Artaserse, libretto, Mannheim, Pierron, 1751

 Concedete ch’io possa
 regger col braccio mio... (A Lindora)
 LAURA
 Eh signor conte mio,
760lei parte con madama.
 Rosanna se n’andrà col suo Giacinto
 ed io resterò sola?
 Lei di cavalleria non sa la scola.
 CONTE
 Ha ragion, mi perdoni,
765io son un mentecato, io son un bue.
 Servirò, se il permette, a tutte due.
 LAURA
 Se madama l’accorda...
 LINDORA
                                             Io nol contendo.
 LAURA
 Io son contenta e le sue grazie attendo.
 CONTE
 Eccomi. Favorisca, faccia grazia.
770Sull’umil braccio mio poggi la mano.
 LAURA
 Camminate più presto.
 LINDORA
                                             Andate piano.
 GIACINTO
 (Son godibili assai). (A Rosanna)
 ROSANNA
 (Più grazioso piacer non ebbi mai). (A Giacinto)
 LAURA
 Ma via, non vi movete?
 CONTE
                                             Eccomi lesto.
 LINDORA
775Non andate sì presto;
 di già voi mi stroppiate.
 LAURA
 Con questo andar sì pian, voi m’ammazzate.
 LINDORA
 (Oh belli!)
 ROSANNA
                       (Oh cari!)
 CONTE
                                            (Io sono
 nel terribile impegno). Via, madama,
780un tantinin più presto.
 Eh via cara signora, (A Laura)
 un tantinin più piano.
 LAURA
 Più piano di così? Mi vien la morte.
 LINDORA
 Vi dico ch’io non posso andar sì forte.
 CONTE
 
785   Questa forte e quella piano,
 l’una tira e l’altra mola;
 non so più cosa mi far;
 favoriscano la mano,
 anderò come potrò.
 
790   Forti, forti, saldi, saldi,
 vada pur ciascuna sola.
 Io gli sono servitor.
 
    Che comanda? Eccomi qui.
 Ch’io la servi? Eccomi pronto.
795Camminiam così, così.
 Troppo forte? Troppo piano?
 D’incontrar io spero invano
 di due donne il strano umor.
 
 SCENA III
 
 ROSANNA, GIACINTO, LINDORA, LAURETTA
 
 GIACINTO
 Ah ah, che bella cosa!
 ROSANNA
800(Cosa invero piacevole e gustosa).
 LAURA
 Madama, andate pian quanto volete,
 per non venir in vostra compagnia,
 vi faccio riverenza e vado via. (Parte)
 LINDORA
 Oibò! Correr sì forte
805non conviene per certo ad una dama.
 Affettar noi dobbiam, per separarci
 dalla gente ordinaria,
 una delicatezza straordinaria. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 ROSANNA, GIACINTO
 
 ROSANNA
 Bei caratteri al certo.
 GIACINTO
                                         Anzi bellissimi.
810Io, che stolto non son, scelta ho per ninfa
 donna di senno e di beltà.
 ROSANNA
                                                  Di grazia,
 non seguite anche voi quel vil costume
 di adular per piacere.
 GIACINTO
                                          Ah nol temete;
 io vi stimo assai più che non credete.
 ROSANNA
815Per or godo l’onore
 che siate mio pastore
 ma, terminata poi l’Arcadia nostra,
 pastorella non son, non son più vostra.
 GIACINTO
 Chi sa, se non sdegnate
820di chi v’adora il core,
 io per sempre sarò vostro pastore.
 ROSANNA
 Felicissima Arcadia allor direi,
 se tutti i giorni miei
 lieta passar potessi al colle, al prato
825col mio pastor, col mio Giacinto a lato.
 
    Se di quest’alma i voti
 ascolta il dio d’amor,
 lieto sarà il mio cor,
 sarò felice.
 
830   Per or di più non dico
 ma forse un dì verrà
 che il labbro dir potrà
 quel ch’or non lice.
 
 SCENA V
 
 GIACINTO solo
 
 GIACINTO
 Purtroppo è ver che s’introduce il foco
835d’amor ne’ nostri petti e a poco a poco
 queste villeggiature,
 in cui sì francamente
 tratta e conversa ognun di vario sesso,
 queste cagionan spesso
840nella stagion de’ temperati ardori
 impegni, servitù, dolcezza, amori.
 
    Per passar dagli occhi al core
 apre il varco al dio d’amore
 la moderna libertà.
 
