Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

                               Io non ho fibra in seno
 che non mi tremi.
 BARCE
                                    Attilia
 non dobbiamo avvilirci. Alfin più chiaro
 è adesso il ciel di quel che fu; si vede
 pur di speranza un raggio.
 ATTILIA
880Ah Barce, è ver; ma non mi dà coraggio.
 
    Non è la mia speranza
 luce di ciel sereno;
 di torbido baleno
 è languido splendor.
 
885   Splendor che in lontananza
 nel comparir si cela,
 che il rischio, oh dio, mi svela
 ma non lo fa minor. (Parte)
 
 
 SCENA XII
 
 BARCE sola
 
 BARCE
 Rassicurar procuro
890l’alma d’Attilia oppressa,
 ardir vo consigliando e tremo io stessa.
 Ebbi assai più coraggio
 quando meno sperai. La tema incerta
 solo allor m’affliggea d’un mal futuro;
895or di perder pavento un ben sicuro.
 
    S’espone a perdersi
 nel mare infido
 chi l’onde instabili
 solcando va.
 
900   Ma quel sommergersi
 vicino al lido,
 è troppo barbara
 fatalità. (Parte)
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Sala terrena.
 
 REGOLO, guardie africane e poi MANLIO
 
 REGOLO
 Ma che si fa? Non seppe
905forse ancor del Senato
 Amilcare il voler? Dov’è? Si trovi;
 partir convien. Qui che sperar per lui,
 per me non v’è più che bramar. Diventa
 colpa ad entrambi or la dimora. Ah vieni,
910vieni amico al mio seno. Era in pericolo
 senza te la mia gloria. I ceppi miei
 per te conservo; a te si deve il frutto
 della mia schiavitù.
 MANLIO
                                       Sì; ma tu parti.
 Sì; ma noi ti perdiam.
 REGOLO
                                            Mi perdereste
915s’io non partissi.
 MANLIO
                                 Ah! Perché mai sì tardi
 incomincio ad amarti? Altri finora,
 Regolo, non avesti
 pegni dell’amor mio, se non funesti.
 REGOLO
 Pretenderne maggiori
920da un vero amico io non potea; ma pure
 se il generoso Manlio altri vuol darne,
 altri ne chiederò.
 MANLIO
                                  Parla.
 REGOLO
                                               Compito
 ogni dover di cittadino, alfine
 mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
925due figli, il sai, Publio ed Attilia; e questi
 son del mio cor, dopo la patria, il primo,
 il più tenero affetto. In lor traluce
 indole non volgar; ma sono ancora
 piante immature e di cultor prudente
930abbisognano entrambi. Il ciel non volle
 che l’opera io compissi. Ah tu ne prendi
 per me pietosa cura;
 tu di lor con usura
 la perdita compensa. Al tuo bel core
935debbano e a’ tuoi consigli
 la gloria il padre e l’assistenza i figli.
 MANLIO
 Sì tel prometto. I preziosi germi
 custodirò geloso. Avranno un padre,
 se non degno così, tenero almeno
940al par di te. Della virtù romana
 io lor le tracce additerò. Né molto
 sudor mi costerà. Basta a quell’alme,
 di bel desio già per natura accese,
 l’istoria udir delle paterne imprese.
 REGOLO
945Or sì più non mi resta...
 
 SCENA II
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
 Manlio! Padre!
 REGOLO
                               Che avvenne?
 PUBLIO
 Roma tutta è in tumulto. Il popol freme;
 non si vuol che tu parta.
 REGOLO
                                              E sarà vero
 che un vergognoso cambio
950possa Roma bramar?
 PUBLIO
                                          No; cambio o pace
 Roma non vuol; vuol che tu resti.
 REGOLO
                                                              Io! Come?
 E la promessa? E il giuramento?
 PUBLIO
                                                              Ognuno
 grida che fé non dessi
 a perfidi serbar.
 REGOLO
                                 Dunque un delitto,
955scusa è dell’altro. E chi sarà più reo
 se l’esempio è discolpa?
 PUBLIO
                                              Or si raduna
 degli auguri il colleggio. Ivi deciso
 il gran dubbio esser deve.
 REGOLO
                                                  Uopo di questo
 oracolo io non ho. So che promisi;
960voglio partir. Potea
 della pace o del cambio
 Roma deliberar. Del mio ritorno
 a me tocca il pensier. Pubblico quello,
 questo è privato affar. Non son qual fui;
965né Roma ha dritto alcun sui servi altrui.
 PUBLIO
 Degli auguri il decreto
 s’attenda almen.
 REGOLO
                                 No; se l’attendo, approvo
 la loro autorità. Custodi al porto. (Agli africani)
 Amico addio.
 MANLIO
                            No Regolo; se vai
970fra la plebe commossa, a viva forza
 può trattenerti; e tu, se ciò succede,
 tutta Roma fai rea di poca fede.
 REGOLO
 Dunque mancar degg’io?...
 MANLIO
                                                    No; andrai; ma lascia
 che quest’impeto io vada
975prima a calmar. Ne sederà l’ardore
 la consolare autorità.
 REGOLO
                                         Rimango
 Manlio su la tua fé. Ma...
 MANLIO
                                               Basta; intendo.
 La tua gloria desio;
 e conosco il tuo cor. Fidati al mio.
 
