Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 DEL CATONE IN UTICA ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Sala d’armi.
 
 CATONE, MARZIA, ARBACE
 
 MARZIA
 Perché sì mesto, o padre? Oppressa è Roma,
 se giunge a vacillar la tua costanza.
 ARBACE
 Signor che pensi? In quel silenzio appena
 riconosco Catone.
 CATONE
5Figlia, amico, non sempre
 la mestizia, il silenzio
 è segno di viltade e agli occhi altrui
 si confondon sovente
 la prudenza e il timor. Se penso e taccio,
10taccio e penso a ragione.
 Cesare abbiamo a fronte
 che d'assedio ne stringe; i nostri armati
 pochi sono e mal fidi; in me ripone
 la speme che le avanza
15Roma che geme al suo tiranno in braccio;
 e chiedete ragion s'io penso e taccio?
 ARBACE
 Tutta Roma non vinse
 Cesare ancora.
 CATONE
                              E che gli resta mai?
 ARBACE, MARZIA
 Resta il tuo core.
 ARBACE
20Resta de miei Numidi anche il valore.
 CATONE
 M'è noto e il più nascondi,
 tacendo i merti tuoi, l'anima grande
 a cui, fuor che la sorte
 d'esser figlia di Roma, altro non manca.
 ARBACE
25Deh tu signor corregi
 questa colpa non mia.
 Marzia, tua figlia, adoro; ah, fa ch'io porga
 di sposo a lei la mano,
 non mi sdegni la figlia e son romano.
 MARZIA
30Come! Allor che paventa
 la nostra libertà l'ultimo fato,
 che arde il mondo di bellici furori,
 parla Arbace di nozze e chiede amori?
 CATONE
 Principe non temer, fra poco avrai
35Marzia tua sposa. In queste braccia intanto
 del mio paterno amore (Catone abbraccia Arbace)
 prendi il pegno primiero e ti rammenta
 ch'oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere,
 or che romano sei,
40è di salvarla o di cader con lei.
 
    Con sì bel nome in fronte
 combatterai più forte.
 Rispetterà la sorte
 di Roma un figlio in te.
 
45   Libero vivi e quando
 tel nieghi il fato ancora,
 almen come si mora
 apprenderai da me. (Parte)
 
 SCENA II
 
 MARZIA, ARBACE
 
 MARZIA
 M'ami Arbace?
 ARBACE
                               Se t'amo!
 MARZIA
50Or s'io chiedessi, o prence,
 qualche prova da te?
 ARBACE
                                         Parla; che brami,
 che mai chieder mi puoi? La vita, il soglio?
 Imponi, eseguirò.
 MARZIA
                                    Tanto non voglio.
 Bramo che in questo giorno
55non si parli di nozze.
 ARBACE
                                         Ah so ben io
 qual ne sia la cagion. Cesare ancora
 è la tua fiamma.
 MARZIA
                                 Forse i tuoi sospetti
 dileguar io potrei ma tanto ancora
 non deggio a te. Servi al mio cenno e pensa
60a quanto promettesti, a quanto imposi.
 ARBACE
 Ma poi quegli occhi amati
 mi saranno pietosi o pur sdegnati?
 MARZIA
 
    Non ti minaccio sdegno,
 non ti prometto amor.
65Dammi di fede un pegno,
 fidati del mio cor,
 vedrò se m'ami.
 
    E di premiarti poi
 resti la cura a me
70né domandar mercé
 se pur la brami. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ARBACE
 
 ARBACE
 Che giurai, che promisi! A qual comando
 ubbidir mi conviene! E chi mai vide
 più misero di me? La mia tiranna
75quasi sugli occhi miei si vanta infida
 ed io l'armi le porgo, onde m'uccida.
 
    Che legge spietata,
 che sorte crudele
 d'un'alma piagata,
80d'un core fedele
 servire, soffrire,
 tacere e penar!
 
    Se poi l'infelice
 domanda mercede,
85si sprezza, si dice
 che troppo richiede,
 ch'impari ad amar. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Parte interna delle mura di Utica con porta della città in prospetto chiusa da un ponte che poi si abbassa.
 
 CATONE, poi CESARE e FULVIO
 
 CATONE
 Dunque Cesare venga. Io non intendo
 qual cagion lo conduca: è inganno? È tema?
90No, d'un romano in petto
 non giunge a tanto ambizion d'impero
 che dia ricetto a così vil pensiero. (Cala il ponte e si vede venir Cesare con Fulvio)
 CESARE
 Con cento squadre e cento
 a mia difesa armate in campo aperto
95non mi presento a te. Senz'armi e solo
 sicuro di tua fede
 fra le mura nemiche io porto il piede.
 Tanto Cesare onora
 la virtù di Catone, emulo ancora.
 CATONE
100Mi conosci abbastanza.
 CESARE
 È ver, noto mi sei. Già il tuo gran nome
 fin da' primi anni a vennerare appresi.
 In cento bocche intesi
 della patria chiamarti
105padre e sostegno e delle antiche leggi
 rigido difensor. Fu poi la sorte
 prodiga all'armi mie del suo favore.
 Ma l'acquisto maggiore,
 per cui contento ogni altro acquisto io cedo,
110è l'amicizia tua, questa ti chiedo.
 FULVIO
 E il Senato la chiede; a voi m'invia
 nuncio del suo volere.
 CATONE
 Chi vuol Catone amico
 facilmente lo avrà; sia fido a Roma.
 CESARE
115Chi più fido di me! Spargo per lei
 il sudor da gran tempo e il sangue mio.
 E dal clima remoto
 se venni poi...
 CATONE
                             Già tutto il resto è noto.
 Di tue famose imprese
120godiamo i frutti e in ogni parte abbiamo
 pegni dell'amor tuo.
 
