Ciro riconosciuto, libretto, Ferrara, Barbieri, 1744
CIRO RICONOSCIUTO | |
Dramma per musica da rappresentarsi in Ferrara nel teatro Bonacossi a San Stefano il carnovale dell’anno 1744, dedicato al nobiluomo il signor marchese Virgilio Crescenzi. | |
In Ferrara, per Giuseppe Barbieri, con licenza de’ superiori. | |
ARGOMENTO | |
Il crudelissimo Astiage, ultimo re de’ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl’indovini, sopra alcun suo sogno, e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno; onde egli per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciol Ciro, che tale era il nome del nato infante, e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l’altra apresso di sé: affinché non nascesser da loro, insieme con altri figli, nuove cagioni a’ suoi timori. Arpago non avendo corraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l’esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea in quel giorno appunto partorito un fanciullo ma senza vita, onde la natural pietà, secondata dal comodo del cambio, persuase ad entrambi ch’esponesse Mitridate il proprio figliuolo già morto, ed il picciol Ciro, sotto nome d’Alceo, in abito di pastore in luogo di quello educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro ritrovato in una foresta bambino fosse stato dalla pietà d’alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito che approfittandosi di questa favola, o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venir Arpago e dimandollo di nuovo se avesse egli veramente ucciso il picciol Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago che dagli esterni segni avea ragion di sperar pentito il re, stimò questa una opportuna occasione di tentar l’animo suo e rispose: di non aver avuto coraggio d’ucciderlo ma d’averlo esposto in un bosco: preparato a scuoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza: e sicuro fratanto che quando se ne sdegnasse non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro, di cui, con questa dimezzata confessione, accreditava l’impostura. Sdegnossene Astiage ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio e con sì barbare circostanze che non essendo necessarie all’azione che si rappresenta trascuriamo volontieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure avido di vendetta, non lasciò di libertà alle smanie paterne, se non quanta ne bisognava, perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione: fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re e ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio: il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscì così felicemente il disegno, che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogn’anno su’confini del regno, dov’erano appunto le capanne di Mitridate, un solenne sacrificio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sacrificio, che saran quelli dell’azione che si rappresenta, parvero opportuni ad entrambi all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per varii accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita: ma difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne come egli ne aveva abusato (Erodoto, Clio, libro I; Giustino, libro I; Ctesia, Historiae excerpta; Valerius Maximus, libro I, capitolo 7, eccetera). | |
L’azione si rappresenta in una campagna su’ confini della Media. | |
Compariste appena, signor marchese gentilissimo, in questa al pari d’ogni altra raguardevole ed inclita città di Ferrara che in voi scorgendo il luminoso corteggio di tutti quei pregi che nell’anime grandi risplender sogliono e che l’ossequio insieme e l’universale ammirazione s’acquistano motivo prendemmo e coraggio di fidare alla vostra clemenza non meno che alla efficacissima protezione vostra il secondo dramma pure del celebre abbate Pietro Metastasio che su quelle scene rappresentare facciamo, sicuri che a qualunque mancanza da noi fosse involontariamente commessa nel porlo in pubblico abbondevolmente supplir potranno e l’eccelso nome vostro che porta in fronte e la somma benignità colla quale vi degnarete d’accoglierlo e di proteggerlo; onde solo ci resta di supplicarvi riverentemente a gradire e riconoscere nella piccola offerta del dono l’umilissima venerazione, con cui profondamente inchinandoci ci protestiamo umilissimi devoti ossequiosi servitori. | |
Ferrara, 20 gennaro 1744 | |
Gl’impresari | |
PERSONAGGI | |
ASTIAGE re de’ Medi, padre di Mandane | |
(il signor Domenico Bonifacci) | |
MANDANE moglie di Cambise, madre di Ciro | |
(la signora Marianna Marini) | |
CIRO sotto nome d’Alceo in abito di pastore, creduto figliuolo di Mitridate | |
(il signor Filippo Elisi) | |
ARPAGO confidente d’Astiage e padre di Arpalice | |
(la signora Ellisabetta Ronchetti) | |
ARPALICE confidente di Mandane | |
(la signora Violante Vestri) | |
CAMBISE principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale | |
(il signor Alessandro Verroni) | |
MITRIDATE pastore degli armenti reali | |
(la signora Rosa Tagliarini) | |
La poesia del signor abbate Pietro Metastasio, la musica del signor Nicolò Iommelli, maestro di cappella napolitano ed accademico filarmonico. | |
MUTAZIONI DI SCENE | |
Nell’atto primo: campagna su’ confini della Media sparsa di alberi ed ingombrata di numerose tende per comodo d’Astiage e di sua corte, da un lato gran padiglione aperto; parte interna della capanna di Mitridate con porta in faccia che unicamente v’introduce. | |
Nell’atto secondo: vasta pianura ingombrata di ruine d’antica città, già per lungo tempo insalvatichite. | |
Nell’atto terzo: montuosa; aspetto esteriore di magnifico tempio dedicato a Diana. | |