L’Arcadia in Brenta, libretto, Londra, Woodfall, 1755

 Giacinto, il tutto è pronto;
 preparato è il burchiello;
 mandati avanti ho i servitori miei,
980che veniste voi meco io bramerei.
 GIACINTO
 Non ricuso l’onor che voi mi fate.
 ROSANNA
 Anzi se non sdegnate,
 quando nella mia casa voi sarete,
 io farovvi padron e disporrete.
 GIACINTO
985Io, perché?
 ROSANNA
                        Perché se veri
 son quei detti di ieri...
 Basta, di più non dico...
 GIACINTO
 Sì mia cara v’intendo
 e da voi sola la mia sorte attendo.
 
990   Disprezzando ogni periglio
 io vedrò quel vago ciglio
 tutto lieto a scintillar.
 
    S’è mia fé costante e forte
 invidiar non so la sorte
995di chi gode nell’amar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ROSANNA sola
 
 ROSANNA
 Giacinto ha un certo brio
 che piace al genio mio.
 Per lui a poco a poco
 mi accese un dolce foco in seno amore,
1000l’amo, l’adoro e gli ho donato il core.
 
    Dai rai d’un bel sembiante
 nasce nel seno mio
 quel libero desio
 che dolcemente il core
1005comincia a lusingar.
 
    E benché debba oh dio
 fuggir il mio nemico
 spesso fra me lo dico
 e non lo posso far. (Parte)
 
 SCENA ULTIMA
 
 FABRIZIO e GIACINTO, poi tutti
 
 FABRIZIO
1010No, non vo’ che si dica
 ch’io abbi avuto di grazia
 d’andar in casa d’altri
 dopo aver rovvinata casa mia,
 vo’ fuggir la vergogna e scampar via.
 GIACINTO
1015Dove signor Fabrizio?
 FABRIZIO
 Vado a far un servizio;
 aspettatemi qui, che adesso torno...
 ROSANNA
 Cercato ho ogni contorno
 e alfin vi ho ritrovato.
1020Signor Fabrizio amato
 degnatevi venir in casa mia...
 FABRIZIO
 Con buona grazia di vosignoria...
 GIACINTO
 Fateci quest’onore;
 venite da Rosanna a star con noi...
 FABRIZIO
1025Aspettate un pochino e son con voi...
 LINDORA
 Dove correte?
 FABRIZIO
                             Oh bella!
 LAURETTA
 Dove n’andate?
 FABRIZIO
                                Oh buona!
 CONTE
 Voi siete prigionier, non vi movete.
 FABRIZIO
 Che vi venga la rabbia a quanti siete.
 GIACINTO
1030Orsù signor Fabrizio
 permettete che io parli; ognuno sa
 che siete un galantuomo,
 che siete rovinato,
 che non v’è più rimedio. Ognun vi prega
1035che venghiate con noi. Se ricusate,
 superbia e non virtù voi dimostrate.
 ROSANNA
 Vi supplico...
 LINDORA
                           Vi prego...
 LAURETTA
                                                Vi scongiuro...
 CONTE
 Non siate con tre donne tanto duro.
 FABRIZIO
 Orsù m’arrendo al generoso invito.
1040Non è poca fortuna
 per un uom rovinato
 esiger compassion dal mondo ingrato.
 Per lo più quegl’istessi
 ch’hanno mandato il misero in rovina
1045lo metton colli scherni alla berlina.
 CORO
 
    Signor Fabrizio
 venga con noi
 e lieto poi
 vi tornerà.
 
 FABRIZIO
 
1050   Vengo e ringrazio
 tanta bontà.
 
 TUTTI
 
    L’Arcadia in Brenta
 è terminata
 e la brigata
1055via se ne va.
 
 FABRIZIO
 
    Andata fosse
 due giorni fa.
 
 Fine
 
 
    In Bologna, MDCCLIII, per gli eredi di Costantino Pisarri e Giacomo Filippo Primodì, impressori del Sant’Officio, con licenza de’ superiori.
 