 SCENA V
 
 EMILIA e detti
 
 EMILIA
                                        Che veggio o dei!
 Questo è dunque l'asilo
 ch'io sperai da Catone?
 CATONE
 Modera il tuo furor.
 CESARE
                                       Se tanto ancora
125sei sdegnata con me, sei troppo ingiusta.
 EMILIA
 Ingiusta? E tu non sei
 la cagion de' miei mali? Il mio consorte
 tua vittima non fu?
 CESARE
                                      Io parte alcuna
 non ho di Tolomeo nell'impietade.
130La vendetta ch'io presi è manifesta.
 E sa il ciel, tu lo sai
 s'io piansi allor su l'onorata testa.
 CATONE
 Ma chi sa se piangesti
 per gioia o per dolor? La gioia ancora
135ha le lagrime sue.
 FULVIO
 Signor, questo non parmi
 tempo opportuno a favellar di pace.
 Chiede l'affar più solitaria parte
 e mente più serena.
 CATONE
                                       Al mio soggiorno
140dunque in breve io vi attendo. E tu frattanto
 pensa Emilia che tutto
 lasciar l'affanno in libertà non dei,
 giacché ti fe' la sorte
 figlia a Scipione ed a Pompeo consorte. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 CESARE, EMILIA e FULVIO
 
 CESARE
145Tu taci Emilia? In quel silenzio io spero
 un principio di calma.
 EMILIA
 T'inganni. Allor ch'io taccio,
 medito le vendette.
 FULVIO
                                      E non ti plachi
 d'un vincitor sì generoso a fronte?
 EMILIA
150Io placarmi? Anzi sempre in faccia a lui,
 se fosse ancor di mille squadre cinto,
 dirò che l'odio e che lo voglio estinto.
 CESARE
 
    Nell'ardire che il seno ti accende,
 così bello lo sdegno si rende
155che in un punto mi desti nel petto
 maraviglia, rispetto e pietà.
 
    Tu m'insegni con quanta costanza
 si contrasti alla sorte inumana
 e che sono ad un'alma romana
160nomi ignoti timore e viltà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Quanto da te diverso
 io ti riveggio o Fulvio! E chi ti rese
 di Cesare seguace, a me nemico?
 FULVIO
 Allor ch'io servo a Roma
165non son nemico a te.
 EMILIA
                                        Mal vanno insieme
 di Cesare l'amico
 e l'amante d'Emilia; o lui difendi
 o vendica il mio sposo; a questo prezzo
 ti permetto che m'ami.
 FULVIO
                                             Un tuo comando
170prova ne faccia.
 EMILIA
                                Io voglio
 Cesare estinto. Or posso
 di te fidarmi?
 FULVIO
                             Ogni altra man sarebbe
 men fida della mia. Ma dimmi intanto
 potrò spiegarti almeno
175tutti gli affetti miei?
 EMILIA
                                        Non è ancor tempo
 che tu parli d'amore e ch'io t'ascolti.
 Parti, adempi il disegno e allor più lieta
 forse t'ascolterò.
 FULVIO
                                 Sì, vado e intanto
 calma lo sdegno e ancor rasciuga il pianto. (Parte)
 
 
 SCENA VIII
 
 EMILIA
 
 EMILIA
180Se gli altrui folli amori ascolto e soffro
 e s'io respiro ancor dopo il tuo fato,
 perdona o sposo amato.
 Perdona; a vendicarmi
 non mi restano altr'armi. A te gli affetti
185tutti donai, per te gli serbo e quando
 termini il viver mio, saranno ancora
 al primo nodo avvinti,
 s'è ver ch'oltre la tomba aman gli estinti.
 
    O nel sen di qualche stella
190o sul margine di Lete
 se mi attendi anima bella,
 non sdegnarti, anch'io verrò.
 
    Sì verrò; ma voglio pria
 che preceda all'ombra mia
195l'ombra rea di quel tiranno
 che a tuo danno il mondo armò. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Fabbriche in parte rovinate vicino al soggiorno di Catone.
 
 Cesare da una parte e Marzia dall’altra.
 
