Ciro riconosciuto, libretto, Mantova, Pazzoni, 1758

 Cesare giungerà. Chiusa è l’uscita
 per mio comando, onde non v’è per lui
1710via di fuggir. Voi qui d’intorno occulti
 attendete il mio cenno. Ecco il momento (La gente si dispone)
 sospirato da me. Vorrei... Ma parmi
 ch’altri s’appressi. È questo
 certamente il tiranno. Aita, o dei;
1715se vendicata or sono,
 ogni oltraggio sofferto io vi perdono. (Si nasconde)
 
 SCENA VI
 
 CESARE e detta
 
 CESARE
 Ecco d’Iside il fonte. Ai noti segni
 questo il varco sarà. Floro, m’ascolti?
 Floro. Nol veggio più. Sin qui condurmi,
1720poi dileguarsi! Io fui
 troppo incauto in fidarmi. Eh non è questo
 il primo ardir felice. Io di mia sorte
 feci in rischio maggior più certa prova. (Nell’entrare s’incontra in Emilia che esce dagli acquedotti con la sua gente, la quale circonda Cesare)
 EMILIA
 Ma questa volta il suo favor non giova.
 CESARE
1725Emilia!
 EMILIA
                  È giunto il tempo
 delle vendette mie.
 CESARE
                                      Fulvio ha potuto
 ingannarmi così?
 EMILIA
                                   No; dell’inganno
 tutta la gloria è mia. Della sua fede
 giurata a te contro di te mi valsi.
1730Perché impedisse il tuo ritorno al campo,
 a Fulvio io figurai
 d’Utica su le porte i tuoi perigli.
 Per condurti ove sei, Floro io mandai
 con simulato zelo a palesarti
1735questa incognita strada. Or dal mio sdegno,
 se puoi, t’invola.
 CESARE
                                 Un femminil pensiero
 quanto giunge a tentar!
 EMILIA
                                              Forse volevi
 che insensati gli dei sempre i tuoi falli
 soffrissero così? Che sempre il mondo
1740pianger dovesse in servitù dell’empio
 suo barbaro oppressor? Che l’ombra grande
 del tradito Pompeo
 eternamente invendicata errasse?
 Folle! Contro i malvagi,
1745quando più gli assicura,
 allor le sue vendette il ciel matura.
 CESARE
 Alfin che chiedi?
 EMILIA
                                  Il sangue tuo.
 CESARE
                                                             Sì lieve
 non è l’impresa.
 EMILIA
                                 Or lo vedremo. Amici,
 l’usurpator svenate.
 CESARE
1750Prima voi caderete. (Cava la spada)
 
 SCENA VII
 
 CATONE e detti
 
 CATONE
                                        Olà, fermate.
 EMILIA
 (Fato avverso!)
 CATONE
                               Che miro! Allorch’io cerco
 la fuggitiva figlia,
 te in Utica ritrovo in mezzo all’armi!
 Che si vuol? Che si tenta?
 CESARE
1755La morte mia ma con viltà.
 CATONE
                                                    Chi è reo
 di sì basso pensiero?
 CESARE
 Emilia.
 CATONE
                 Emilia!
 EMILIA
                                  È vero;
 io fra noi lo ritenni. In questo loco
 venne per opra mia. Qui voglio all’ombra
1760dell’estinto Pompeo svenar l’indegno.
 Non turbar nel più bello il gran disegno.
 CATONE
 E romana, qual sei,
 speri adoprar con lode
 la greca insidia e l’africana frode?
 EMILIA
1765È virtù quell’inganno
 che dall’indegna soma
 libera d’un tiranno il mondo e Roma.
 CATONE
 Non più; parta ciascuno. (La gente d’Emilia parte)
 EMILIA
                                                E tu difendi
 un ribelle così?
 CATONE
                               Suo difensore
1770son per tua colpa.
 CESARE
                                   (Oh generoso core!) (Ripone la spada)
 EMILIA
 Momento più felice
 pensa che non avrem.
 CATONE
                                           Parti e ti scorda
 l’idea d’un tradimento.
 EMILIA
 Veggo il fato di Roma in ogni evento. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 CESARE e CATONE
 
 CESARE
1775Lascia che un’alma grata
 renda alla tua virtù...
 CATONE
                                         Nulla mi devi.
 Mira se alcun vi resta
 armato a’ danni tuoi.
 CESARE
                                         Partì ciascuno. (Guardando attorno)
 CATONE
 D’altre insidie hai sospetto?
 CESARE
                                                      Ove tu sei
1780chi può temerle?
 CATONE
                                  E ben, stringi quel brando;
 risparmi il sangue nostro
 quello di tanti eroi.
 CESARE
 Come!
 CATONE
                Se qui paventi
 di nuovi tradimenti,
1785scegli altro campo e decidiam fra noi.
 CESARE
 Ch’io pugni teco! Ah non fia ver. Saria
 della perdita mia
 più infausta la vittoria.
 CATONE
                                             Eh non vantarmi
 tanto amor, tanto zelo; all’armi, all’armi.
 CESARE
1790A cento schiere in faccia
 si combatta, se vuoi; ma non si vegga
 per qualunque periglio
 contro il padre di Roma armarsi il figlio.
 CATONE
 Eroici sensi e strani
1795a un seduttor delle donzelle in petto.
 Sarebbe mai difetto
 di valor, di coraggio
 quel color di virtù?
 CESARE
                                      Cesare soffre
 di tal dubbio l’oltraggio!
1800Ah se alcun si ritrova
 che ne dubiti ancora, ecco la prova. (Mentre snuda la spada, esce Emilia frettolosa)
 
