
                                  E lo desio. D'Argene
 Filinto il figlio mio,
1370Megacle d'Aristea vorrei consorte;
 ma Filinto, il mio figlio, è reo di morte.
 MEGACLE
 Non è più reo, quando è tuo figlio.
 CLISTENE
                                                                È forse
 la libertà de' falli
 permessa al sangue mio? Qui viene ogni altro
1375a dimostrar valor; l'unico esempio
 esser degg'io di debolezza? Ah questo
 di me non oda il mondo. Olà ministri,
 risvegliate su l'ara il sacro fuoco.
 Va', figlio e mori. Anch'io morrò fra poco.
 AMINTA
1380Che ingiustizia inumana!
 ALCANDRO
 Che barbara virtù!
 MEGACLE
                                     Signor, t'arresta.
 Tu non puoi condannarlo. In Sicione
 sei re, non in Olimpia. È scorso il giorno
 a cui tu presiedesti. Il reo dipende
1385dal publico giudicio.
 CLISTENE
                                        E ben s'ascolti
 dunque il publico voto. A pro del reo
 non prego, non comando e non consiglio.
 
 CORO DI SACERDOTI E POPOLO
 
    Viva il figlio delinquente,
 perché in lui non sia punito
1390l'innocente genitor.
 
    Né funesti il dì presente,
 né disturbi il sacro rito
 un'idea di tanto orror.
 
 Fine dell’atto terzo