Artaserse, libretto, Stoccarda, Cotta, 1756

 Anzi, se non sdegnate,
1315quando nella mia casa voi sarete
 io farovvi padrone e disporrete.
 GIACINTO
 Io, Rosanna, perché?
 ROSANNA
                                         Perché se veri
 son que’ detti di ieri...
 Basta, di più non dico.
 GIACINTO
1320Sì, mia cara, v’intendo
 e da voi sol la mia fortuna attendo. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 ROSANNA sola
 
 ROSANNA
 Giacinto ha un certo brio
 che piace al genio mio.
 Per lui a poco a poco
1325m’accese un dolce foco in seno amore.
 L’amo, l’adoro e gli ho donato il core.
 
    Principiai amar per gioco
 e d’amor il cor m’accesi;
 già m’alletta il dolce foco
1330e maggior ognor si fa.
 
    Fra i piaceri e fra i diletti
 oggi nacque il mio tormento;
 ma d’amare io non mi pento
 perché spero alfin pietà. (Parte)
 
 SCENA ULTIMA
 
 Giardino che termina al fiume Brenta, in cui evvi il burchiello che attende la compagnia dell’Arcadia.
 
 FABRIZIO, poi FORESTO, poi ROSANNA, poi GIACINTO, poi madama LINDORA, poi LAURETTA e per ultimo il CONTE
 
 FABRIZIO
1335No, non vuo’ che si dica
 ch’io abbia avuto di grazia
 d’andar in casa d’altri
 dopo aver rovinata casa mia;
 vuo’ fuggir la vergogna e scampar via. (S’incontra in Foresto)
 FORESTO
1340Dove, signor Fabrizio?
 FABRIZIO
 Vado a far un servizio.
 Aspettatemi qui, che adesso torno. (Vuol andar da una parte e s’incontra in Rosanna)
 ROSANNA
 Cercato ho ogni contorno,
 alfin v’ho ritrovato,
1345signor Fabrizio amato;
 degnatevi venir in casa mia.
 FABRIZIO
 Con buona grazia di vussignoria. (Vuol andar da un altro lato e s’incontra in Giacinto)
 GIACINTO
 Fermatevi, signore;
 fateci quest’onore;
1350venite da Rosanna a star con noi.
 FABRIZIO
 Aspettate un pochino e son con voi. (Si volta da una parte e incontra madama Lindora)
 LINDORA
 Dove correte?
 FABRIZIO
                             (Oh bella!) (Vuol rigirarsi per un altro lato e incontra il conte)
 CONTE
 Voi siete prigionier, non vi movete.
 FABRIZIO
 Che vi venga la rabbia a quanti siete.
 FORESTO
1355Orsù, signor Fabrizio,
 permettete ch’io parli; ognuno sa
 che siete un galantuomo,
 che siete rovinato,
 che non v’è più rimedio. Ognun vi prega
1360che venghiate con noi; se ricusate,
 superbia e non virtù voi dimostrate.
 ROSANNA
 Vi supplico.
 LINDORA
                         Vi prego.
 LAURA
                                            Vi scongiuro.
 CONTE
 Non siate con tre donne ingrato e duro.
 FABRIZIO
 Orsù, m’arrendo al generoso invito.
1365Non è poca fortuna
 per un uom rovinato
 esiger compassion dal mondo ingrato.
 Per lo più quegl’istessi,
 ch’hanno mandato il misero in rovina,
1370lo metton con gli scherni alla berlina.
 TUTTI
 
    Signor Fabrizio,
 venga con noi
 e lieto poi
 ritornerà.
 
 FABRIZIO
 
1375   Vengo e ringrazio
 tanta bontà.
 
 TUTTI
 
    L’Arcadia in Brenta
 è terminata
 e la brigata
1380via se ne va.
 
 FABRIZIO
 
    Andata fosse
 tre giorni fa.
 
 TUTTI
 
    Signor Fabrizio,
 venga con noi
1385e lieto poi
 ritornerà.
 
 FABRIZIO
 
    Vengo e ringrazio
 tanta bontà.
 
