Li prodigi della divina grazia, partitura ms. F-Pn (San Guglielmo d’Aquitania)

 DEMONIO
390Pur ch'io mi serbi altero,
 delle cadute mie sprezzo il pensiero.
 Ma frattanto il timore
 mille funeste idee mi forma in mente.
 Dal mio danno presente,
395quanti già in ciel maturi
 argomentar mi fa danni futuri.
 Di Guglielmo all'esempio,
 quanti ad onta mia verranno a queste
 solitarie foreste. Ah d'alme ree
400si scemerà il dovuto
 all'averno tributo,
 e il ciel trionferà. Barbara sorte,
 io non son vinto ancor. Contro Guglielmo,
 perché non rida il ciel sovra i miei danni,
405s'accenda l'ira mia, s'usin gl'inganni.
 
    A sfogar lo sdegno mio,
 ho vendetta e non pietà.
 
    Sol per far contrasto a Dio,
 armo il sen di crudeltà.
 
410Ma dall'antro d'Arsenio a questa parte
 torna Guglielmo. All'arte.
 SAN GUGLIELMO
 Quanto Arsenio m'impose
 eseguirò, mio Dio. Verso Innocenzo,
 che sostiene le tue veci infra i mortali,
415il passo volgerò; perch'ei mi sciolga
 dal laccio, onde m'avvinsi pertinace,
 mi stringa al seno suo, mi doni pace.
 DEMONIO
 E qual mai ti lusinga
 di pace e di perdon folle speranza,
420mostro d'infedeltà, reo d'incostanza?
 SAN GUGLIELMO
 Aimè! Qual voce il mio gioir funesta?
 Chi mi turbò?
 DEMONIO
                             Voce del cielo è questa.
 SAN GUGLIELMO
 Peccai: purtroppo è vero.
 DEMONIO
 Al successor di Pietro
425quando negasti ubbidienza e fede,
 e per te la negar' i tuoi vassalli,
 la misura de' falli
 che Dio soffrir volea, compisti a segno,
 che già piomba su te l'eterno sdegno.
 SAN GUGLIELMO
430Pietà, Signor, pietà.
 DEMONIO
                                       Non v'è pietade.
 Andrai d'averno all'infelice stanza,
 mostro d'infedeltà, reo d'incostanza.
 SAN GUGLIELMO
 Più non reggo al dolor: languir mi sento:
 tutta m'occupa l'alma alto spavento.
 
435   Manca tremante il piè,
 cresce l'affanno al cor.
 Chiedo pietà, mercé,
 e sento dirmi ancor:
 «mostro d'infedeltà, reo d'incostanza».
 
440   Il mio timor m'uccide,
 m'uccide il mio dolor; vissi abastanza.
 
 Padre e Signor, che in questo tronco amaro
 versasti un dì su le mie colpe il sangue;
 fra le tue braccia, e in questo sen tuo caro
445diffendi, o offeso ben, l'alma che langue.