Ciro riconosciuto, libretto, Mantova, Pazzoni, 1758

 A tanto eccesso arriva
 l’orgoglio di Catone!
 MARZIA
                                        Ah Fulvio, e ancora
 non conosci il suo zelo? Ei crede...
 FULVIO
                                                               Ei creda
790pur ciò che vuol. Conoscerà fra poco
 se di romano il nome
 degnamente conservo,
 e se a Cesare sono amico o servo. (Parte)
 ARBACE
 Marzia, posso una volta
795sperar pietà?
 MARZIA
                            Dagli occhi miei t’invola;
 non aggiungermi affanni
 colla presenza tua.
 ARBACE
                                    Dunque il servirti
 è demerito in me? Così geloso
 eseguisco e nascondo un tuo comando;
800e tu...
 MARZIA
              Ma fino a quando
 la noia ho da soffrir di questi tuoi
 rimproveri importuni? Io ti disciolgo
 d’ogni promessa; in libertà ti pongo
 di far quanto a te piace.
805Di’ ciò che vuoi, pur che mi lasci in pace.
 ARBACE
 E acconsenti ch’io possa
 libero favellar?
 MARZIA
                               Tutto acconsento,
 pur che le tue querele
 più non abbia a soffrir.
 ARBACE
                                             Marzia crudele!
 MARZIA
810Chi a tollerar ti sforza
 questa mia crudeltà? Di che ti lagni?
 Perché non cerchi altrove
 chi pietosa t’accolga? Io tel consiglio.
 Vanne; il tuo merto è grande; e mille in seno
815amabili sembianze Africa aduna;
 contenderanno a gara
 l’acquisto del tuo cor. Di me ti scorda;
 ti vendica così.
 ARBACE
                              Giusto saria;
 ma chi tutto può far quel che desia?
 
820   So che pietà non hai
 e pur ti deggio amar.
 Dove apprendesti mai
 l’arte d’innamorar
 quando m’offendi?
 
825   Se compatir non sai,
 se amor non vive in te,
 perché, crudel, perché
 così m’accendi? (Parte)
 
 SCENA IV
 
 MARZIA, poi EMILIA, indi CESARE
 
 MARZIA
 E qual sorte è la mia! Di pena in pena,
830di timore in timor passo e non provo
 un momento di pace.
 EMILIA
                                          Alfin partito
 è Cesare da noi. So già che invano
 in difesa di lui
 Marzia e Fulvio sudò; ma giovò poco
835e di Fulvio e di Marzia
 a Cesare il favor. Come sofferse
 quell’eroe sì gran torto?
 Che disse? Che farà? Tu lo saprai,
 tu che sei tanto alla sua gloria amica.
 MARZIA
840Ecco Cesare istesso; egli tel dica. (Vedendo venir Cesare)
 EMILIA
 Che veggo!
 CESARE
                        A tanto eccesso
 giunse Catone! E qual dover, qual legge
 può render mai la sua ferocia doma?
 È il Senato un vil gregge;
845è Cesare un tiranno; ei solo è Roma!
 EMILIA
 E disse il vero.
 CESARE
                              Ah questo è troppo. Ei vuole
 che sian l’armi e la sorte
 giudici fra di noi? Saranno. Ei brama
 che al mio campo mi renda?
850Io vo. Di’ che m’aspetti e si difenda. (In atto di partire)
 MARZIA
 Deh ti placa. Il tuo sdegno in parte è giusto;
 il veggo anch’io; ma il padre
 a ragion dubitò. De’ suoi sospetti
 mi è nota la cagion; tutto saprai.
 EMILIA
855(Numi, che ascolto!)
 