 Fine del dramma
 
 
 ARTASERSE
 
 
    Drama per musica di Pietro Metastasio romano, fra gli Arcadi Artino Corasio, da rappresentarsi nel teatro detto delle Dame, nel carnevale dell’anno 1730, presentato alla maestà di Clementina, regina della Gran Brettagna, eccetera.
    Si vendono a Pasquino nella libraria di Pietro Leone, all’insegna di San Giovanni di Dio.
    In Roma, per il Zempel e de Mey, con licenza de’ superiori.
 
 Madama,
    il clementissimo gradimento, del quale ha degnata il vostro real consorte l’offerta del primo drama, mi dà coraggio di presentare umilmente alla maestà vostra il secondo, procurando in tal guisa a questo la gloria di adornarsi del vostro nome ed a me la permissione di vantarmi della maestà vostra umilissimo, divotissimo ed ossequiosissimo servitore.
 
    Francesco Cavanna
 
 
 ARGOMENTO
 
    Artabano prefetto delle guardie reali di Serse vedendo ogni giorno diminuirsi la potenza del suo re dopo le disfatte ricevute da’ Greci, sperò di poter sagrificare alla propria ambizione col suddetto Serse tutta la famiglia reale e salire sul trono della Persia. Valendosi perciò del commodo che gli prestava la famigliarità ed amicizia del suo signore, entrò di notte nelle stanze di Serse e l’uccise. Irritò quindi i principi reali figli di Serse l’uno contro l’altro in modo che Artaserse uno de’ suddetti figli fece uccidere il proprio fratello Dario, credendolo parricida per insinuazione d’Artabano. Mancava solo a compire i disegni del traditore la morte d’Artaserse, la quale da lui preparata e per vari accidenti, i quali prestano al presente drama gli ornamenti episodici, differita, finalmente non può eseguirsi, essendo scoperto il tradimento ed assicurato Artaserse, quale scoprimento e sicurezza è l’azzione principale del drama (Giustino, libro III, capitolo I).
 
    Le parole numi, fato, eccetera non hanno cosa alcuna di comune cogl’interni sentimenti dell’autore che si protesta vero cattolico.
    L’azzione del drama si rappresenta nella città di Susa reggia de’ monarchi persiani.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: giardino interno nel palazzo de’ re di Persia corrispondente a diversi appartamenti, vista della reggia, notte con luna; reggia.
    Nell’atto secondo: appartamenti reali; gran sala del real consiglio con trono da un lato, sedili dall’altro per i grandi del regno, tavolino e sedia alla destra del suddetto trono.
    Nell’atto terzo: parte interna della fortezza, nella quale è ritenuto prigione Arbace, cancelli in prospetto, picciola porta a mano destra, per la quale si ascende alla reggia; gabinetto negli appartamenti di Mandane; luogo magnifico destinato per la coronazione d’Artaserse, trono da un lato con sopra scettro e corona, ara nel mezzo con simulacro del Sole.
    Inventori ed ingegneri delle scene il signor Giovanni Battista Oliverio, il signor Pietro Orte.
    Inventore de’ balli il signor Pietro Gugliantini, virtuoso della serenissima gran principessa di Toscana.
 
 
 PERSONAGGI
 
 ARTASERSE principe e poi re di Persia amico d’Arbace ed amante di Semira
 (il signor Raffaele Signorini)
 MANDANE sorella di Artaserse ed amante d’Arbace
 (il signor Giacinto Fontana detto Farfallino)
 ARTABANO prefetto delle guardie reali, padre di Arbace e di Semira
 (il signor Francesco Tolve napolitano)
 ARBACE amico d’Artaserse ed amante di Mandane
 (il signor Giovanni Carestini, virtuoso del serenissimo di Parma)
 SEMIRA sorella d’Arbace ed amante d’Artaserse
 (il signor Giuseppe Appiani milanese)
 MEGABISE generale dell’armi e confidente d’Artabano
 (il signor Giovanni Ossi, virtuoso dell’eccellentissima signora principessa Borghese vedova)
 
    La musica è del signor Leonardo Vinci, provicemaestro della Real Cappella di Napoli.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Giardino interno nel palazzo de’ re di Persia corrispondente a diversi appartamenti. Vista della reggia, Dnotte con luna.
 
