L’Arcadia in Brenta, libretto, Amburgo, Spieringk, 1755

                                         Anzi bellissimi.
810Io, che stolto non son, scelta ho per ninfa
 donna di senno e di beltà.
 ROSANNA
                                                  Di grazia,
 non seguite anche voi quel vil costume
 di adular per piacere.
 GIACINTO
                                          Ah nol temete;
 io vi stimo assai più che non credete.
 ROSANNA
815Per or godo l’onore
 che siate mio pastore
 ma, terminata poi l’Arcadia nostra,
 pastorella non son, non son più vostra.
 GIACINTO
 Chi sa, se non sdegnate
820di chi v’adora il core,
 io per sempre sarò vostro pastore.
 ROSANNA
 Felicissima Arcadia allor direi,
 se tutti i giorni miei
 lieta passar potessi al colle, al prato
825col mio pastor, col mio Giacinto a lato.
 
    Se di quest’alma i voti
 ascolta il dio d’amor,
 lieto sarà il mio cor,
 sarò felice.
 
830   Per or di più non dico
 ma forse un dì verrà
 che il labbro dir potrà
 quel ch’or non lice.
 
 SCENA V
 
 GIACINTO solo
 
 GIACINTO
 Purtroppo è ver che s’introduce il foco
835d’amor ne’ nostri petti e a poco a poco
 queste villeggiature
 in cui sì francamente
 tratta e conversa ognun di vario sesso,
 queste cagionan spesso
840nella stagion de’ temperati ardori
 impegni, servitù, dolcezza, amori.
 
    Per passar dagli occhi al core
 apre il varco al dio d’amore
 la moderna libertà.
 
845   Anche amore andria sommesso
 se si usasse col bel sesso
 la primiera austerità.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
 Non vo’ sentire, non vo’ sentire.
 FORESTO
 Eh via, signor Fabrizio,
850siete un uom di giudizio,
 siete un uomo civile,
 non fate che vi domini la bile.
 FABRIZIO
 Che bile? Che m’andate
 bilando e strabilando?
855Ve ne dovete andar qualor vi mando.
 FORESTO
 Finalmente fu scherzo.
 FABRIZIO
 Sì, fu scherzo ma intanto
 l’orologgio, la scatola e l’anello
 non si vedono più.
 FORESTO
                                     Sete in errore;
860eccovi l’orologgio,
 la scatola e l’anello.
 Ciò ch’ha di vostro ognun di noi vi rende
 né d’usurpar il vostro alcun pretende. (Gli dà l’orologgio, la scattola e l’anello)
 FABRIZIO
 Eh non dico, non dico ma vedermi
865strapazzato e deriso...
 FORESTO
 Lo fan sul vostro viso
 per prendersi piacer ma dietro poi
 le vostre spalle ognun vi reca lode
 e del vostro buon cuor favella e gode.
 FABRIZIO
870Son buon amico; e faccio quel ch’io posso.
 FORESTO
 A proposito, amico,
 che facciam questa sera?
 La carrozza è venduta.
 Sono andati i cavalli
875e da cena non v’è.
 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
 tanti bei ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
 Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
 sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
880Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
 L’orologio e l’anello
 si potrian impegnar.
 FABRIZIO
                                         Sì, dite bene.
 FORESTO
 Ma non so se denaro
 si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
885questa scatola ancora.
 Altro più non mi resta,
 Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
 Siete un grand’uom; peccato
 non abbiate il tesor maggior del mondo
890(che presto noi gli vederemo il fondo).
 Vado a trovar denaro
 e tosto a voi ritorno.
 Un certo non so che si va ideando.
 Qualor torno saprete il come e il quando. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
895Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
900mi par troppo flemmatica).
 LINDORA
                                                     Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  (E pur, se mi volesse,
 io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni.
905Non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quas’in petto una vena m’è crepata.
 FABRIZIO
 Cancaro. Se ne guardi.
910Favorisca.
 LINDORA
                      M’aiuti.
 FABRIZIO
                                       Eccomi lesto.
 LINDORA
 Non mi tocchi.
 FABRIZIO
                              Perché?
 LINDORA
                                               Son tenerina.
 FABRIZIO
 Impastata mi par di ricottina.
 LINDORA
 Ahi son stanca.
 FABRIZIO
                               S’accomodi madama.
 LINDORA
 Sederei volontier ma questa sedia
915è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico pian, non tema. Ei reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
920cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
 Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
925Eccole, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
930la sedia ed il guanciale,
 quell’odor di vacchetta ahi mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccolo un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strapazzo.
 Lo conosco, lo so; no, non credevo
935dover soffrir cotanto;
 ahi, che mi vien per il dolore il pianto.
 