980   Fidati pur; rammento
 che nacqui anch’io romano.
 Al par di te mi sento
 fiamme di gloria in sen.
 
    Mi niega, è ver la sorte
985le illustri tue ritorte;
 ma se le bramo invano,
 so meritarle almen. (Parte)
 
 SCENA III
 
 REGOLO e PUBLIO
 
 REGOLO
 E tanto or costa in Roma,
 tanto or si suda a conservar la fede!
990Dunque... Ah Publio! E tu resti? E sì tranquillo
 tutto lasci all’amico
 d’assistermi l’onor? Corri; procura
 tu ancor la mia partenza. Esser vorrei
 di sì gran beneficio
995debitore ad un figlio.
 PUBLIO
                                         Ah padre amato
 ubbidirò; ma...
 REGOLO
                               Che? Sospiri! Un segno
 quel sospiro saria d’animo oppresso!
 PUBLIO
 
    Sì, lo confesso,
 morir mi sento.
1000Ma questo istesso
 crudel tormento
 è il più bel merito
 del mio valor.
 
    Qual sacrificio
1005padre farei,
 se fosse il vincere
 gli affetti miei
 opra sì facile
 per questo cor? (Parte)
 
 SCENA IV
 
 REGOLO ed AMILCARE
 
 AMILCARE
1010Regolo alfin...
 REGOLO
                            Senza che parli intendo
 già le querele tue. Non ti sgomenti
 il moto popolar; Regolo in Roma
 vivo non resterà.
 AMILCARE
                                  Non so di quali
 moti mi vai parlando. Io querelarmi
1015teco non voglio. A sostenerti io venni
 che solo al Tebro in riva
 non nascono gli eroi,
 che vi sono alme grandi anche fra noi.
 REGOLO
 Sia. Non è questo il tempo
1020di inutili contese. I tuoi raccogli;
 t’appresta alla partenza.
 AMILCARE
 No. Pria m’odi; e rispondi.
 REGOLO
                                                   (Oh sofferenza!)
 AMILCARE
 È gloria l’esser grato?
 REGOLO
 L’esser grato è dover. Ma già sì poco
1025questo dover s’adempie,
 ch’oggi è gloria il compirlo.
 AMILCARE
                                                    E se il compirlo
 costasse un gran periglio?
 REGOLO
                                                  Ha il merto allora
 d’un’illustre virtù.
 AMILCARE
                                    Dunque non puoi
 questo merto negarmi. Odi. Mi rende,
1030del proprio onor geloso,
 la mia Barce il tuo figlio; e pur l’adora;
 io generoso ancora
 vengo il padre a salvargli; e pur m’espongo
 di Cartago al furor.
 REGOLO
                                      Tu! Vuoi salvarmi!
 AMILCARE
1035Io.
 REGOLO
         Come!
 AMILCARE
                        A te lasciando
 agio a fuggir. Questi custodi ad arte
 allontanar farò. Tu cauto in Roma
 celati sol fintanto
 che, senza te, con simulato sdegno,
1040quindi l’ancore io sciolga.
 REGOLO
 (Barbaro!)
 AMILCARE
                       E ben che dici?
 Ti sorprende l’offerta.
 REGOLO
                                           Assai.
 AMILCARE
                                                         L’avresti
 aspettata da me?
 REGOLO
                                  No.
 AMILCARE
                                            Pur la sorte
 non ho d’esser roman.
 REGOLO
                                           Si vede.
 AMILCARE
                                                            Andate
1045custodi... (Agli africani)
 REGOLO
                     Alcun non parta. (a’ medesimi)
 AMILCARE
 Perché?
 REGOLO
                  Grato io ti sono
 del buon voler; ma verrò teco.
 AMILCARE
                                                         E sprezzi
 la mia pietà?
 REGOLO
                           No; ti compiango. Ignori
 che sia virtù. Mostrar virtù pretendi;
1050e me, la patria tua, te stesso offendi.
 AMILCARE
 Io!
 REGOLO
         Sì. Come disponi
 della mia libertà? Servo son io
 di Cartago, o di te?
 AMILCARE
                                      Non è tuo peso
 l’esaminar se il beneficio...
 REGOLO
                                                   È grande
1055il beneficio inver! Rendermi reo,
 profugo, mentitor...
 AMILCARE
                                       Ma qui si tratta
 del viver tuo. Sai che supplizi atroci
 Cartago t’apprestò? Sai quale scempio
 là si farà di te?
 REGOLO
                              Ma tu conosci
1060Amilcare i Romani?
 Sai che vivon d’onor? Che questo solo
 è sprone all’opre lor, misura, oggetto?
 Senza cangiar d’aspetto
 qui s’impara a morir. Qui si deride,
1065pur che gloria produca, ogni tormento;
 e la sola viltà qui fa spavento.
 AMILCARE
 Magnifiche parole
 belle ad udir. Ma inopportuno è meco
 quel fastoso linguaggio. Io so che a tutti
1070la vita è cara, e che tu stesso...
 REGOLO
                                                        Ah troppo
 di mia pazienza abusi. I legni appresta,
 raduna i tuoi seguaci;
 compisci il tuo dover, barbaro, e taci.
 