 SCENA V
 
 FULVIO e detti
 
 FULVIO
                                        Ormai
 consolati, signor; la tua fortuna
 degna è d’invidia. Ad ascoltarti alfine
 scende Catone. Io di favor sì grande
 la novella ti reco.
 EMILIA
                                  (Ancor costui
860mi lusinga e m’inganna).
 CESARE
                                                 E così presto
 si cangiò di pensiero?
 FULVIO
                                           Anzi il suo pregio
 è l’animo ostinato.
 Ma il popolo adunato,
 i compagni, gli amici, Utica intera,
865desiosa di pace, a forza ha svelto
 il consenso da lui. Da’ prieghi astretto,
 non persuaso, ei con sdegnosi accenti
 aspramente assentì, quasi da lui
 tu dipendessi e la comun speranza.
 CESARE
870Che fiero cor! Che indomita costanza!
 EMILIA
 (E tanto ho da soffrir!)
 MARZIA
                                            Signor, tu pensi? (A Cesare)
 Una privata offesa ah non seduca
 il tuo gran cor. Vanne a Catone e insieme
 fatti amici serbate
875tanto sangue latino. Al mondo intero
 del turbato riposo
 sei debitor. Tu non rispondi? Almeno
 guardami; io son che priego.
 CESARE
                                                       Ah Marzia...
 MARZIA
                                                                                Io dunque
 a moverti a pietà non son bastante?
 EMILIA
880(Più dubitar non posso, è Marzia amante).
 FULVIO
 Eh che non è più tempo
 che si parli di pace. A vendicarci
 andiam coll’armi; il rimaner che giova?
 CESARE
 No; facciam del suo cor l’ultima prova.
 FULVIO
885Come!
 MARZIA
                (Respiro).
 EMILIA
                                     Or vanta,
 vile che sei, quel tuo gran cor. Ritorna
 supplice a chi t’offende e fingi a noi
 che è rispetto il timor.
 CESARE
                                           Chi può gli oltraggi
 vendicar con un cenno e si raffrena
890vile non è. Marzia, di nuovo al padre
 vuo’ chieder pace; e soffrirò fintanto
 ch’io perda di placarlo ogni speranza.
 Ma se tanto s’avanza
 l’orgoglio in lui che non si pieghi, allora
895non so dirti a qual segno
 giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
 
    Soffre talor del vento
 i primi insulti il mare;
 né a cento legni e cento,
900che van per l’onde chiare,
 intorbida il sentier.
 
    Ma poi, se il vento abbonda,
 il mar s’innalza e freme
 e colle navi affonda
905tutta la ricca speme
 dell’avido nocchier. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 MARZIA, EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Lode agli dei; la fuggitiva speme
 a Marzia in sen già ritornar si vede.
 FULVIO
 Ne fa sicura fede
910la gioia a noi che le traspare in volto.
 MARZIA
 Nol niego, Emilia. È stolto
 chi non sente piacer quando, placato
 l’altrui genio guerriero,
 può sperar la sua pace il mondo intero.
 EMILIA
915Nobil pensier, se i publici riposi
 di tutti i voti tuoi sono gli oggetti;
 ma spesso avvien che questi
 siano illustri pretesti,
 ond’altri asconda i suoi privati affetti.
 MARZIA
920Credi ciò che a te piace; io spero intanto;
 e alla speranza mia
 l’alma si fida e i suoi timori obblia.
 EMILIA
 Or va’, di’ che non ami. Assai ti accusa
 l’esser credula tanto; è degli amanti
925questo il costume. Io non m’inganno; e pure
 la tua lusinga è vana;
 e sei da quel che speri assai lontana.
 MARZIA
 
    In che ti offende
 se l’alma spera,
930se amor l’accende,
 se odiar non sa?
 
    Perché spietata
 pur mi vuoi togliere
 questa sognata
935felicità?
 
    Tu dell’amore
 lascia al cor mio
 come al tuo core
 lascio ancor io
940tutta dell’odio
 la libertà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 EMILIA e FULVIO
 
 FULVIO
 Tu vedi, o bella Emilia,
 che mia colpa non è s’oggi di pace
 si ritorna a parlar.
 EMILIA
                                    (Fingiamo). Assai
945Fulvio conosco; e quanto oprasti intesi.
 So però con qual zelo
 porgesti il foglio, e come
 a favor del tiranno
 ragionasti a Catone. Io di tua fede
950non sospetto perciò. L’arte ravviso
 che per giovarmi usasti. Era il tuo fine,
 cred’io, d’aggiunger foco al loro sdegno.
 Non è così?
 FULVIO
                        Puoi dubitarne?
 EMILIA
                                                        (Indegno!)
 FULVIO
 Ora che pensi?
 EMILIA
                               A vendicarmi.
 FULVIO
                                                           E come?
 EMILIA
955Meditai ma non scelsi.
 FULVIO
                                            Al braccio mio
 tu promettesti, il sai, l’onor del colpo.
 EMILIA
 E a chi fidar poss’io
 meglio la mia vendetta?
 FULVIO
                                               Io ti assicuro
 che mancar non saprò.
 EMILIA
                                            Vedo che senti
960delle sventure mie tutto l’affanno.
 FULVIO
 (Salvo un eroe così).
 EMILIA
                                        (Così l’inganno).
 
