Artaserse, libretto, Roma, Amidei, 1749

 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
865tanti bei ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
 Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
 sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
 Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
870L’orologio, l’anello
 si potriano impegnar.
 FABRIZIO
                                           Sì, dite bene.
 FORESTO
 Ma non so se denaro
 si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
 questa scatola ancor, più non mi resta,
875Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
 Siete un grand’uom! Peccato
 che non abbiate il tesor maggior del mondo
 (che tosto noi gli vederemo il fondo).
 Vado a trovar denaro
880e tosto a voi ritorno,
 un certo non so che si va ideando,
 qualor torno saprete il come, il quando.
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
 Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch’io godessi
885da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore!
 LINDORA
 Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
 mi par troppo flematica).
 LINDORA
                                                 Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  Io non ricuserei
890di far un poco il cicisbeo con lei.
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con cariccatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni!
 Non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta infiata;
895quas’in petto una vena m’è creppata.
 FABRIZIO
 Cancaro. Se ne guardi.
 LINDORA
 Sederei volontier ma questa sedia
 è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
900Ehi... Dico pian, non tema. Ehi reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo. Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 LINDORA
                                     Molt’obligata.
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
 cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
905Rimediarvi convienne.
 Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è patrona. (Torna il servo colla poltrona)
 Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh! Peggio, no
 no no, non me ne curo;
910il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh! Corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
 Portate via sedia ed il guanciale,
 quell’odor di vacchetta ahi mi fa male! (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
915Eccole un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strappazzo,
 lo conosco, lo so; no, non credevo
 dover soffrir cotanto;
 io crepo dalle risa e fingo il pianto.
 
 Aria
 
920   Voglio andar... Non vuo’ più star,
 più beffata esser non vuo’,
 signorsì, me n’anderò.
 Sono tanto tenerina
 che ogni cosa mi scompone;
925e voi siete la cagione
 che m’ha fatto lagrimar.
 
    Se sdegnarmi almen sapessi,
 vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz’altro morirei,
930se m’avessi ad arrabiar.
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può, corpo del diavolo,