 
 
 L’ARCADIA IN BRENTA
 
 
    [Venezia, Giovanni Tevernin, 1753]
 
 INTERLOCUTORI
 
 ROSANNA
 MADAMA LINDORA
 LAURA
 MESSER FABRIZIO FABRONI da Fabriano
 IL CONTE BELLEZZA
 FORESTO
 GIACINTO
 
 
 Lettor gentilissimo,
    pochi saranno quelli che letta L’Arcadia in Brenta non averanno l’intiera cognizione. Si sa quasi communemente aver figurato l’autore di quest’Arcadia una conversazione di sette civili ed oneste persone in un luogo delizioso fra quei magnifici palaggi che adornano il fiume Brenta e che formano una delle più belle villeggiature d’Italia. Tre uomini e tre donne formarono la raunanza, cioè Silvio, Giacinto, Foresto, Marina, Rosanna e Laura, a’ quali s’aggiunse dopo qualche giorno Fabrizio Fabroni di Fabriano che per la sua età e per il suo carattere, misto di sciocco e di faceto, riescì il condimento della gioconda società loro. L’Arcadia, di cui ora parlo, consiste principalmente in motti arguti, detti faceti, novelle spiritose, canzonette, madrigali e cose simili, per lo che, potendo una simile conversazione intitolarsi giocosa accademia, fu per la stessa ragione dall’autore intitolata L’Arcadia in Brenta, colla respettiva similitudine dell’Arcadia di Roma, in cui cose più serie e più elevate si trattano.
    Io adunque per argomento della mia presente operetta non prendo già L’Arcadia in Brenta che scritta trovasi dal nostro autore, poiché in essa materia non trovo per una teatrale rappresentazione.
    Sul fine di detta Arcadia, sciogliendo i sette arcadi la loro gentile conversazione, s’invitano vicendevolmente per la susseguente stagione e tutto che stabilissero passare sul fiume Sile, accadde però che quel tale messer Fabrizio Fabroni da Fabriano, piccatosi di generosità, volle trattar magnificamente la maggior parte di quelli che l’avevano favorito e seco li condusse in un suo casino sul fiume Brenta, formando in esso novellamente L’Arcadia in Brenta. Invitò Rosanna e Laura, Giacinto e Foresto, lasciando da parte Marina e Silvio, perché essi troppo sul vivo lo avevano motteggiato nell’altra Arcadia.
    S’accrebbe non pertanto il numero della conversazione con madama Lindora, dama di una straordinaria stucchevole delicatezza, ed il conte Bellezza di una caricatissima affettazione.
    Il povero Fabrizio, di gran core ma di poche sostanze, per sostener l’impegno, a cui incautamente s’apprese, andò in rovina, rimasto in pochi dì senza denaro e senza roba e col rossore di doversi vedere scornato dagli ospiti e ridotta L’Arcadia in una comedia, che per lui poteva dirsi tragedia, a che molto ha contribuito Foresto, uno degli arcadi ma il più confidente di Fabrizio, quello a cui aveva egli raccomandata l’economia della casa.
    Questa mia Arcadia in Brenta è tanto istorica quanto quella di Ginnesio Gavardo Vacalerio, avendola ricavata da codici antichissimi della Malcontenta, ove vanno a terminar i suoi giorni tutti quelli che, come messer Fabrizio, si fanno mangiare il suo e si riducono poveri per volerla spacciar da grandi.
    La scena si rappresenta in un casino delizioso di messer Fabrizio, situato alle rive del fiume Brenta.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera terrena in casa di messer Fabrizio.
 
