L’Arcadia in Brenta, libretto, Bologna, Pisarri e Primodì, 1753 (Faenza)

 tratta e conversa ognun di vario sesso,
 queste cagionan spesso
 nella stagion di temperati ardori
 impegni, servitù, dolcezza, amori.
 
810   Per passar dagl’occhi al core
 apre il varco al dio d’amore
 la moderna libertà.
 
    Anche amore andria sommesso
 se si usasse col bel sesso
815la primiera austerità.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
 Non vuo’ sentire.
 FORESTO
                                  Eh via, signor Fabrizio,
 siete un uom di giudizio,
 siete un uomo civile,
 non fate che vi domini la bile.
 FABRIZIO
820Che bile? Che m’andate
 bilando e strabilando!
 Ve ne dovete andar qualor vi mando.
 FORESTO
 Finalmente fu scherzo.
 FABRIZIO
 Sì, fu scherzo ma intanto
825l’orologgio, la scattola e l’anello
 non si vedono più.
 FORESTO
                                     Siete in errore;
 eccovi l’orologgio,
 la scatola, l’anello.
 Ciò ch’ha di vostro ognun di noi vi rende
830né di usurpar il vostro alcun pretende. (Gli rende tutto)
 FABRIZIO
 Eh non dico, non dico ma vedermi
 strappazzato e deriso...
 FORESTO
 Lo fan sul vostro viso
 per prendersi piacer ma dietro poi
835le vostre spalle ognun vi reca lode.
 E del vostro buon cuor favella e gode.
 FABRIZIO
 Son bon amico e faccio quel che posso.
 FORESTO
 A proposito, amico,
 che facciam questa sera!
840La carozza è venduta,
 sono andati i cavalli
 e da cena non v’è.
 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
 tanti bei ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
845Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
 sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
 Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
 L’orologgio e l’anello
 si potrian impegnar.
 FABRIZIO
                                         Sì dite bene.
 FORESTO
850Ma non so se denaro
 si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
 questa scattola ancora.
 Altro più non mi resta,
 Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
855Siete un grand’uom; peccato
 non abbiate il tesor maggior del mondo.
 (Che presto noi gli vederemo il fondo).
 Vado a trovar denaro
 e tosto a voi ritorno.
860Un certo non so che si va ideando,
 qualor torno saprete il come e il quando. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
 Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
865un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio.
 FABRIZIO
                                 (Questa, a dir il vero,
 mi par troppo flematica).
 LINDORA
                                                 Non sente?
 Signor Fabrizio.
 FABRIZIO
                                 (Io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
870Si... gnor Fa... brizio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                          Oh cielo! Mi perdoni,
 non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quasi in petto una vena mi è crepata.
 FABRIZIO
875Canchero. Se ne guardi.
 LINDORA
 Sederei volentieri ma questa sedia
 è dura indiavolata.
 Sul morbido seder sono avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Ei reca tosto
880una sedia miglior. (Dal servo li vien portata altra sedia)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata.
 FABRIZIO
 Siedi qui, starà meglio.
 LINDORA
                                             Oibò, è sì dura
 cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
885Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca signor.
 FABRIZIO
                                      Ella è padrona.
 Eccola, se ne servi. (Il servo con la poltrona)
 LINDORA
                                      Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
890Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
 la sedia ed il guanciale,
 quel odor di vacchetta mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccole un matarazzo;
895di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strapazzo,
 lo conosco, lo so, no, non credevo
 dover soffrir cotanto;
 io crepo dalle risa e fingo pianto.
 
    Voglio andar... Non vuo’ più star,
900più beffata esser non vuo’,
 signorsì, me n’anderò.
 Sono tanto tenerina
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
905che m’ha fatto lacrimar.
 
    Se sdegnarmi almen sapessi,
 vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz’altro morirei,
 se m’avessi ad arrabiar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
910Si contenga chi può. Corpo del diavolo
 non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
 il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobiam recitar all’improviso
 stassera una comedia.
 FABRIZIO
                                           Io non ne so.
 FORESTO
915Non temete, ch’io vi contenterò.
 Il conte ha destinato
 da innamorata dovrà far madama.
 Lauretta fa la serva,
 io fo da genitore
920e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
 Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far? Quest’è un mestiere
 ch’è difficile assai.
 Per far ridere i pazzi
925non vi vuol grand’ingegno
 ma far ridere i savi è grand’impegno.
 FORESTO
 Già s’avanza la notte,
 andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò.
930Mi dispiace il parlar all’improvviso.
 Se fosse una comedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
 dicendo che il poeta è un ignorante.
 
 SCENA IX
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
935gettar la colpa su la schiena altrui.
 Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
 quel ch’ha fallato è il mastro di capela».
 E questo d’aver fatto
940gran musica si vanta,
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impresario
 senza saper qual siane la cagione
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
945   Perché riesca bene un’opera,
 quante cose mai vi vogliono!
 Libro buono e buona musica,
 buone voci e donne giovani,
 balli, suoni, scene e machine
950e poi basta? Signor no.
 Che vi vuole? Io non lo so!
 Ma nol sa né men chi critica,
 benché ognun vuol criticar.
 
    Parla alcuno per invidia,
955alcun altro per non perdere,
 mentre il più di tutti gl’uomini
 col capriccio che li domina
 suol pensare e giudicar.
 
 SCENA X
 
 Sala.
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella. LAURETA da Colomba, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 IL CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccomi cà.
 IL CONTE
960Siccome un’altra nube
 si oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quelle mura
 coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede, ond’è che afflitto
965i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
 IL CONTE
 Fedelissimo servo,
 batti tu a quella porta?
 FABRIZIO
 A quale porta?
 IL CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 IL CONTE
970Finger dei che vi sia.
 Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
 come i comici fanno alla comedia.
 FABRIZIO
 Agio caputo ma femme na grazia;
975pe che da tozzolare aggio alla porta?
 IL CONTE
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Cà sulla strada?
 IL CONTE
 È ver non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
980civili onesti amanti
 ma ciò fanno i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno
 quando ho battuto io battesse a me?
 IL CONTE
 Lascia far; non importa. Io son per te.
 FABRIZIO
985Oh de casa.
 LAURA
                        Chi batte?
 FABRIZIO
                                              Songo io.
 LAURA
 Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 IL CONTE
                                               Chi siete voi,
 quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 IL CONTE
990Di Diana cameriera?
 LAURA
 Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 IL CONTE
                                       Deh vi prego
 chiamatela di grazia.
 LAURA
                                         Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
995vienence ancora tu,
 ch’a nce devertiamo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l’usanza,
 se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
1000   Il padron colla padrona
 fa l’amor con nobiltà.
 Noi andiamo giù alla bona
 senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
1005peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene»
 e facciamo presto presto
 tutto quel che s’ha da far. (Si ritira fingendo di chiamar Diana)
 
 IL CONTE
1010Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceresti, o Menarella?
 IL CONTE
 Ecco viene quel bel che m’innamora.
 FABRIZIO
 Con essa vene Menarela ancora. (Vengono Lindora e Laureta)
 IL CONTE
 Venite idolo mio.
1015Venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo mio bene, eccomi qua.
 IL CONTE
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
 Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
 Ah tu si’ la mia bella.
 LAURA
1020Ah voi siete il mio caro Pulcinella.
 IL CONTE
 A voi donato ho il core.
 LINDORA
 Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
 Per te me sento lo Vesuvio in petto.
 LAURA
 Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 IL CONTE
 
1025   Vezzosetta, mia diletta. (A Lindora)