    Voglio andar... Non vo’ più star,
 più beffata esser non vo’,
 signorsì, me n’anderò.
940Sono tanto tenerina
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
 che m’ha fatto lagrimar.
 
    Se sdegnarmi almen sapessi,
945vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz’altro morirei,
 se m’avessi ad arrabbiar.
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può. Corpo del diavolo
 non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
950il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all’improviso
 stassera una comedia.
 FABRIZIO
                                           Io non ne so.
 FORESTO
 Non temete, ch’io vi contenterò.
 Il conte ha destinato
955di far da innamorato;
 da innamorata dovrà far madama.
 Lauretta fa la serva,
 io fo da genitore
 e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
960Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far? Quest’è un mestiere
 ch’è difficile assai,
 per far ridere i pazzi
 non vi vuol grand’ingegno
965ma far rider i savi è grand’impegno.
 FORESTO
 Già s’avanza la notte,
 andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò;
 mi dispiace il parlar all’improviso.
970Se fosse una commedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
 dicendo che il poeta è un ignorante. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
 gettar la colpa su la schiena altrui.
975Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
 quel ch’ha fallato è il mastro di cappella».
 E questo d’aver fatto
 gran musica si vanta,
980e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impresario
 senza saper qual siane la cagione
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
    Perché riesca bene un’opera,
985quante cose mai vi vogliono!
 Libro buono e buona musica,
 buone voci e donne giovani,
 balli, suoni, scene e macchine.
 E poi basta? Signor no.
990Che vi vuole? Io non lo so!
 Ma nol sa nemmen chi critica,
 benché ognun vuol criticar.
 
    Parla alcuno per invidia,
 alcun altro per non spendere,
995mentre il più di tutti gli uomini
 col capriccio che li domina
 suol pensare e giudicar.
 
 SCENA X
 
 Sala.
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella. LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 IL CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome ccà.
 IL CONTE
 Siccome un’atra nube
1000s’oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quelle mura
 coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede, ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
1005Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
 IL CONTE
 Fedelissimo servo,
 batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 IL CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 IL CONTE
 Finger dei che vi sia.
1010Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
 come i comici fanno alla commedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme una grazia;
 perché da tozzolare aggio alla porta?
 IL CONTE
1015Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Ccà sulla strada?
 IL CONTE
 È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti
1020ma ciò sogliono usar i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
 quando ho battuto io, battesse a me?
 IL CONTE
 Lascia far, non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Sono io.
 LAURA
1025Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 IL CONTE
                                               Chi siete voi,
 quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 IL CONTE
 Di Diana cameriera?
 LAURA
1030Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 IL CONTE
                                       Deh vi prego.
 Chiamatela di grazia.
 LAURA
                                          Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
 vienence ancora tu,
1035che a nce devertarimmo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l’usanza,
 se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
    Il padron colla padrona
1040fa l’amor con nobiltà.
 Noi andiamo giù alla bona
 senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
1045Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene»
 e facciamo presto presto
 tutto quel che s’ha da far.
 
    Dicon lor ch’è un gran tormento
1050quell’amor che accende il core;
 diciam noi ch’è un gran contento
 quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi,
1055penan molto e parlan tardi.
 Noi diciam quel che conviene
 senza tanto sospirar. (Si ritira fingendo chiamar Diana)
 
 IL CONTE
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceressi, o Menarella?
 IL CONTE
1060Ecco, viene quel bel che m’innamora?
 FABRIZIO
 Con essa vene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 IL CONTE
 Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 IL CONTE
1065Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
 Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
 Ah tu si’ la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 E voi siete il mio caro Pulcinella.
 IL CONTE
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
1070Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
 Per te mi sento lo Vesuvio in pietto. (A Laura)
 LAURA
 Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 IL CONTE
 
    Vezzosetta, mia diletta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia caretta.
 
 LINDORA
 
1075Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
 Pulcinella bello mio.
 