    Per te spero e per te solo
 mi lusingo, mi consolo;
 la tua fé, l’amore io vedo.
965(Ma non credo a un traditor).
 
    D’appagar lo sdegno mio
 il desio ti leggo in viso.
 (Ma ravviso infido il cor). (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 FULVIO
 
 FULVIO
 Oh dei, tutta sé stessa
970a me confida Emilia ed io l’inganno!
 Ah perdona, mio bene,
 questa frode innocente; al tuo nemico
 io troppo deggio. È in te virtù lo sdegno;
 sarebbe colpa in me. Per mia sventura,
975se appago il tuo desio,
 l’amicizia tradisco e l’onor mio.
 
    Nascesti alle pene,
 mio povero core.
 Amar ti conviene
980chi, tutta rigore,
 per farti contento
 ti vuole infedel.
 
    Di’ pur che la sorte
 è troppo severa;
985ma soffri, ma spera,
 ma fino alla morte
 in ogni tormento
 ti serba fedel. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Camera con sedie.
 
 CATONE e MARZIA
 
 CATONE
 Si vuole ad onta mia
990che Cesare s’ascolti;
 l’ascolterò. Ma in faccia
 agli uomini ed ai numi io mi protesto
 che, da tutti costretto,
 mi riduco a soffrirlo; e con mio affanno
995debole io son, per non parer tiranno.
 MARZIA
 Oh di quante speranze
 questo giorno è cagion! Da due sì grandi
 arbitri della terra
 incerto il mondo e curioso pende;
1000e da voi pace o guerra
 o servitude o libertade attende.
 CATONE
 Inutil cura.
 MARZIA
                        Or viene (Guardando dentro alla scena)
 Cesare a te.
 CATONE
                         Lasciami seco.
 MARZIA
                                                      (Oh dei,
 per pietà secondate i voti miei!) (Parte)
 