 CESARE
 Pur ti riveggo, o Marzia. Agli occhi miei
 appena il credo e temo
 che per costume a figurarti avvezzo
200mi lusinghi il pensiero. Or dì qual parte
 hanno gli affetti miei
 negli affetti di Marzia?
 MARZIA
                                             E tu chi sei?
 CESARE
 Chi sono! E qual richiesta! È scherzo? E sogno?
 Cesare non ravvisi?
205Quello a cui tu giurasti
 per volger d'anni e per destin rubello
 di non essergli infida?
 MARZIA
                                            E tu sei quello?
 No, tu quello non sei, n'usurpi il nome.
 Un Cesare adorai, nol niego, ed era
210della patria il sostegno,
 l'onor del Campidoglio.
 CESARE
 Sempre l'istesso io sono.
 Che far di più dovrei? Supplice io stesso
 vengo a chiedervi pace.
215Quando potrei... Tu sai...
 MARZIA
                                                So che con l'armi
 però la chiedi.
 CESARE
                             Ascoltami e perdona
 un sincero parlar. Quanto me stesso
 io t'amo, è ver, ma la beltà del volto
 non fu che mi legò; Catone adoro
220nel sen di Marzia; il tuo bel core ammiro
 come parte del suo; qua più mi trasse
 l'amicizia per lui che il nostro amore;
 e se, lascia ch'io possa
 dirti ancor più, se m'imponesse un nume
225di perdere un di voi, morir d'affanno
 nella scelta potrei
 ma Catone e non Marzia io salverei.
 MARZIA
 Ecco il Cesare mio. Ama Catone,
 io non ne son gelosa, un tal rivale
230se divide il tuo core,
 più degno sei ch'io ti conservi amore.
 CESARE
 Questa è troppa vittoria. Ah mal da tanta
 generosa virtude io mi difendo.
 Ti rassicura, io penso
235al tuo riposo e pria che cada il giorno
 dall'opre mie vedrai
 che son Cesare ancora e che t'amai.
 
    Chi un dolce amor condanna
 vegga la mia nemica,
240l'ascolti e poi mi dica
 s'è debolezza amor.
 
    Quando da sì bel fonte
 derivano gli affetti,
 vi son gli eroi soggetti,
245amano i numi ancor. (Parte)
 
 SCENA X
 
 MARZIA, poi CATONE
 
 MARZIA
 Mie perdute speranze
 rinascer tutte entro il mio sen vi sento.
 Chi sa? Placato il padre
 se all'amistà di Cesare si appiglia,
250non m'avrà forse Arbace.
 CATONE
                                                Andiamo o figlia.
 MARZIA
 Dove?
 CATONE
                Al tempio, alle nozze
 del principe numida.
 MARZIA
                                          (Arbace infido!) All'ara
 forse il prence non giunse.
 CATONE
                                                   Un mio fedele
 già corse ad affrettarlo. (In atto di partire)
 MARZIA
                                              (Ah che tormento!)
 
 SCENA XI
 
 ARBACE e detti
 
 ARBACE
255Deh t'arresta o signor. (A Catone)
 MARZIA
                                            (Sarai contento). (Piano ad Arbace)
 CATONE
 Vieni o principe, andiamo
 a compir l'imeneo; potea più pronto
 donar quanto promisi?
 ARBACE
                                             A sì gran dono
 è poco il sangue mio, ma se pur vuoi
260che si renda più grato, all'altra aurora
 differirlo ti piaccia.
 CATONE
 No, già fumano l'are,
 son raccolti i ministri ed importuna
 sarebbe ogni dimora.
 ARBACE
                                          Oh dio!... Non sai... (Che pena!)
 CATONE
265Ma qual freddezza è questa! Io non l'intendo.
 Fosse Marzia l'audace
 che si oppone a' tuoi voti? (Ad Arbace)
 MARZIA
                                                   Io! Parli Arbace.
 ARBACE
 No, son io che ti priego.
 CATONE
                                              Ah qualche arcano
 qui si nasconde. (Ei chiede... (Da sé)
270poi ricusa la figlia... Il giorno stesso
 che vien Cesare a noi, tanto si cangia...
 Sì lento... Sì confuso... Io temo...) Arbace
 non ti sarebbe già tornato in mente
 che nascesti africano?
 ARBACE
                                           Io da Catone
275tutto sopporto e pure...
 CATONE
 E pure assai diverso
 io ti credea.
 ARBACE
                         Vedrai...
 CATONE
                                           Vidi abbastanza;
 e nulla ormai più da veder m'avanza. (Parte)
 ARBACE
 Brami di più, crudele? Ecco adempito
280il tuo comando, ecco in sospetto il padre
 ed eccomi infelice. Altro vi resta
 per appagarti?
 MARZIA
                              Ad ubbidirmi Arbace
 incominciasti appena e in faccia mia
 già ne fai sì gran pompa?
 ARBACE
                                                 O tirannia! (Parte)
 
 SCENA XII
 
 MARZIA sola
 
 MARZIA
285Ah troppo dissi e quasi tutto Arbace
 comprese l'amor mio. Ma chi può mai
 sì ben dissimular gli affetti sui
 che gli asconda per sempre agli occhi altrui?
 
    È follia se nascondete
290fidi amanti il vostro foco.
 A scoprir quel che tacete
 un pallor basta improviso,
 un rossor che accenda il viso,
 uno sguardo ed un sospir.
 
295   E se basta così poco
 a scoprir quel che si tace,
 perché perder la sua pace
 con ascondere il martir?
 
 Fine dell’atto primo