 AMILCARE
 
    Fa’ pur l’intrepido;
1075m’insulta audace;
 chiama pur barbara
 la mia pietà.
 
    Sul Tebro Amilcare
 t’ascolta e tace;
1080ma presto in Africa
 risponderà. (Parte)
 
 SCENA V
 
 REGOLO, poi ATTILIA
 
 REGOLO
 E Publio non ritorna!
 E Manlio... Oimè! Che rechi mai sì lieta,
 sì frettolosa Attilia?
 ATTILIA
                                       Il nostro fato
1085già dipende da te; già cambio o pace
 fida a’ consigli tuoi
 Roma non vuol; ma rimaner tu puoi.
 REGOLO
 Sì col rossor...
 ATTILIA
                            No; su tal punto il sacro
 Senato pronunciò. L’arbitro sei
1090di partir, di restar. Giurasti in ceppi;
 né obbligar può sé stesso
 chi libero non è.
 REGOLO
                                 Libero è sempre
 chi sa morir. La sua viltà confessa
 chi l’altrui forza accusa.
1095Io giurai, perché volli;
 voglio partir, perché, giurai.
 
 SCENA VI
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
                                                      Ma invano
 signor lo speri.
 REGOLO
                              E chi potrà vietarlo?
 PUBLIO
 Tutto il popolo o padre. È affatto ormai
 incapace di fren. Per impedirti
1100il passaggio alle navi, ognun s’affretta
 precipitando al porto; e son di Roma
 già l’altre vie deserte.
 REGOLO
                                          E Manlio?
 PUBLIO
                                                               È il solo
 che ardisca opporsi ancora
 al voto universal. Prega, minaccia,
1105ma tutto inutilmente. Alcun non l’ode,
 non l’ubbidisce alcun. Cresce a momenti
 la furia popolar. Già su le destre
 ai pallidi littori
 treman le scuri; e non ritrova ormai
1110in tumulto sì fiero
 esecutori il consolare impero.
 REGOLO
 Attilia addio. Publio mi siegui. (In atto di partire)
 ATTILIA
                                                           E dove?
 REGOLO
 A soccorrer l’amico. Il suo delitto
 a rinfacciare a Roma. A conservarmi
1115l’onor di mie catene.
 A partire, o a spirar su queste arene. (Partendo)
 ATTILIA
 Ah padre, ah no. Se tu mi lasci...
 REGOLO
                                                             Attilia!
 Molto al nome di figlia,
 al sesso ed all’età finor donai.
1120Basta; si pianse assai. Per involarmi
 d’un gran trionfo il vanto,
 non congiuri con Roma anche il tuo pianto.
 ATTILIA
 Ah, tal pena è per me...
 REGOLO
                                             Per te gran pena
 è il perdermi lo so. Ma tanto costa
1125l’onor d’esser romana.
 ATTILIA
                                           Ogn’altra prova
 son pronta...
 REGOLO
                          E qual? Co’ tuoi consigli andrai
 forse fra i padri a regolar di Roma
 in Senato il destin? Con l’elmo in fronte
 forse i nemici a debellar pugnando
1130fra l’armi suderai? Qualche disastro
 se a soffrir per la patria atta non sei
 senza viltà, di’ , che farai per lei?
 ATTILIA
 È ver. Ma tal costanza...
 REGOLO
 È difficil virtù. Ma Attilia alfine
1135è mia figlia e l’avrà.
 ATTILIA
                                       Sì quanto io possa
 gran genitor t’imiterò. Ma... oh dio!
 Tu mi lasci sdegnato;
 io perdei l’amor tuo.
 REGOLO
                                        No figlia io t’amo;
 io sdegnato non son. Prendine in pegno
1140questo amplesso da me. Ma questo amplesso
 costanza, onor, non debbolezza inspiri.
 ATTILIA
 Ah sei padre, mi lasci; e non sospiri!
 REGOLO
 
    Io son padre e nol sarei,
 se lasciassi a’ figli miei
1145un esempio di viltà.
 
