Artaserse, libretto, Roma, Amidei, 1749

 SCENA XV
 
 ARTABANO
 
 ARTABANO
 Son pur solo una volta e dall'affanno
1170respiro in libertà; quasi mi persi
 nel sentirmi d'Arbace
 giudice destinar. Ma superato
 non si pensi al periglio;
 salvai me stesso, or si difenda il figlio.
 
1175   Così stupisce e cade
 pallido e smorto in viso
 al fulmine improviso
 l'attonito pastor.
 
    Ma quando poi s'avvede
1180del vano suo spavento,
 sorge, respira e riede
 a numerar l'armento
 disperso dal timor.
 
 Son pur solo alfin: solo?... ma oh dio!
1185Serse là non vegg'io?
 Dario quegli non è? L'uno m'addita
 la barbara ferita
 che gl'impressi nel seno;
 l'altro m'accenna il suolo
1190dello sparso suo sangue ancor vermiglio
 per cenno del german, per mio consiglio.
 Oh rimorso! Oh terror... ma quale ascolto
 di gemiti e singulti orribil suono?
 Squallide in viso e con il crin disciolto
1195qui Mandane e Semira?... oh dio! tacete;
 v'intendo sì, v'intendo; il figlio, Arbace
 vien condotto a morire; e tu segnasti
 la sentenza terribile e fatale,
 barbaro genitore?
1200Né la man ti tremò, né gelò il core?
 Ma che tardo? Già presi
 de' delitti la via; questa si segua;
 si sollevin le schiere; il serto, il foco
 faccia scorrer per tutto
1205la strage, il sangue, il lutto;
 purché il figlio non mora
 pera il regno, Artaserse e il padre ancora.
 
    Ombre fiere invan fremete
 non vi curo e non vi temo;
1210deh partite, deh tacete,
 non ascolto in quest'estremo
 che il mio figlio e il mio dolor.
 
    Caro figlio non fia mai
 che per me tu vada a morte;
1215ma se alfin morir dovrai
 cadrà teco il padre ancor.
 
 Fine dell’atto secondo