 SCENA X
 
 CESARE e detto
 
 CATONE
1005Cesare, a me son troppo
 preziosi i momenti e qui non voglio
 perderli in ascoltarti;
 o stringi tutto in poche note o parti. (Siede)
 CESARE
 T’appagherò. (Come m’accoglie!) Il primo (Siede)
1010de’ miei desiri è il renderti sicuro
 che il tuo cor generoso,
 che la costanza tua...
 CATONE
                                        Cangia favella,
 se pur vuoi che t’ascolti. Io so che questa
 artifiziosa lode è in te fallace;
1015e vera ancor, da’ labbri tuoi mi spiace.
 CESARE
 (Sempre è l’istesso). Ad ogni costo io voglio
 pace con te. Tu scegli i patti; io sono
 ad accettarli accinto,
 come faria col vincitore il vinto.
1020(Or che dirà?)
 CATONE
                              Tanto offerisci?
 CESARE
                                                             E tanto
 adempirò, che dubitar non posso
 d’un’ingiusta richiesta.
 CATONE
 Giustissima sarà. Lascia dell’armi
 l’usurpato comando; il grado eccelso
1025di dittator deponi; e, come reo,
 rendi in carcere angusto
 alla patria ragion de’ tuoi misfatti.
 Questi, se pace vuoi, saranno i patti.
 CESARE
 Ed io dovrei...
 CATONE
                             Di rimanere oppresso
1030non dubitar, che allora
 sarò tuo difensore.
 CESARE
                                     (E soffro ancora!)
 Tu sol non basti. Io so quanti nemici
 con gli eventi felici
 m’irritò la mia sorte, onde potrei
1035i giorni miei sagrificare invano.
 CATONE
 Ami tanto la vita e sei romano?
 In più felice etade agli avi nostri
 non fu cara così. Curzio rammenta,
 Decio rimira a mille squadre a fronte,
1040vedi Scevola all’ara, Orazio al ponte,
 e di Cremera all’acque,
 di sangue e di sudor bagnati e tinti,
 trecento Fabi in un sol giorno estinti.
 CESARE
 Se allor giovò di questi,
1045nuocerebbe alla patria or la mia morte.
 CATONE
 Per qual ragione?
 CESARE
                                   È necessario a Roma
 che un sol comandi.
 CATONE
                                       È necessario a lei
 ch’egualmente ciascun comandi e serva.
 CESARE
 E la pubblica cura
1050tu credi più sicura in mano a tanti,
 discordi negli affetti e ne’ pareri?
 Meglio il voler d’un solo
 regola sempre altrui. Solo fra’ numi
 Giove il tutto dal ciel governa e move.
 CATONE
1055Dov’è costui che rassomigli a Giove?
 Io non lo veggo; e, se vi fosse ancora,
 diverrebbe tiranno in un momento.
 CESARE
 Chi non ne soffre un sol ne soffre cento.
 CATONE
 Così parla un nemico
1060della patria e del giusto. Intesi assai;
 basta così. (S’alza)
 CESARE
                       Ferma, Catone.
 CATONE
                                                     È vano
 quanto puoi dirmi.
 CESARE
                                      Un sol momento aspetta;
 altre offerte io farò.
 CATONE
                                      Parla e t’affretta. (Torna a sedere)
 CESARE
 (Quanto sopporto!) Il combattuto acquisto
1065dell’impero del mondo, il tardo frutto
 de’ miei sudori e de’ perigli miei,
 se meco in pace sei,
 dividerò con te.
 CATONE
                                Sì, perché poi
 diviso ancor fra noi
1070di tante colpe tue fosse il rossore.
 E di viltà Catone,
 temerario, così tentando vai?
 Posso ascoltar di più!
 CESARE
                                         (Son stanco ormai).
 Troppo cieco ti rende
1075l’odio per me; meglio rifletti. Io molto
 finor t’offersi e voglio
 offrirti più. Perché fra noi sicura
 rimanga l’amistà, darò di sposo
 la destra a Marzia.
 CATONE
                                     Alla mia figlia!
 CESARE
                                                                  A lei.
 CATONE
1080Ah! Prima degli dei
 piombi sopra di me tutto lo sdegno
 ch’io l’infame disegno
 d’opprimer Roma ad approvar m’induca
 con l’odioso nodo. Ombre onorate
1085de’ Bruti e de’ Virgini, oh come adesso
 fremerete d’orror! Che audacia, oh numi!
 E Catone l’ascolta?
 E a proposte sì ree...
 CESARE
                                        Taci una volta; (S’alzano)
 hai cimentato assai
1090la tolleranza mia. Che più degg’io
 soffrir da te? Per tuo riguardo il corso
 trattengo a’ miei trionfi; io stesso vengo,
 dell’onor tuo geloso, a chieder pace;
 de’ miei sudati acquisti
1095ti voglio a parte; offro a tua figlia in dono
 questa man vincitrice; a te cortese
 per cento offese e cento
 rendo segni d’amor né sei contento?
 Che vorresti, che aspetti,
1100che pretendi da me? Se d’esser credi
 argine alla fortuna
 di Cesare tu solo, invan lo speri.
 Han principio dal ciel tutti gl’imperi.
 CATONE
 Favorevoli agli empi
1105sempre non son gli dei.
 CESARE
                                             Vedrem fra poco
 colle nostr’armi altrove (In atto di partire)
 chi favorisca il ciel.
 
 SCENA XI
 
 MARZIA e detti
 
 MARZIA
                                      Cesare, e dove?
 CESARE
 Al campo.
 MARZIA
                      Oh dio! T’arresta.
 Questa è la pace? (A Catone) È questa
1110l’amistà sospirata? (A Cesare)
 CESARE
                                      Il padre accusa;
 egli vuol guerra.
 MARZIA
                                 Ah, genitor!
 CATONE
                                                         T’accheta;
 di costui non parlar.
 MARZIA
                                        Cesare...
 CESARE
                                                          Ho troppo
 tollerato finora.
 MARZIA
 I prieghi d’una figlia... (A Catone)
 CATONE
                                             Oggi son vani.
 MARZIA
1115D’una romana il pianto... (A Cesare)
 CESARE
                                                 Oggi non giova.
 MARZIA
 Ma qualcuno a pietade almen si mova.
 CESARE
 Per soverchia pietà quasi con lui
 vile me resi. Addio. (In atto di partire)
 MARZIA
                                        Fermati.
 CATONE
                                                           Eh lascia
 che s’involi al mio sguardo.
 MARZIA
                                                    Ah no; placate
1120ormai l’ire ostinate. Assai di pianto
 costano i vostri sdegni
 alle spose latine. Assai di sangue
 costano gli odi vostri all’infelice
 popolo di Quirino. Ah non si veda
1125su l’amico trafitto
 più incrudelir l’amico, ah non trionfi
 del germano il germano, ah più non cada
 al figlio che l’uccise il padre accanto!
 Basti alfin tanto sangue e tanto pianto.
 CATONE
1130Non basta a lui.
 CESARE
                                Non basta a me? Se vuoi, (A Catone)
 v’è tempo ancor. Pongo in obblio le offese,
 le promesse rinnovo,
 l’ire depongo e la tua scelta attendo.
 Chiedimi guerra o pace;
1135soddisfatto sarai.
 CATONE
 Guerra, guerra mi piace.
 CESARE
                                                E guerra avrai.
 