 FABRIZIO, che dorme sopra una poltrona in veste da camera, e FORESTO
 
 FORESTO
 Oh questa sì ch’è bella,
 il padrone di casa
 a tutt’i forastieri dà ricetto
 e gli convien dormir fuori del letto.
5Con questa bell’Arcadia
 ei si va rovinando ed io che sono
 da questo sciocco economo creato,
 or che manca il denar, son imbrogliato.
 Orsù lo vo’ svegliar. Già s’alza il sole;
10oggi almeno ci vuole,
 fra quei che siamo e quelli che verranno,
 mezza l’entrata sua di tutto l’anno.
 Signor Fabrizio... Ei, signor Fabrizio.
 Svegliatevi, ch’è tardi.
15Su via, che s’alza il sole;
 v’ho da dir due parole.
 FABRIZIO
 Che? (Svegliandosi un poco)
 FORESTO
              Svegliatevi.
 FABRIZIO
                                      Sì.
 FORESTO
                                              V’ho da parlare.
 FABRIZIO
 Par... la... te.
 FORESTO
                          Egli si torna a addormentare.
 Su via, messer Fabrizio.
 FABRIZIO
                                               Seguitate. (Si risveglia)
 FORESTO
20Se voi non m’ascoltate,
 non vo’ parlar da stolto.
 FABRIZIO
 Tengo gli occhi serrati ma v’ascolto. (Dorme)
 FORESTO
 Ben, sappiate che io
 ho il denar terminato
25che voi m’avete dato,
 che per tante persone
 convien fare una buona provigione.
 Che rispondete? Sì, dorme di gusto.
 Signor Fabrizio...
 FABRIZIO
                                   Già.
 FORESTO
                                              M’avete inteso?
 FABRIZIO
30Ho inteso tutto.
 FORESTO
                                E ben, che rispondete?
 FABRIZIO
 Fate quel che volete.
 FORESTO
 Ma il denar?
 FABRIZIO
                           Che denar?
 FORESTO
                                                   M’avete inteso?
 FABRIZIO
 Tutto non ho compreso.
 Tornate a dir.
 FORESTO
                            Alzatevi di grazia.
 FABRIZIO
35Voi avete timor ch’io m’addormenti,
 pericolo non v’è ma per gradirvi
 m’alzerò; via, parlate. (S’alza e si accosta bel bello al poggio della poltrona)
 FORESTO
 Ora, signor, sappiate
 che non v’è più denaro...
 FABRIZIO
                                               Ben.
 FORESTO
                                                          Che io
40non so più come far, che oggi s’aspetta (S’addormenta)
 nuova foresteria...
 E buonanotte di vosignoria.
 Signor Fabrizio... Ehi signor Fabrizio...
 Signor Fabrizio... (Più forte)
 FABRIZIO
                                    Che! Come!
 FORESTO
                                                            Voi siete
45impastato di sonno.
 FABRIZIO
                                       Io? Che dite?
 Dormo io? Signor no. Eccomi lesto.
 FORESTO
 Venite qua. (Lo prende per una mano e lo tien forte)
 FABRIZIO
                          Son qua.
 FORESTO
                                             Vi torno a dire,
 signor Fabrizio caro,
 che vi vuol del denaro.
 FABRIZIO
50Ed io risponderò,
 signor Foresto caro, non ne ho.
 FORESTO
 Ma che fare dovrò,
 per supplire l’impegno in cui voi siete?
 FABRIZIO
 Fate quel che volete.
 FORESTO
55Non v’è denaro?
 FABRIZIO
                                 Oibò.
 FORESTO
                                              Grano?
 FABRIZIO
                                                              È venduto.
 FORESTO
 Quei cavalli indiscreti,
 che mangian tanto fieno,
 si potrian esitar.
 FABRIZIO
                                 Sì. (S’appoggia alle spalle di Foresto)
 FORESTO
                                         La carrozza?
 FABRIZIO
 La carroz... za... (S’addormenta)
 FORESTO
                                Eh io non sono pazzo
60di volervi servir di matarazzo.
 FABRIZIO
 Sì, la carrozza...
 FORESTO
                               O la carrozza o il carro,
 vi dico in due parole
 che se non v’è denar l’Arcadia vostra
 è presto terminata
65e tutta la brigata,
 provista d’appetito,
 grazie vi renderà del dolce invito.
 
    Se vi mancano i contanti,
 fate quel che fanno tanti,
70impegnate e poi vendete
 e se robba non avete
 già si sa l’usanza vaga
 che si compra e non si paga
 e si gode all’altrui spalle
75ed aspetta il creditor.
 