 MANDANE e ARBACE
 
 ARBACE
 Addio.
 MANDANE
                Sentimi Arbace.
 ARBACE
                                                Ah che l’aurora
 adorata Mandane è già vicina
 e se mai noto a Serse
 fosse ch’io venni in questa reggia ad onta
5del barbaro suo cenno, in mia difesa
 a me non bastarebbe
 un trasporto d’amor che mi consiglia;
 non bastarebbe a te d’essergli figlia.
 MANDANE
 Saggio è il timor. Questo real soggiorno
10periglioso è per te. Ma puoi di Susa
 fra le mura restar. Serse ti vuole
 esule dalla reggia
 ma non dalla città. Non è perduta
 ogni speranza ancor. Sai che Artabano
15il tuo gran genitore
 regola a voglia sua di Serse il core,
 che a lui di penetrar sempre è permesso
 ogni interno recesso
 dell’albergo real, che il mio germano
20Artaserse si vanta
 dell’amicizia tua. Cresceste insieme
 di fama e di virtù. Voi sempre uniti
 vide la Persia alle più dubbie imprese
 e l’un dall’altro ad emularsi apprese.
25Ti ammirano le schiere,
 il popolo t’adora e nel tuo braccio
 il più saldo riparo aspetta il regno;
 avrai fra tanti amici alcun sostegno.
 ARBACE
 Ci lusinghiamo o cara. Il tuo germano
30vorrà giovarmi invano; ove si tratta
 la difesa d’Arbace, egli è sospetto
 non men del padre mio; qualunque scusa
 rende dubbiosa alla credenza altrui
 nel padre il sangue e l’amicizia in lui.
35L’altra turba incostante
 manca de’ falsi amici, allor che manca
 il favor del monarca. Oh quanti sguardi,
 che mirai rispettosi, or soffro alteri!
 Onde che vuoi ch’io speri? Il mio soggiorno
40serve a te di periglio, a me di pena,
 a te perché di Serse
 i sospetti fomenta, a me che deggio
 vicino a’ tuoi bei rai
 trovarmi sempre e non vederti mai.
45Giacché il nascer vassallo
 colpevole mi fa, voglio ben mio,
 voglio morire o meritarti. Addio. (In atto di partire)
 MANDANE
 Crudel! Come hai costanza
 di lasciarmi così?
 ARBACE
                                   Non sono o cara
50il crudel non son io. Serse è il tiranno,
 l’ingiusto è il padre tuo.
 MANDANE
                                              Di qualche scusa
 egli è degno però, quando ti niega
 le richieste mie nozze. Il grado... Il mondo...
 La distanza fra noi... Chi sa che a forza
55non simuli fierezza e che in segreto
 pietoso il genitore
 forse non disapprovi il suo rigore.
 ARBACE
 Potea senza oltraggiarmi
 niegarti a me; ma non dovea da lui
60discacciarmi così, come s’io fossi
 un rifiuto del volgo, e dirmi vile,
 temerario chiamarmi. Ah principessa,
 questo disprezzo io sento
 nel più vivo del cor. Se gli avi miei
65non distinse un diadema, in fronte almeno
 lo sostennero a’ suoi. Se in queste vene
 non scorre un regio sangue, ebbi valore
 di serbarlo al suo figlio. I suoi produca,
 non i merti degli avi. Il nascer grande
70è caso e non virtù, che se ragione
 regolasse i natali e dasse i regni
 solo a colui ch’è di regnar capace,
 forse Arbace era Serse e Serse Arbace.
 MANDANE
 Con più rispetto, in faccia a chi t’adora,
75parla del genitor.
 ARBACE
                                  Ma quando soffro
 un’ingiuria sì grande e che m’è tolta
 la libertà d’un innocente affetto,
 se non fo che lagnarmi, ho gran rispetto.
 MANDANE
 Perdonami; io comincio
80a dubitar dell’amor tuo. Tant’ira
 mi desta a meraviglia.
 Non spero che il tuo core
 odiando il genitore ami la figlia.
 ARBACE
 Ma quest’odio o Mandane
85è argomento d’amor; troppo mi sdegno,
 perché troppo t’adoro e perché penso
 che costretto a lasciarti
 forse mai più ti rivedrò, che questa
 fors’è l’ultima volta... Oh dio tu piangi!
90Ah non pianger ben mio, senza quel pianto
 son debbole abbastanza; in questo caso
 io ti voglio crudel; soffri che io parta;
 la crudeltà del genitore imita. (Come sopra)
 MANDANE
 Ferma, aspetta. Ah mia vita!
95Io non ho cor che basti
 a vedermi lasciar; partir vogl’io;
 addio mio ben.
 ARBACE
                               Mia principessa addio.
 MANDANE
 
    Conservati fedele,
 pensa ch’io resto e peno
100e qualche volta almeno
 ricordati di me.
 