    Se in campo armato
 vuoi cimentarmi,
 vieni, che il fato
1140fra l’ire e l’armi
 la gran contesa
 deciderà.
 
    Delle tue lagrime, (A Marzia)
 del tuo dolore
1145accusa il barbaro
 tuo genitore;
 il cor di Cesare
 colpa non ha. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 CATONE e MARZIA, indi EMILIA
 
 MARZIA
 Ah signor, che facesti? Ecco in periglio
1150la tua, la nostra vita.
 CATONE
                                        Il viver mio
 non sia tua cura. A te pensai; di padre
 sento gli affetti. Emilia, (Vedendo venire Emilia)
 non v’è più pace; e fra l’ardor dell’armi
 mal sicure voi siete, onde alle navi
1155portate il piè. Sai che il german di Marzia
 di quelle è duce; e in ogni evento avrete
 pronto lo scampo almen.
 EMILIA
                                               Qual via sicura
 d’uscir da queste mura
 cinte d’assedio?
 CATONE
                                In solitaria parte,
1160d’Iside al fonte appresso,
 a me noto è l’ingresso
 di sotterranea via. Ne cela il varco
 de’ folti dumi e de’ pendenti rami
 l’invecchiata licenza. All’acque un tempo
1165servì di strada; or, dall’età cangiata,
 offre asciutto il cammino
 dall’offesa cittade al mar vicino.
 EMILIA
 (Può giovarmi il saperlo).
 MARZIA
                                                 Ed a chi fidi
 la speme, o padre? È mal sicura, il sai,
1170la fé di Arbace; a ricusarmi ei giunse.
 CATONE
 Ma nel cimento estremo
 ricusarti non può. Di tanto eccesso
 è incapace, il vedrai.
 MARZIA
                                        Farà l’istesso.
 