    Questa regola è diffusa,
 da per tutto già si usa.
 Ed è segno ch’ha del credito,
 quando un uomo è debitor.
 
 SCENA II
 
 FABRIZIO solo
 
 FABRIZIO
80Per dirla, quasi quasi
 or or me n’anderei
 e l’Arcadia e i pastori impianterei.
 Ma se l’anno passato
 son già stato graziato, il dover mio
85vuol che st’anno lo stesso faccia anch’io.
 E poi? E poi vi son quelle ragazze
 che mi piaciono tanto
 e spero aver d’innamorarle il vanto
 ma diavolo, si spende
90troppo a rotta di collo.
 Voglio un po’ far il conto
 quanto ho speso finora
 e quanto doverò spender ancora. (Tira fuori un foglio ed una penna da lapis)
 
    Quattrocento bei ducati...
95poverini sono andati.
 Sessantotto bei zecchini...
 sono andati poverini.
 Trenta doppie... oh che animale!
 Cento scudi... oh bestiale!
100Quanto fanno? Io non lo so!
 
    I zecchini sessantotto
 co’ ducati quattrocento
 fanno... fanno... Oh che tormento,
 basta, il conto è bello e fatto,
105perché un soldo più non ho. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Giardino che termina al fiume Brenta.
 
 ROSANNA, LAURA, GIACINTO, FORESTO sopra sedili erbosi, poi FABRIZIO
 
 A QUATTRO
 
    Che amabile contento
 fra questi ameni fiori
 godere il bel concento
 degli augellin canori!
110Che bell’udir quest’aure,
 quell’onde a mormorar!
 
 FABRIZIO
 
    Che bella compagnia!
 Fa proprio innamorar.
 
 A QUATTRO
 
    Che bell’udir quest’aure,
115quell’onde susurrar!
 
 GIACINTO
 Bellissima Rosanna,
 nell’Arcadia novella
 bramo che siate voi mia pastorella.
 ROSANNA
 Anzi mi fate onore
120e vi accetto, signor, per mio pastore.
 FORESTO
 E voi, Lauretta cara,
 seguendo dell’Arcadia il paragone
 la pecora sarete...
 LAURA
                                   E voi il caprone.
 FABRIZIO
 Bravi, così mi piace.
125Voi quattro in buona pace
 state qui allegramente
 ed il pover Fabrizio niente, niente.
 GIACINTO
 Via, sedete, o signore.
 FABRIZIO
                                           Io sederei
 qui volontieri un poco,
130s’uno di lor signor mi desse loco.
 FORESTO
 Intesi a dir fra l’altre cose vere
 che non manca mai sedia a chi ha il sedere.
 FABRIZIO
 (Cappari! Il caso è brutto.
 Io niente e loro tutto? Aspetta, aspetta).
135Amico, una parola. (A Foresto)
 FORESTO
                                      E che volete?
 FABRIZIO
 Parlar di quel negozio.
 FORESTO
 Di che?
 FABRIZIO
                  Non m’intendete? Un capo storno!
 FORESTO
 Dell’arsan?
 FABRIZIO
                               Io!
 FORESTO
                                       Lauretta, adesso torno. (S’alza)
 Eccomi, ov’è il denaro?
 FABRIZIO
140Aspettate un momento.
 Passeggiate un tantino ed io mi sento.
 Ah ah, te l’ho ficcata. (Siede nel loco del Foresto)
 Oh questa sì ch’è bella,
 io non voglio star senza pastorella.
 FORESTO
145Pazienza, me l’hai fatta;
 ma mi vendicherò.
 LAURA
                                      (Vo’ divertirmi).
 Bella creanza al certo!
 Dove apprendeste mai
 cotanta inciviltà? (S’alza)
 FABRIZIO
                                   Ma finalmente...
 LAURA
150Finalmente, vi dico,
 non si tratta così.
 FABRIZIO
                                  Son io...
 LAURA
                                                   Voi siete
 un bell’ignorantaccio.
 Dirò meglio; voi siete un villanaccio.
 FABRIZIO
 Al padrone di casa?
 LAURA
                                       Che padrone!
155Questa casa, ch’è qui, non è più vostra.
 Questa è l’Arcadia nostra,
 noi siamo pastorelle e voi pastore;
 e non serve che fate il bell’umore.
 FABRIZIO
 Dice ben.
 FORESTO
                     La capite!
 LAURA
160Non occorre che dite:
 «Voglio, non voglio».
 FABRIZIO
                                         Oibò.
 FORESTO
                                                      Vogliamo fare
 tutto quel che ci pare.
 FABRIZIO
 Signorsì.
 LAURA
                    E non è poca
 la nostra cortesia
165che non v’abbiam sinor cacciato via.
 FABRIZIO
 Padroni.
 FORESTO
                   Avete inteso?
 FABRIZIO
 Se non son sordo.
 LAURA
                                   Acciò ben la capisca
 la vostra mente stolta,
 ve lo tornerò a dir un’altra volta.
 