    Ch’io per virtù d’amore
 parlando col mio core
 ragionerò con te. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ARBACE, poi ARTABANO con spada nuda insanguinata
 
 ARBACE
105O comando! O partenza!
 O momento crudel che mi divide
 da colei per cui vivo e non m’uccide!
 ARTABANO
 Figlio, Arbace.
 ARBACE
                              Signor.
 ARTABANO
                                              Dammi il tuo ferro.
 ARBACE
 Eccolo.
 ARTABANO
                Prendi il mio; fuggi, nascondi
110quel sangue ad ogni sguardo.
 ARBACE
                                                       Oh dei! Qual seno
 questo sangue versò? (Guardando la spada)
 ARTABANO
                                           Parti; saprai
 tutto da me.
 ARBACE
                          Ma quel pallore o padre,
 quei sospettosi sguardi
 m’empiono di terror. Gelo in udirti
115così con pena articolar gli accenti;
 parla; dimmi, che fu?
 ARTABANO
                                           Sei vendicato,
 Serse morì per questa man.
 ARBACE
                                                     Che dici!
 Che sento! Che facesti!
 ARTABANO
                                             Amato figlio,
 l’ingiuria tua mi punse,
120son reo per te.
 ARBACE
                             Per me sei reo? Mancava
 questa alle mie sventure. Ed or che speri?
 ARTABANO
 Una gran tela ordisco,
 forse tu regnarai. Parti, al disegno
 necessario è ch’io resti.
 ARBACE
125Io mi confondo in questi
 orribili momenti.
 ARTABANO
                                   E tardi ancora?
 ARBACE
 Oh dio!...
 ARTABANO
                     Parti, non più, lasciami in pace.
 ARBACE
 Che giorno è questo, o disperato Arbace.
 
    Fra cento affanni e cento
130palpito, tremo e sento
 che freddo dalle vene
 fugge il mio sangue al cor.
 
    Prevedo del mio bene
 il barbaro martiro
135e la virtù sospiro
 che perse il genitor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ARTABANO, poi ARTASERSE e MEGABISE con guardie
 
 ARTABANO
 Coraggio o miei pensieri. Il primo passo
 v’obbliga agli altri; il trattener la mano
 su la metà del colpo
140è un farsi reo senza sperarne il frutto.
 Tutto si versi, tutto
 fino all’ultima stilla il regio sangue;
 né vi sgomenti un vano
 stimolo di virtù; di lode indegno
145non è, come altri crede, un grande eccesso;
 contrastar con sé stesso,
 resistere a’ rimorsi, in mezzo a tanti
 oggetti di timor serbarsi invitto
 son virtù necessarie a un gran delitto.
150Ecco il principe! All’arte.
 Qual’insolite voci!
 Qual tumulto! Ah signor tu in questo luogo
 prima del dì? Chi ti destò nel seno
 quell’ira che lampeggia in mezzo al pianto.
 ARTASERSE
155Caro Artabano, o quanto
 necessario mi sei! Consiglio, aiuto,
 vendetta, fedeltà.
 ARTABANO
                                   Principe io tremo
 al confuso comando;
 spiegati meglio.
 ARTASERSE
                                Oh dio!
160Svenato il padre mio
 giace colà su le tradite piume.
 ARTABANO
 Come!
 ARTASERSE
                Nol so; di questa
 notte funesta infra i silenzi e l’ombre
 assicurò la colpa un’alma ingrata.
 ARTABANO
165O insana, o scelerata
 sete di regno! E qual pietà, qual santo
 vincolo di natura è mai bastante
 a frenar le tue furie!
 ARTASERSE
                                        Amico intendo.
 È l’infedel germano,
170è Dario il reo.
 ARTABANO
                            Chi mai potea la reggia
 notturno penetrar? Chi avvicinarsi
 al talamo real? Gli antichi sdegni,
 il suo torbido genio avido tanto
 dello scettro paterno... Ah ch’io prevedo
175in periglio i tuoi giorni.
 Guardati per pietà. Serve di grado
 un eccesso talvolta all’altro eccesso.
 Vendica il padre tuo, salva te stesso.
 ARTASERSE
 Ah se v’è alcun che senta
180pietà d’un re trafitto,
 orror del gran delitto,
 amicizia per me, vada, punisca
 il parricida, il traditor.
 ARTABANO
                                            Custodi,
 vi parla in Artaserse
185un prence, un figlio e se volete in lui
 vi parla il vostro re. Compite il cenno,
 punite il reo. Son vostro duce, io stesso
 reggerò l’ire vostre, i vostri sdegni.
 (Favorisce fortuna i miei disegni).
 ARTASERSE
190Ferma, ove corri? Ascolta;
 chi sa che la vendetta
 non turbi il genitor più che l’offesa?
 Dario è figlio di Serse.
 ARTABANO
                                            Empio sarebbe
 un pietoso consiglio;
195chi uccise il genitor non è più figlio.
 