 LINDORA
 
 Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po’ abbracciar. (Viene Foresto da Pantalone)
 
 PANTALONE
 
1080   Ola, ola, cossa feu?
 Abbrazzai? Cagadonai?
 Via caveve, via de qua!
 
 LINDORA
 
    Io m’inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padrone.
 
 IL CONTE
 
1085Riverisco mio signore.
 
 FABRIZIO
 
 Te so’ schiavo Pantalone.
 
 FORESTO
 
 El ziradonarve attorno,
 tutti andeve a far squartar.
 
 IL CONTE
 
    Vuol ch’io vada?
 
 FORESTO
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
1090Vado anch’io?
 
 FORESTO
 
                             Mi v’ho mandao.
 
 IL CONTE
 
 Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
 Anderò con Menarella.
 
 LINDORA, LAURA
 
 Io contenta venirò.
 
 FORESTO
 
 Via tiolé sto canelao.
1095Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
    Signor padre, per pietà. (S’inginocchia)
 
 LAURA
 
 Gnor padron, per carità. (S’inginocchia)
 
 IL CONTE
 
 Deh vi supplico ancor io. (Fa lo stesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio. (Fa lo stesso)
 
 FORESTO
 
1100Duro star no posso più.
 Via mattazzi, levé su.
 
 A QUATTRO
 
    Io vi prego.
 
 FORESTO
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
 Vi scongiuro.
 
 FORESTO
 
                           Vegnì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
1105Alla fin son venezian,
 m’avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
 Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
    Viva, viva il dolce affetto,
 viva, viva quel diletto
1110che produce un vero amor,
 che consola il nostro cor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera.
 
 FABRIZIO, poi LAURETTA
 
 FABRIZIO
 Ohimè? Dove m’ascondo?
 Ohimè, che son andato in precipizio.
 Povera Arcadia! Povero Fabrizio!
1115È finito il denaro;
 è venduto il vendibile. Ogni cosa
 alfin s’è terminata il giorno d’ieri
 e non v’è da mangiar pei forastieri.
 Oh sorte! Oh cielo! Oh fato!
1120Io non so che mi far, son disperato.
 LAURA
 Signor Fabrizio d’ogni grazia adorno,
 io gli auguro buongiorno.
 FABRIZIO
 Grazie a vusignoria.
 LAURA
 Che mai ha, che mi pare
1125alterato un tantin?
 FABRIZIO
                                     Mi duole il capo.
 LAURA
 Me ne dispiace, anch’io
 mi sento nello stomaco aggravata,
 beverei volentier la cioccolata.
 FABRIZIO
 (La solita campana).
 LAURA
                                        Vuol far grazia
1130d’ordinarla in cucina?
 FABRIZIO
 (Certo tu non la bevi stamatina).
 
 SCENA II
 
 Madama LINDORA e detti
 
 LINDORA
 Signor Fabrizio, amabile e garbato,
 ella sia il ben levato.
 FABRIZIO
                                        Ancora lei...
 LINDORA
 Supplicarla vorrei
1135ordinar mi sia data
 la mia colazioncina praticata.
 FABRIZIO
 E in che consiste la sua collazione?
 LINDORA
 Fo pestar un cappone,
 poscia lo fo bollire a poco a poco
1140e lo fo consumar fin che vi resta
 di brodo un scudellino
 e vi taglio due fette di panino.
 FABRIZIO
 Se il cappon non vi fosse...
 LINDORA
                                                  Oh me meschina!
 Certo mi ammalerei,
1145certo per debolezza io morirei.
 FABRIZIO
 Se il brodo di cappon vuol aspettare,
 stamattina madama ha da crepare.
 
 SCENA III
 
 Il CONTE e detti
 
 IL CONTE
 Nostro eroe, nostro nume, (A Fabrizio)
 giacché nel principato
1150anco per questo dì fui confermato,
 impongo che si faccia
 una solenne strepitosa caccia.
 I cacciator son lesti,
 sono i cani ammaniti, altro non manca
1155che il generoso core
 d’ospite così degno
 supplisca dal suo canto al grande impegno.
 FABRIZIO
 Come sarebbe a dir?
 IL CONTE
                                         Poco e polito,
 un sferico pasticcio,
1160due volatili alessi,
 un quadrupede arrosto,
 torta, latte, insalata e pochi frutti.
 E poi il di lei bel cor contenta tutti.
 FABRIZIO
 Ah non vuol altro? Sì, sarà servito.
1165Stamane il desinar sarà compito.
 