170   Vogliamo fare
 quel che ci pare.
 Vogliam cantare,
 vogliam ballare
 e voi tacete,
175poiché voi siete
 senza giudizio,
 signor Fabbrizio,
 siete arrabiato?
 Via, ch’ho burlato
180non dirò più.
 
    L’Arcadia nostra
 tutto permette.
 Due parolette
 non fanno male.
185Un animale
 di voi più docile
 giammai non fu.
 
 SCENA IV
 
 ROSANNA, GIACINTO, FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
 Io rimango incantato.
 FORESTO
 Signor, che cosa è stato?
190Se comanda seder, si serva pure.
 Oh questa sì ch’è bella!
 Io non voglio star senza pastorella. (Contrafacendo a Fabrizio)
 FABRIZIO
 Ancor voi mi burlate?
 FORESTO
 Io burlarvi? Pensate.
195Siete l’amico mio più fido e caro;
 ma se manca il denaro,
 vi giuro in fede mia
 che tutti ce n’andiamo in compagnia. (Parte)
 FABRIZIO
 Andate col malan ch’il ciel vi dia.
200Ma, signora Rosanna,
 che dite voi! Che dite voi, Giacinto,
 del parlar di Lauretta?
 GIACINTO
                                            E non vedete
 ch’ella si prende spasso?
 FABRIZIO
 Corpo di satanasso,
205cospettonon di Bacco,
 se me n’ha dette un sacco.
 ROSANNA
 Eppure il di lei sdegno
 parmi d’amore un segno.
 La femmina talora
210scaltra finge odiar quel che più adora.
 FABRIZIO
 Possibile che m’ami
 e così mi strapazzi?
 ROSANNA
                                       Io ve lo giuro,
 statene pur sicuro.
 Più volte l’amor suo m’ha confidato.
215Arde per voi.
 FABRIZIO
                           Che amor indiavolato!
 GIACINTO
 È ver? (Piano a Rosanna)
 ROSANNA
                 (Mi prendo spasso). (A Giacinto)
 Sapete la cagione (A Fabrizio)
 ch’or la rese furiosa?
 Perché di me gelosa.
 FABRIZIO
                                        Or la capisco.
220Ma che motivo ha mai
 d’ingelosir di voi?
 ROSANNA
                                    Gli affetti miei
 ho confidati a lei.
 FABRIZIO
 Dunque voi pur mi amate.
 ROSANNA
 Purtroppo è ver.
 FABRIZIO
                                 Bellezze fortunate? (Toccandosi il viso)
225Giacinto, che ne dite?
 Forse v’ingelosite?
 GIACINTO
                                     Niente affatto.
 Io non sono sì matto,
 s’ella v’ama, signor, io vado via,
 che non voglio impazzir per gelosia.
 
230   D’un amante è gran follia
 impazzir per gelosia.
 S’una donna è di me stanca
 non mi manca altra beltà.
 
    Per la donna chi s’affanna,
235chi s’adira assai s’inganna,
 già si sa che invan si spera
 una vera fedeltà.
 
 SCENA V
 
 ROSANNA e FABRIZIO
 
 FABRIZIO
 Dunque, se voi mi amate,
 discorriamola un poco.