 SCENA XIII
 
 ARBACE e detti
 
 ARBACE
 Signor, so che a momenti
1175pugnar si deve; imponi
 che far degg’io. Senz’aspettar l’aurora,
 ogn’ingiusto sospetto a render vano,
 vengo sposo di Marzia; ecco la mano.
 (Mi vendico così).
 CATONE
                                    Nol dissi, o figlia?
 MARZIA
1180Temo, Arbace, ed ammiro
 l’incostante tuo cor.
 ARBACE
                                      D’ogni riguardo
 disciolto io sono e la ragion tu sai.
 MARZIA
 (Ah mi scopre).
 ARBACE
                                A Catone
 deggio un pegno di fede in tal periglio.
 CATONE
1185Che tardi? (A Marzia)
 EMILIA
                        (Che farà?)
 MARZIA
                                                (Numi, consiglio).
 EMILIA
 Marzia, ti rasserena.
 MARZIA
 Emilia, taci.
 ARBACE
                          Or mia sarai. (A Marzia)
 MARZIA
                                                     (Che pena!)
 CATONE
 Più non s’aspetti. A lei
 porgi, Arbace, la destra.
 ARBACE
                                              Eccola; in dono
1190il cor, la vita, il soglio
 così presento a te.
 MARZIA
                                    Va’; non ti voglio.
 ARBACE
 Come!
 EMILIA
                (Che ardir!)
 CATONE
                                         Perché? (A Marzia)
 MARZIA
                                                          Finger non giova;
 tutto dirò. Mai non mi piacque Arbace,
 mai nol soffersi; egli può dirlo. Ei chiese
1195il differir le nozze
 per cenno mio. Sperai che alfin più saggio
 l’autorità d’un padre
 impegnar non volesse a far soggetti
 i miei liberi affetti;
1200ma già che sazio ancora
 non è di tormentarmi e vuol ridurmi
 a un estremo periglio,
 a un estremo rimedio anch’io m’appiglio.
 CATONE
 Son fuor di me. Donde tant’odio e donde
1205tanta audacia in costei? (Ad Emilia e ad Arbace)
 EMILIA
                                               Forse altro foco
 l’accenderà.
 ARBACE
                         Così non fosse.
 CATONE
                                                      E quale
 de’ contumaci amori
 sarà l’oggetto?
 ARBACE
                             Oh dio!
 EMILIA
                                              Chi sa?
 CATONE
                                                              Parlate.
 ARBACE
 Il rispetto...
 EMILIA
                         Il decoro...
 MARZIA
1210Tacete; io lo dirò. Cesare adoro.
 CATONE
 Cesare!
 MARZIA
                  Sì. Perdona,
 amato genitor; di lui m’accesi
 pria che fosse nemico; io non potei
 sciogliermi più. Qual è quel cor capace
1215d’amare e disamar quando gli piace?
 CATONE
 Che giungo ad ascoltar!
 MARZIA
                                             Placati e pensa
 che le colpe d’amor...
 CATONE
                                         Togliti, indegna,
 togliti agli occhi miei.
 MARZIA
                                          Padre...
 CATONE
                                                           Che padre!
 D’una perfida figlia,
1220che ogni rispetto obblia, che in abbandono
 mette il proprio dover, padre non sono.
 MARZIA
 Ma che feci? Agli altari
 forse i numi involai? Forse distrussi
 con sacrilega fiamma il tempio a Giove?
1225Amo alfine un eroe di cui superba
 sopra i secoli tutti
 va la presente etade, il cui valore
 gli astri, la terra, il mar, gli uomini, i numi
 favoriscono a gara; onde, se l’amo,
1230o che rea non son io
 o il fallo universale approva il mio.
 CATONE
 Scellerata, il tuo sangue... (In atto di ferir Marzia)
 ARBACE
                                                  Ah no, t’arresta.
 EMILIA
 Che fai? (A Catone)
 ARBACE
                    Mia sposa è questa.
 CATONE
                                                          Ah prence! Ah ingrata!
 Amare un mio nemico!
1235Vantarlo in faccia mia! Stelle spietate,
 a quale affanno i giorni miei serbate!
 
    Dovea svenarti allora (A Marzia)
 che apristi al dì le ciglia.
 Dite, vedeste ancora (Ad Emilia e ad Arbace)
1240un padre ed una figlia,
 perfida al par di lei,
 misero al par di me?
 
    L’ira soffrir saprei
 d’ogni destin tiranno;
1245a questo solo affanno
 costante il cor non è. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 MARZIA, EMILIA e ARBACE
 
 MARZIA
 Sarete paghi alfin. Volesti al padre (Ad Arbace)
 vedermi in odio? Eccomi in odio. Avesti (Ad Emilia)
 desio di guerra? Eccoci in guerra. Or dite,
1250che bramate di più?
 ARBACE
                                        M’accusi a torto.
 Tu mi togliesti, il sai,
 la legge di tacere.
 EMILIA
                                   Io non t’offendo,
 se vendetta desio.
 MARZIA
                                    Ma uniti intanto
 contro me congiurate.
1255Ditelo; che vi feci, anime ingrate?
 
    So che godendo vai (Ad Arbace)
 del duol che mi tormenta;
 ma lieto non sarai;
 ma non sarai contenta; (Ad Emilia)
1260voi penerete ancor.
 
    Nelle sventure estreme
 noi piangeremo insieme.
 Tu non avrai vendetta; (Ad Emilia)
 tu non sperare amor. (Ad Arbace e parte)
 
 SCENA XV
 
 EMILIA e ARBACE
 
 EMILIA
1265Udisti, Arbace? Il credo appena. A tanto
 giunge dunque in costei
 un temerario amor? Ne vanta il foco,
 te ricusa, me insulta e il padre offende.
 ARBACE
 Di colei che mi accende
1270ah non parlar così.
 EMILIA
                                     Non hai rossore
 di tanta debolezza? A tale oltraggio
 resisti ancor?
 ARBACE
                            Che posso far? È ingrata,
 è ingiusta, io lo conosco; e pur l’adoro;
 e sempre più si avanza
1275con la sua crudeltà la mia costanza.
 EMILIA
 
    Se sciogliere non vuoi
 dalle catene il cor,
 di chi lagnar ti puoi?
 Sei folle nell’amor,
1280non sei costante.
 