    Su le sponde del torbido Lete,
 mentre aspetta riposo e vendetta,
 freme l’ombra d’un padre e d’un re.
 
    Fiera in volto la miro, l’ascolto
200che t’addita l’aperta ferita
 in quel seno che vita ti diè. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 ARTASERSE e MEGABISE
 
 ARTASERSE
 Qual vittima si svena! Ah Megabise...
 MEGABISE
 Sgombra le tue dubbiezze; un colpo solo
 punisce un empio e t’assicura il regno.
 ARTASERSE
205Ma potrebbe il mio sdegno
 al mondo comparir desio d’impero;
 questo, questo pensiero
 saria bastante a funestar la pace
 di tutti i giorni miei. No no, si vada
210il cenno a rivocar... (In atto di partire)
 MEGABISE
                                      Signor, che fai?
 È tempo, è tempo ormai
 di rammentar le tue private offese;
 il barbaro germano
 ad essere inumano
215più volte t’insegnò.
 ARTASERSE
                                      Ma non degg’io
 imitarlo ne’ falli. Il suo delitto
 non giustifica il mio; qual colpa al mondo
 un essempio non ha? Nessuno è reo,
 se basta a’ falli sui
220per difesa portar l’essempio altrui.
 MEGABISE
 Ma ragion di natura
 è il difender sé stesso. Egli t’uccide,
 se non l’uccidi.
 ARTASERSE
                              Il mio periglio appunto
 impegnarà tutto il favor di Giove
225del reo germano ad involarmi all’ira. (Come sopra)
 
 SCENA V
 
 SEMIRA e detti
 
 SEMIRA
 Dove, principe, dove?
 ARTASERSE
                                           Addio Semira.
 SEMIRA
 Tu mi fuggi Artaserse?
 Sentimi, non partir.
 ARTASERSE
                                        Lascia ch’io vada;
 non arrestarmi.
 SEMIRA
                                In questa guisa accogli
230chi sospira per te?
 ARTASERSE
                                     Se più t’ascolto,
 troppo, o Semira, il mio dovere offendo.
 SEMIRA
 Va’ pure ingrato, il tuo disprezzo intendo.
 ARTASERSE
 
    Per pietà, bell’idol mio,
 non mi dir ch’io sono ingrato,
235infelice e sventurato
 abbastanza il ciel mi fa.
 
    Se fedele a te son io,
 se mi struggo a’ tuoi bei lumi,
 sallo amor, lo sanno i numi,
240il mio core, il tuo lo sa. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 SEMIRA e MEGABISE
 
