L’Arcadia in Brenta, libretto, Milano, Malatesta, 1751

 SCENA VI
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
845Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch'io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
850mi par troppo sofistica).
 LINDORA
                                               Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  (E pur, se mi volesse,
 io non riscuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni,
855non l'avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quasi in petto una vena m'è creppata.
 FABRIZIO
 Cancaro. Se ne guardi.
 LINDORA
860Sederei volontier ma questa sedia
 è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico. Eh reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt'obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
865Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
 cotesta imbottitura
 ch'io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
 Porta la mia poltrona.
 LINDORA
870Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
 Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh corpo d'un giudio.
875Ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                                Portate via
 la sedia ed il guanciale,
 quell'odor di vacchetta mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccole un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest'è un strappazzo,
880lo conosco, lo so; no, non credevo
 dover soffrir cotanto;
 (io creppo dalle risa e fingo il pianto).
 
    Voglio andar... Non vuo' più star,
 più beffata esser non vuo',
885signorsì, me n'anderò.
 Sono tanto delicata
 ch'ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
 che m'ha fatto lagrimar.
 
890   (Il bagiano se lo crede,
 e non vede
 ch'io sol fingo la sdegnata
 ma per farlo disperar).