    Ti piace il suo rigor;
 non cerchi libertà;
 l’istessa infedeltà
 ti rende amante. (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 ARBACE
 
 ARBACE
1285L’ingiustizia, il disprezzo,
 la tirannia, la crudeltà, lo sdegno
 dell’ingrato mio ben senza lagnarmi
 tollerare io saprei; tutte son pene
 soffribili ad un cor. Ma su le labbra
1290della nemica mia sentire il nome
 del felice rival, saper che l’ama,
 udir che i pregi ella ne dica e tanto
 mostri per lui d’ardire,
 questo, questo è penar, questo è morire.
 
1295   Che sia la gelosia
 un gelo in mezzo al foco,
 è ver, ma questo è poco;
 è il più crudel tormento
 d’un cor che s’innamora;
1300e questo è poco ancora.
 Io nel mio cor lo sento
 ma non lo so spiegar.
 
    Se non portasse amore
 affanno sì tiranno,
1305qual è quel rozzo core
 che non vorrebbe amar?
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile.
 
 CESARE e FULVIO
 
 CESARE
 Tutto, amico, ho tentato; alcun rimorso
 più non mi resta. Invan finsi finora
 ragioni alla dimora,
1310sperando pur che della figlia al pianto,
 d’Utica a’ prieghi e de’ perigli a fronte
 si piegasse Catone. Or so ch’ei volle
 invece di placarsi
 Marzia svenar, perché gli chiese pace,
1315perché disse d’amarmi. Andiamo; ormai
 giusto è il mio sdegno; ho tollerato assai. (In atto di partire)
 FULVIO
 Ferma, tu corri a morte.
 CESARE
 Perché?
 FULVIO
                  Già su le porte
 d’Utica v’è chi nell’uscir ti deve
1320privar di vita.
 CESARE
                             E chi pensò la trama?
 FULVIO
 Emilia. Ella mel disse; ella confida
 nell’amor mio, tu ’l sai.
 CESARE
                                             Coll’armi in pugno
 ci apriremo la via. Vieni.
 FULVIO
                                                Raffrena
 questo ardor generoso. Altro riparo
1325offre la sorte.
 CESARE
                           E quale?
 FULVIO
                                              Un, che fra l’armi
 milita di Catone, infino al campo
 per incognita strada
 ti condurrà.
 CESARE
                         Chi è questi?
 FULVIO
 Floro si appella; uno è di quei che scelse
1330Emilia a trucidarti. Ei vien pietoso
 a palesar la frode
 e ad aprirti lo scampo.
 CESARE
                                            Ov’è?
 FULVIO
                                                          Ti attende
 d’Iside al fonte. Egli mi è noto; a lui
 fidati pure. Intanto al campo io riedo;
1335e per l’esterno ingresso
 di quel cammino istesso a te svelato,
 co’ più scelti de’ tuoi
 tornerò poi per tua difesa armato.
 CESARE
 E fidarci così?
 FULVIO
                             Vivi sicuro;
1340avran di te, che sei
 la più grand’opra lor, cura gli dei.
 
    La fronda, che circonda
 a’ vincitori il crine,
 soggetta alle ruine
1345del folgore non è.
 
    Compagna dalla cuna
 apprese la fortuna
 a militar con te. (Parte)
 
 SCENA II
 
 CESARE e poi MARZIA
 
 CESARE
 Quanti aspetti la sorte
1350cangia in un giorno!
 MARZIA
                                        Ah Cesare, che fai?
 Come in Utica ancor?
 CESARE
                                          L’insidie altrui
 mi son d’inciampo.
 MARZIA
                                      Per pietà, se m’ami,
 come parte del mio
 difendi il viver tuo. Cesare, addio. (In atto di partire)
 CESARE
1355Fermati, dove fuggi?
 MARZIA
 Al germano, alle navi. Il padre irato
 vuol la mia morte. (Oh dio, (Guardando intorno)
 giungesse mai!) Non m’arrestar; la fuga
 sol può salvarmi.
 CESARE
                                  Abbandonata e sola
1360arrischiarti così? Ne’ tuoi perigli
 seguirti io deggio.
 MARZIA
                                    No; se è ver che m’ami,
 me non seguir; pensa a te sol; non dei
 meco venire. Addio... Ma senti; in campo,
 com’è tuo stil, se vincitor sarai,
1365oggi del padre mio
 risparmia il sangue, io te ne priego. Addio. (In atto di partire)
 CESARE
 T’arresta anche un momento.
 MARZIA
                                                        È la dimora