Il prigionier superbo, partitura ms. I-Nc Rari 7.6.7-8; olim 30.4.14-15

 SCENA II
 
 METALCE, VIRIDATE ed ERICLEA in disparte
 
 METALCE
 No principe, Rosmene
 piegar non sa l'alma superba ai voti
 d'un amore in cui vede
 la man che le balzò dal trono il padre:
380nelle pene d'amore è il miglior ben
 la lontananza: al soglio
 della Dania ti rendi, ove ti aspetta
 il real genitore per rimirarti
 sul crine invitto i trionfali allori.
 ERICLEA
385(Empio! Vuole il rivale
 allontanar da' suoi novelli amori).
 VIRIDATE
 Ed io potrei, signor, trar lungi il piede
 da questa regia, in cui
 il sol degl'occhi miei sparge il suo lume?
 METALCE
390Principe, ov'è quel core...
 ERICLEA
 Eh! che parlar d'amore
 non lice in questo giorno
 a Metalce; che cinto
 di marziali allori,
395vuol sua gloria che attenda
 a mieter palme, e non trattare amori.
 Non è così?
 METALCE
                        (Costei m'annoia). E forse
 questo debole affetto
 m'esce dal core, in cui la gloria ingombra
400tutta la vastità de' miei pensieri.
 ERICLEA
 Su via, siegui la legge
 ch'ella ti detta: alle mie chiome innesta
 la norveggia corona
 e ritorna al tuo ciel; che chi ha le vene
405gonfie di reggio sangue
 per dover, per ragione
 non mancano già mai spose e corone.
 METALCE
 De' miei vassalli il sangue
 di questo regno è il prezzo; ed io non cedo
410sì di leggieri un trono,
 che a me concesse il mio valor in dono.
 ERICLEA
 Questo detta la gloria? Eh! dì, infedele,
 che serbi questo trono
 a Rosmene.
 VIRIDATE
                         (Che sento!)
 ERICLEA
                                                  Ingrato! è questa,
415questa è la fé giurata al mio gran padre?
 queste le nozze mie? questo il mio regno?
 Rosmene, il so. Crudele, entro il tuo core
 trionfa d'Ericlea.
 VIRIDATE
                                  (E fia ciò vero?)
 METALCE
 Del mio core, io non rendo
420raggione altrui: del tuo gran padre all'ombra
 su le vie degl'Elisi
 la mia fede non pensa,
 ed è legge dei re la lor potenza.
 ERICLEA
 
    Serba per altri rai
425quell'alma infida, accesa,
 ché un dì d'avermi offesa
 forse ti pentirai,
 ma non t'ascolterò.
 
    Tu ridi, o traditore,
430io piango i mali miei,
 ma goderà il mio core
 quando punir dai dei
 il tuo fallir vedrò.