 SEMIRA
 Gran cose io temo. Il mio germano Arbace
 parte pria dell’aurora. Il padre armato
 incontro e non mi parla. Accusa il cielo
 agitato Artaserse e m’abbandona.
245Megabise, che fu? Se tu lo sai,
 determina il mio core
 fra tanti suoi timori a un sol timore.
 MEGABISE
 E tu sola non sai che Serse ucciso
 fu poc’anzi nel sonno?
250Che Dario è l’uccisore? E che la reggia
 fra le gare fraterne arde divisa?
 SEMIRA
 Che ascolto! Or tutto intendo.
 Miseri noi, misera Persia...
 MEGABISE
                                                    Eh lascia
 d’affligerti, o Semira. Hai forse parte
255fra l’ire ambiziose e fra i delitti
 della stirpe real? Forse paventi
 che un re manchi alla Persia? Avremo, avremo
 purtroppo a chi servir. Si versi il sangue
 de’ rivali germani; inondi il trono;
260qualunque vinca, indifferente io sono.
 SEMIRA
 Ne’ disastri d’un regno
 ciascuno ha parte; e nel fedel vassallo
 l’indifferenza è rea. Sento che immondo
 è del sangue paterno un empio figlio,
265che Artaserse è in periglio; e vuoi ch’io miri
 questa vera tragedia,
 spettatrice indolente e senza pena,
 come i casi d’Oreste in finta scena?
 MEGABISE
 So che parla in Semira
270d’Artaserse l’amor. Ma senti; o questo
 del germano trionfa e asceso in trono
 di te non avrà cura; o resta oppresso
 e l’oppressor vorrà vederlo estinto;
 onde lo perdi o vincitore o vinto.
275Vuoi d’un labro fedele
 il consiglio ascoltar? Scegli un amante
 uguale al grado tuo. Sai che l’amore
 d’uguaglianza si nutre. E se mai porre
 volessi in opra il mio consiglio, allora
280ricordati, ben mio, di chi t’adora.
 SEMIRA
 Veramente il consiglio
 degno è di te; ma voglio
 renderne un altro in ricompensa e parmi
 più opportuno del tuo; lascia d’amarmi.
 MEGABISE
285È impossibile, o cara,
 vederti e non amarti.
 SEMIRA
                                          E chi ti sforza
 il mio volto a mirar? Fuggimi e un’altra
 di me più grata all’amor tuo ritrova.
 MEGABISE
 Ah che il fuggir non giova. Io porto in seno
290l’immagine di te; quest’alma avvezza
 dappresso a vagheggiarti ancor da lungi
 ti vagheggia ben mio. Quando il costume
 si converte in natura,
 l’alma quel che non ha sogna e figura.
 
295   Sogna il guerrier le schiere,
 le selve il cacciator
 e sogna il pescator
 le reti e l’amo.
 
    Sopito in dolce oblio
300sogno pur io così
 colei che tutto il dì
 sospiro e chiamo. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SEMIRA
 
 SEMIRA
 Voi della Persia, voi
 deità protettrici, a questo impero
305conservate Artaserse. Ah, ch’io lo perdo,
 se trionfa di Dario. Ei questa mano
 bramò vassallo e sdegnarà sovrano.
 Ma che! Sì degna vita
 forse non vale il mio dolor? Si perda
310pur che regni il mio bene e pur che viva.
 Per non esserne priva,
 se lo bramassi estinto empia sarei.
 No, del mio voto io non mi pento o dei.
 
    Bramar di perdere
315per troppo affetto
 parte dell’anima
 nel caro oggetto
 è il duol più barbaro
 d’ogni dolor.
 
320   Pur fra le pene
 sarò felice,
 se il caro bene
 sospira e dice:
 «Troppo a Semira
325fu ingrato amor». (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Reggia.
 
 MANDANE, poi ARTASERSE
 
 MANDANE
 Dove fuggo? Ove corro? E chi da questa
 empia reggia funesta
 m’invola per pietà, chi mi consiglia?
 Germana, amante e figlia
330misera in un istante
 perdo i germani, il genitor, l’amante.
 ARTASERSE
 Ah, Mandane...
 MANDANE
                               Artaserse,
 Dario respira? O nel fraterno sangue
 cominciasti tu ancora a farti reo?
 ARTASERSE
335Io bramo, o principessa,
 di serbarmi innocente. Il zelo, oh dio!
 mi svelse dalle labbra
 un comando crudel; ma dato appena
 m’inorridì. Per impedirlo io scorro
340sollecito la reggia e cerco invano
 d’Artabano e di Dario.
 MANDANE
                                            Ecco Artabano.
 
 SCENA IX
 
 ARTABANO e detti
 
 ARTABANO
 Signore.
 ARTASERSE
                   Amico.
 ARTABANO
                                   Io di te cerco.
 ARTASERSE
                                                              Ed io
 vengo in traccia di te.
 ARTABANO
                                          Forse paventi?
 ARTASERSE
 Sì temo...
 ARTABANO
                     Eh non temer; tutto è compito.
345Artaserse è il mio re, Dario è punito.
 ARTASERSE