845   Anche amore andria sommesso,
 se si usasse col bel sesso
 la primiera austerità.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
 Non vo’, non vo’ sentire.
 FORESTO
 Eh via, signor Fabrizio,
850siete un uom di giudizio,
 siete un uomo civile,
 non fate che vi domini la bile.
 FABRIZIO
 Che bile? Che m’andate
 bilando e strabilando!
855Ve ne dovete andar qualor vi mando.
 FORESTO
 Finalmente fu scherzo.
 FABRIZIO
 Sì, fu scherzo ma intanto
 l’orologio, la scatola e l’anello
 non si vedono più.
 FORESTO
                                     Sete in errore,
860eccovi l’orologio,
 la scatola e l’anello.
 Ciò ch’ha di vostro ognun di noi vi rende.
 Né d’usurpar il vostro alcun pretende. (Gli dà l’orologio, la scatola e l’anello)
 FABRIZIO
 Eh non dico, non dico ma vedermi
865strapazzato e deriso...
 FORESTO
 Lo fan sul vostro viso
 per prendersi piacer ma dietro poi
 le vostre spalle ognun vi reca lode
 e del vostro buon cuor favella e gode.
 FABRIZIO
870Son buon amico; e faccio quel ch’io posso.
 FORESTO
 A proposito, amico,
 che facciam questa sera?
 La carozza è venduta.
 Sono andati i cavalli
875e da cena non v’è.
 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
 tanti bei ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
 Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
 sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
880Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
 L’orologio e l’anello
 si potrian impegnar.
 FABRIZIO
                                         Sì, dite bene.
 FORESTO
 Ma non so se denaro
 si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
885questa scatola ancora.
 Altro più non mi resta,
 Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
 Siete un grand’uom; peccato
 non abbiate il tesor maggior del mondo
890(che presto noi gli vederemo il fondo).
 Vado a trovar denaro
 e tosto a voi ritorno.
 Un certo non so che si va ideando.
 Qualor torno, saprete il come e il quando. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
895Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa, almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
900mi par troppo flemmatica).
 LINDORA
                                                     Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  (E pur, se mi volesse,
 io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni.
905Non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quas’in petto una vena m’è crepata.
 FABRIZIO
 Cancaro! Se ne guardi.
910Favorisca.
 LINDORA
                      M’aiuti.
 FABRIZIO
                                       Eccomi lesto.
 LINDORA
 Non mi tocchi.
 FABRIZIO
                              Perché?
 LINDORA
                                               Son tenerina.
 FABRIZIO
 Impastata mi par di ricottina.
 LINDORA
 Ahi son stanca.
 FABRIZIO
                               S’accomodi, madama.
 LINDORA
 Sederei volentier ma questa sedia
915è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico pian, non tema. Ehi reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
920cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
 Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
925Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
930la sedia ed il guanciale,
 quell’odor di vacchetta, ahi, mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccolo un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strapazzo.
 Lo conosco, lo so; no, non credevo
935dover soffrir cotanto,
 ahi, che mi vien per il dolore il pianto.
 
    Voglio andar... Non vo’ più star,
 più beffata esser non vo’.
 Signorsì, me n’anderò.
940Sono tanto tenerina
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
 che m’ha fatto lagrimar.
 
    Se sdegnarmi almen sapessi,
945vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz’altro morirei,
 se m’avessi ad arrabbiar.
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può. Corpo del diavolo
 non ne poteva più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
950il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all’improviso
 stassera una commedia.
 FABRIZIO
                                               Io non ne so.
 FORESTO
 Non temete ch’io vi contenterò.
 Il conte ha destinato
955di far da innamorato.
 Da innamorata dovrà far madama.
 Lauretta fa la serva,
 io fo da genitore
 e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
960Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far? Quest’è un mestiere
 ch’è difficile assai,
 per far rider i savi è grand’impegno.
 FORESTO
 Già s’avanza la notte,
965andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò;
 mi dispiace il parlar all’improviso,
 se fosse una commedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
970dicendo che il poeta è un ignorante. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
 gettar la colpa su la schena altrui.
 Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
975quel ch’ha fallato è il mastro di cappella».
 E questo d’aver fatto
 gran musica si vanta
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impresario,
980senza saper qual siane la cagione,
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
    Perché riesca bene un’opera,
 quante cose mai vi vogliono!
 Libro buono e buona musica,
985buone voci e donne giovani,
 balli, suoni, scene e macchine.
 E poi basta? Signor no.
 Che vi vuole? Io non lo so.
 Ma nol sa nemmen chi critica,
990benché ognun vuol criticar.
 