    Come ogn’altro ho core in petto;
 ma vassallo è in me l’affetto;
 ma tiranno in voi si fa. (Parte con Publio)
 
 SCENA VII
 
 ATTILIA, poi BARCE
 
 ATTILIA
 Su costanza o mio cor. Deboli affetti
1150sgombrate da quest’alma; inaridite
 ormai su queste ciglia
 lagrime imbelli. Assai si pianse; assai
 si palpitò. La mia virtù natia
 sorga al paterno sdegno;
1155ed Attilia non sia
 il ramo sol di sì gran pianta indegno.
 BARCE
 Attilia è dunque ver? Dunque a dispetto
 del popol, del Senato,
 degli auguri, di noi, del mondo intero
1160Regolo vuol partir?
 ATTILIA
                                      Sì.
 BARCE
                                              Ma che insano
 furor?...
 ATTILIA
                  Più di rispetto
 Barce agli eroi.
 BARCE
                               Come! Del padre approvi
 l’ostinato pensier?
 ATTILIA
                                     Del padre adoro
 la costante virtù.
 BARCE
                                 Virtù che a’ ceppi,
1165che all’ire altrui, che a vergognosa morte
 certamente dovrà...
 ATTILIA
                                      Taci. Quei ceppi,
 quell’ire, quel morir del padre mio
 saran trionfi.
 BARCE
                           E tu n’esulti?
 ATTILIA
                                                      (Oh dio!) (Piange)
 BARCE
 Capir non so...
 ATTILIA
                              Non può capir chi nacque
1170in barbaro terren per sua sventura
 come al paterno vanto
 goda una figlia.
 BARCE
                               E perché piangi intanto?
 ATTILIA
 
    Vuol tornar la calma in seno,
 quando in lagrime si scioglie
1175quel dolor che la turbò.
 
    Come torna il ciel sereno
 quel vapor che i rai gli toglie,
 quando in pioggia si cangiò. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 BARCE sola
 
 BARCE
 Che strane idee questa produce in Roma
1180avidità di lode! Invidia i ceppi
 Manlio del suo rival! Regolo abborre
 la pubblica pietà! La figlia esulta
 nello scempio del padre! E Publio, ah questo
 è caso inver che ogni credenza eccede,
1185e Publio, ebro d’onor, m’ama e mi cede!
 
    Ceder l’amato oggetto
 né spargere un sospiro
 sarà virtù; l’ammiro;
 ma non la curo in me.
 
1190   Di gloria un’ombra vana
 in Roma è il solo affetto;
 ma l’alma mia romana,
 lode agli dei, non è. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Edifici magnificamente costrutti, ma diruti su le rive del Tevere. Navi pronte nel fiume per l’imbarco di Regolo. Ponte che conduce alla più vicina di quelle. Popolo numeroso che impedisce il passaggio alle navi. Africani su le medesime. Littori col console.
 
 MANLIO e LICINIO
 
 LICINIO
 No. Che Regolo parta
1195Roma non vuole.
 MANLIO
                                  Ed il Senato, ed io
 non siam parte di Roma?
 LICINIO
                                                 Il popol tutto
 è la maggior.
 MANLIO
                           Non la più sana.
 LICINIO
                                                           Almeno
 la men crudel. Noi conservar vogliamo
 pieni di gratitudine e d’amore
1200a Regolo la vita.
 MANLIO
                                E noi l’onore.
 LICINIO
 L’onor...
 MANLIO
                   Basta; io non venni
 a garrir teco. Olà; libero il varco
 lasci ciascuno. (Al popolo)
 LICINIO
                              Olà; nessun si parta. (Al medesimo)
 MANLIO
 Io l’impongo.
 LICINIO
                            Io lo vieto.
 MANLIO
                                                  Osa Licinio
1205al console d’opporsi?
 LICINIO
                                         Osa al tribuno
 d’opporsi Manlio?
 MANLIO
                                    Or si vedrà. Littori
 sgombrate il passo. (I littori innalzando le scuri tentano avvanzarsi)
 LICINIO
                                       Il passo
 difendete o Romani. (Al popolo che si mette in difesa)
 MANLIO
                                         Oh dei! Con l’armi
 si resiste al mio cenno! In questa guisa
1210la maestà...
 LICINIO
                        La maestà di Roma
 nel popolo risiede; e tu l’oltraggi
 contrastando con lui.
 MANLIO
                                         Dunque o Quiriti... (Al popolo)
 POPOLO