 SCENA IV
 
 FORESTO e detti
 
 FORESTO
 Signor Fabrizio.
 FABRIZIO
                                 Ebben, che c’è di nuovo?
 FORESTO
 È un’ora che vi cerco e non vi trovo.
 Dove diavolo è
 il rosolio, il caffè?
1170Giacinto ne vorria, Rosanna il chiede
 e un cane che lo porti non si vede.
 FABRIZIO
 Oh canchero, mi spiace! Presto presto,
 Pancrazio, dove sei? (Viene il servo)
 Apri l’orecchio bene.
1175Servi questi signor come conviene.
 
    A Lauretta la sua cioccolata,
 a madama un tazzin di ristoro.
 Il rosolio a quegli altri e il caffè.
 Poi farai una torta sfogliata.
1180(Zitto... ascolta). Farai un pasticcio
 (Zitto, dico. Non dir: «Non ve n’è».
 
    Già lo so tutto quel che vuol dire.
 Non v’è robba, non v’è più denaro.
 Non importa; sta’ cheto, l’ho caro.
1185Tai pensieri non toccan a te). (Parte col servo)
 
 SCENA V
 
 Il CONTE, madama LINDORA, LAURETTA e FORESTO
 
 IL CONTE
 Generoso è Fabrizio.
 LINDORA
                                         È di buon core.
 LAURA
 Per le ninfe d’Arcadia è un buon pastore.
 FORESTO
 Signori miei, disingannar vi voglio.
 Il povero Fabrizio è disperato.
1190Egli s’è rovinato.
 Ordina di gran cose ma stamane
 non ha due soldi da comprarsi un pane.
 LAURA
 Ma la mia cioccolata?
 FORESTO
 Per stamattina è andata.
 IL CONTE
1195La caccia e il desinar?
 FORESTO
                                           Convien sospendere
 fin che si trovin quei che voglion spendere.
 LINDORA
 Ma il cappon vi sarà?
 FORESTO
                                          No certamente.
 LINDORA
 Come viver potrò senza ristoro?
 Ahimè, che languidezza! Io manco, io moro.
 IL CONTE
1200Ah madama, madama,
 eccovi sampereglie,
 spirito di melissa,
 acqua della regina,
 estratto di cannella soprafina.
 LINDORA
1205V’è alcuna spezieria?
 FORESTO
                                         Sì, mia signora.
 LINDORA
 Deh fatemi il piacer, contino mio,
 andatemi a pigliare,
 giacché non ho ristoro,
 della polvere d’oro,
1210un cordial di perle,
 un elexir gemmato
 con qualche solutivo delicato.
 IL CONTE
 Per servirvi, madama, in un istante,
 pongo lo sprone al cor, l’ali alle piante. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 Madama LINDORA, LAURETTA e FORESTO
 
 LAURA
1215Eh madamina mia,
 so io che vi vorria
 perché ogni vostro mal fosse guarito.
 LINDORA
 E che mai vi vorrebbe?
 LAURA
                                             Un bel marito.
 
    Le fanciulle giovinette
1220son soggette a certi mali
 ma non hanno gli speciali
 la ricetta che vi vuol.
 
    Altro recipe richiede
 della giovine il difetto.
1225Un amante giovinetto
 d’ogni mal sanar la puol.
 
 SCENA VII
 
 Madama LINDORA e FORESTO
 
 FORESTO
 Che ne dite, madama, la ricetta
 piacevi di Lauretta?
 LINDORA
                                        Io non ascolto
 né di lei né di voi le debolezze.
1230Le passioni d’amor son leggierezze.
 FORESTO
 Modestia è gran virtù. Ma finalmente
 la passione del cor convien che sbocchi,
 che se il labbro non parla, parlan gli occhi.
 Voi adorate il conte.
 LINDORA
1235State zitto, ch’ei viene.
 FORESTO
 Parto, perché sturbarvi non conviene. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Madama LINDORA, poi il CONTE con un speziale con vari medicamenti
 