    Parla alcuno per invidia,
 alcun altro per non spendere,
 mentre il più di tutti gli uomini
 col capriccio che li domina
995suol pensare e giudicar.
 
 SCENA X
 
 Sala.
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella, LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome ccà.
 CONTE
 Siccome un’atra nube
 s’oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quelle mura
1000coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede. Ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
 CONTE
 Fedelissimo servo,
1005batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 CONTE
 Finger dei che vi sia,
 invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
1010come i comici fanno alla commedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme una grazia,
 perché da tozzolare aggio alla porta?
 CONTE
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Ccà sulla strada?
 CONTE
1015È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti
 ma ciò sogliono usar i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
1020quando ho battuto io, battesse a me?
 CONTE
 Lascia far; non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Sono io.
 LAURA
 Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 CONTE
                                               Chi siete voi,
1025quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 CONTE
 Di Diana cameriera?
 LAURA
 Per servir vussustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 CONTE
                                       Deh vi prego,
1030chiamatela di grazia.
 LAURA
                                         Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
 vienence ancora tuie,
 che a nce devertarimmo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l’usanza,
1035se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
    Il padron colla padrona
 fa l’amor con nobiltà.
 Noi andiamo più alla buona
1040senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene».
1045E facciamo presto presto
 tutto quel che s’ha da far.
 
    Dicon lor ch’è un gran tormento
 quell’amor che accende il core;
 diciam noi ch’è un gran contento
1050quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi,
 penan molto e parlan tardi.
 Noi diciam quel che conviene
1055senza tanto sospirar. (Si ritira fingendo chiamar Diana)
 
 CONTE
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceressi, o Menarella?
 CONTE
 Ecco viene quel bel che m’innamora.
 FABRIZIO
 Con essa vene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 CONTE
1060Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 CONTE
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
 Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
1065Ah tu si’ la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 E voi siete il mio caro Pulcinella.
 CONTE
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
 Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
 Per te mi sento lo Vesuvio in petto. (A Laura)
 LAURA
1070Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 CONTE
 
    Vezzosetta, mia diletta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia caretta.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
 Pulcinella, bello mio.
 
 LINDORA
 
1075Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po’ abbracciar. (Viene Foresto da Pantalone)
 
 FORESTO
 
    Ola, ola, cossa feu?
 Abbrazzai? Cagadonai!
1080Via caveve, via de qua.
 
 LINDORA
 
    Io m’inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padrone.
 
 CONTE
 
 Riverisco mio signore.
 
 FABRIZIO
 
 Te so’ schiavo Pantalone.
 
 FORESTO
 
1085El ziradonarve attorno;
 tutti andeve a far squartar.
 
 CONTE
 
    Vuol ch’io vada?
 
 FORESTO
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
 Vado anch’io?
 
 FORESTO
 
                             Mi v’ho mandao.
 
 CONTE
 
 Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
1090Anderò con Menarella.
 
 LINDORA, LAURA A DUE
 
 Io contenta venirò.
 
 FORESTO
 
 Via, tiolé sto canelao.
 Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
    Signor padre, per pietà. (S’inginocchia)
 
 LAURA
 
1095Gnor padron, per carità. (S’inginocchia)
 
 CONTE
 
 Deh vi supplico ancor io. (Fa lo stesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio. (Fa lo stesso)
 
 FORESTO
 
 Duro star no posso più.
 Via mattazzi, leveve su.
 
 A QUATTRO
 
1100   Io vi prego.
 
 FORESTO
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
 Vi scongiuro.
 
 FORESTO
 
                           Vegnì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
 Alla fin so’ venezian,
 m’avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
1105Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
    Viva, viva il dolce affetto,
 viva, viva quel diletto
 che produce un vero amor,
 che consola il nostro cor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera.
 
 FABRIZIO, poi LAURETTA
 
 FABRIZIO
1110Oimè! Dove m’ascondo?
 Oimè, che son andato in precipizio.
 Povera Arcadia! Povero Fabrizio!
 È finito il denaro;
 è venduto il vendibile. Ogni cosa
1115alfin s’è terminata il giorno d’ieri
 e non v’è da mangiare pei forestieri.
 Oh sorte! Oh cielo! Oh fato!
 Io non so che mi far, son disperato.
 LAURA
 Signor Fabrizio d’ogni grazia adorno,
1120io gli auguro buongiorno.
 FABRIZIO
 Grazie a vussignoria.
 LAURA
 Che mai ha, che mi pare
 alterato un tantin?
 FABRIZIO