 LINDORA
 Io l’amo, è ver, ma non vo’ dirlo adesso,
 vo’ sostener la gravità del sesso.
 IL CONTE
 Eccovi lo spezial, signora mia,
1240ed ha mezza con lui la spezieria.
 LINDORA
 Il cordiale? (Al conte)
 IL CONTE
                         Il cordiale. (Allo speziale) Ecco il cordiale. (A madama)
 LINDORA
 Mezzo voi, mezzo io.
 IL CONTE
                                        Io non ho male.
 LINDORA
 Quando si serve dama,
 ricusar non si può.
 IL CONTE
1245Dite ben, dite bene, io beverò. (Ne getta mezzo in un bicchiere e lo beve, poi dà il resto a Lindora)
 LINDORA
 È gagliardo?
 IL CONTE
                          Un po’ troppo.
 LINDORA
 Ne vo’ assaggiar un poco,
 ah no no, non lo voglio, è tutto foco.
 Datemi l’elixir.
 IL CONTE
                               Eccolo qui.
 LINDORA
1250Bevetene voi prima in quel bicchiere.
 IL CONTE
 Ma io...
 LINDORA
                 Ma voi non siete cavagliere.
 IL CONTE
 Vi domando perdono.
 Vi servo, io bevo e cavalier io sono.
 LINDORA
 Vi piace?
 IL CONTE
                     Niente affatto,
1255mi ha posto un mongibel nel corpo mio.
 LINDORA
 Dunque, quand’è così, non lo vogl’io.
 IL CONTE
 Ed io intanto l’ho preso.
 LINDORA
                                              Ohimè, mi sento
 lo stomaco pesante.
 Ha portato il purgante?
 IL CONTE
                                              Sì, madama,
1260è questo un solutivo
 ch’è molto operativo;
 e se voi vi sentite indigestione,
 in poch’ore farà l’operazione.
 LINDORA
 Lasciatelo veder.
 IL CONTE
                                  Eccolo.
 LINDORA
                                                 È troppo
1265per lo stomaco mio.
 Mezzo voi il beverete e mezzo io.
 IL CONTE
 Bisogno non ne ho.
 LINDORA
                                      Che importa questo?
 Prendetelo e bevete,
 se cavalier voi siete.
 IL CONTE
1270Beverò, beverò, sì, madamina.
 (Ella ha mal ed io prendo medicina).
 LINDORA
 Oibò, nausea mi fa; no, non lo voglio.
 IL CONTE
 Io sento un grande imbroglio
 nello stomaco mio.
 LINDORA
1275Conte, soffrite voi che soffro anch’io.
 IL CONTE
 
    Sì, madama, soffrirò
 ma mi sento un certo che...
 che vorrebbe tornar su.
 Ahi soffrir non posso più.
1280Deh, ch’io vada permettete,
 attendete, tornerò.
 
    No, vi dico, non vorrei...
 Se sentiste i dolor miei;
 nol credete? Io tacerò.
1285Voi volete? Io creperò.
 
 SCENA IX
 
 Madama LINDORA, poi GIACINTO
 
 LINDORA
 Povero conte! Al certo riderei,
 se non mi fece il rider tanto male.
 GIACINTO
 Madama, siete attesa.
 Avrete di già intesa
1290la disgrazia dell’ospite compito
 che per la bell’Arcadia è già fallito.
 Rosanna, che non lungi ha la sua villa,
 tutti seco c’invita;
 colà l’Arcadia unita
1295sarà con più giudizio
 e con noi conduremmo anco Fabrizio.
 LINDORA
 Oh povero Fabroni;
 me ne dispiace assai. Ma non ci penso
 perché se ci pensassi
1300forse per compassion m’attristerei
 e attristandomi un poco io morirei.
 
    Non voglio affanni al core,
 non vo’ pensar a guai,
 non ci ho pensato mai
1305e non ci penserò.
 
    Io son d’un certo umore
 che par che mesta sia
 e pur malinconia
 dentro il cor mio non ho.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO, poi ROSANNA
 
 GIACINTO
1310Può darsi ch’ella sia
 allegra più di quel ch’ognuno crede
 ma fa morir d’inedia chi la vede.
 ROSANNA
 Giacinto, il tutto è pronto.
 Preparato è il burchiello.
1315Mandati avanti ho i servitori miei;
 che veniste voi meco io bramerei.
 GIACINTO
 Non ricuso l’onor che voi mi fate.
 ROSANNA
 Anzi, se non sdegnate,
 quando nella mia casa voi sarete
1320io farovvi padrone e disporrete.
 GIACINTO
 Io, Rosanna, perché?
 ROSANNA
                                         Perché se veri
 son que’ detti di ieri...
 Basta, di più non dico.
 GIACINTO
 Sì, mia cara, v’intendo;
1325e da voi sol la mia fortuna attendo. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 ROSANNA sola
 
 ROSANNA
 Giacinto ha un certo brio
 che piace al genio mio.
 Per lui a poco a poco
 m’accese un dolce foco in seno amore.
1330L’amo, l’adoro e gli ho donato il core.
 
    Principiai amar per gioco
 e d’amor il cor m’accesi,
 già m’alletta il dolce foco
 e maggiore ognor si fa.
 
1335   Fra i piaceri e fra i diletti
 oggi nacque il mio tormento;
 ma d’amare io non mi pento
 perché spero alfin pietà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 Giardino che termina al fiume Brenta, in cui evvi il burchiello che attende la compagnia dell’Arcadia.
 
 FABRIZIO, poi FORESTO, poi ROSANA, poi GIACINTO, poi madama LINDORA, poi LAURETTA e per ultimo il CONTE
 
 FABRIZIO
 No, non vo’ che si dica
1340ch’io abbia avuto di grazia
 d’andar in casa d’altri
 dopo aver rovinata casa mia,
 vo’ fuggir la vergogna e scampar via. (S’incontra in Foresto)
 FORESTO
 Dove, signor Fabrizio?
 FABRIZIO
1345Vado a far un servizio.
 Aspettatemi qui, che adesso torno. (Vuol andar da una parte e s’incontra in Rosanna)
 ROSANNA
 Cercato ho ogni contorno,
 alfin v’ho ritrovato,
 signor Fabrizio amato,
1350degnatevi venir in casa mia.
 FABRIZIO
 Con buona grazia di vusignoria. (Vuol andar da un altro lato e s’incontra in Giacinto)
 GIACINTO
 Fermatevi signore,
 fateci quest’onore,
 venite da Rosanna a star con noi.
 FABRIZIO
1355Aspettate un pochino e son con voi. (Si volta da una parte e incontra madama Lindora)
 LINDORA
 Dove correte?
 FABRIZIO
                             (Oh bella?) (Vuol andare dall’altra e incontra Lauretta)
 LAURA
 Dove n’andate?
 FABRIZIO
                                (Oh buona?) (Vuol rigirarsi per un altro lato e incontra il conte)
 IL CONTE
 Voi siete prigionier, non vi movete.
 FABRIZIO
 Che vi venga la rabbia a quanti siete.
 FORESTO
1360Orsù, signor Fabrizio,
 permettete ch’io parli; ognuno sa
 che siete un galantuomo,
 che siete rovinato,
 che non v’è più rimedio. Ognun vi prega
1365che venghiate con noi; se ricusate,
 superbia, e non virtù, voi dimostrate.
 ROSANNA
 Vi supplico.
 LINDORA
                         Vi prego.
 LAURA
                                            Vi scongiuro.
 IL CONTE
 Non siate con tre donne ingrato e duro.
 FABRIZIO
 Orsù m’arrendo al generoso invito.
1370Non è poca fortuna
 per un uom rovinato
 esigger compassion dal mondo ingrato.
 Per lo più quegl’istessi
 ch’hanno mandato il misero in rovina
1375lo metton colli scherni alla berlina.
 TUTTI
 
    Signor Fabrizio,
 venga con noi
 e lieto poi
 ritornerà.
 
 FABRIZIO
 
1380   Vengo e ringrazio
 tanta bontà.
 
 TUTTI
 
    L’Arcadia in Brenta
 è terminata
 e la brigata
1385via se ne va.
 
 FABRIZIO
 
    Andata fosse
 tre giorni fa.
 
 TUTTI
 
    Signor Fabrizio,
 venga con noi
1390e lieto poi
 ritornerà.
 
 FABRIZIO
 
    Vengo e ringrazio
 tanta bontà.
 
 Fine del dramma
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 L’ARCADIA IN BRENTA
 
 
    Dramma commico per musica da rappresentarsi nel Nuovo teatro nella città di Cremona nel carnovale dell’anno MDCCLIV, dedicato all’impareggiabile merito delle gentilissime dame di detta città che hanno sollecitato il presente divertimento.
    In Cremona, nella stamperia del Ricchini, con licenza de’ superiori.