 SCENA IX
 
 EMILIA e detti
 
 EMILIA
 Siam perduti.
 CATONE
                             Che fu?
 EMILIA
                                              L’armi nemiche
 su le assalite mura
 si veggono apparir. Non basta Arbace
1805a incoraggire i tuoi. Se tardi un punto,
 oggi all’estremo il nostro fato è giunto.
 CATONE
 Di private contese,
 Cesare, non è tempo.
 CESARE
                                         A tuo talento
 parti o t’arresta.
 EMILIA
                                 Ah non tardar; la speme
1810si ripone in te solo.
 CATONE
 Volo al cimento. (Parte)
 CESARE
                                 Alla vittoria io volo. (Parte)
 
 SCENA X
 
 EMILIA
 
 EMILIA
 Chi può nelle sventure
 uguagliarsi con me? Spesso per gli altri
 e parte e fa ritorno
1815la tempesta, la calma e l’ombra e il giorno;
 sol io provo degli astri
 la costanza funesta;
 sempre è notte per me, sempre è tempesta.
 
    Nacqui agli affanni in seno;
1820ognor così penai;
 né vidi un raggio mai
 per me sereno in ciel.
 
    Sempre un dolor non dura;
 ma, quando cangia tempre,
1825sventura da sventura
 si riproduce; e sempre
 la nuova è più crudel. (Parte)
 
 SCENA XI
 
  Gran piazza d’armi dentro le mura di Utica. Parte di dette mura diroccate. Campo di cesariani fuori della città, con padiglioni, tende e macchine militari.
 
 Nell’aprirsi della scena si vede l’attacco sopra le mura. ARBACE al di dentro tenta rispinger FULVIO già inoltrato con parte de’ cesariani dentro le mura, poi CATONE in soccorso d’Arbace, indi CESARE difendendosi da alcuni che l’hanno assalito. I cesariani entrano per le mura. Cesare, Catone, Fulvio ed Arbace si disviano combattendo. Siegue fatto d’armi fra i due eserciti. Fuggono i soldati di Catone rispinti; i cesariani gl’incalzano; e, rimasta la scena vuota, esce di nuovo Catone con ispada rotta in mano
 
 CATONE
 Vinceste, inique stelle! Ecco distrugge
 un punto sol di tante etadi e tante
1830il sudor, la fatica. Ecco soggiace
 di Cesare all’arbitrio il mondo intero.
 Dunque, chi ’l crederia! per lui sudaro
 i Metelli, i Scipioni? Ogni romano
 tanto sangue versò sol per costui?
1835E l’istesso Pompeo pugnò per lui?
 Misera libertà! Patria infelice!
 Ingratissimo figlio! Altro il valore
 non ti lasciò degli avi
 nella terra già doma
1840da soggiogar che il Campidoglio e Roma.
 Ah! Non potrai, tiranno,
 trionfar di Catone. E se non lice
 viver libero ancor, si vegga almeno
 nella fatal ruina
1845spirar con me la libertà latina. (In atto di uccidersi)
 
 SCENA XII
 
 MARZIA da un lato, ARBACE dall’altro e detto
 
 MARZIA
 Padre.
 ARBACE
                Signor.
 MARZIA e ARBACE
                                T’arresta.
 CATONE
                                                    Al guardo mio
 ardisci ancor di presentarti, ingrata?
 ARBACE
 Una misera figlia
 lasciar potresti in servitù sì dura?
 CATONE
1850Ah, questa indegna oscura
 la gloria mia!
 MARZIA
                            Che crudeltà! Deh ascolta
 i prieghi miei.
 CATONE
                              Taci.
 MARZIA
                                          Perdono, o padre; (S’inginocchia)
 caro padre, pietà. Questa, che bagna
 di lagrime il tuo piede, è pur tua figlia.
1855Ah volgi a me le ciglia;
 vedi almen la mia pena;
 guardami una sol volta e poi mi svena.
 ARBACE
 Placati alfine.
 CATONE
                            Or senti.
 Se vuoi che l’ombra mia vada placata
1860al suo fatal soggiorno, eterna fede
 giura ad Arbace; e giura
 all’oppressore indegno
 della patria e del mondo eterno sdegno.
 MARZIA
 (Morir mi sento).
 CATONE
                                   E pensi ancor? Conosco
1865l’animo avverso. Ah da costei lontano
 volo a morir.
 MARZIA
                           No, genitore; ascolta; (S’alza)
 tutto farò. Vuoi che ad Arbace io serbi
 eterna fé? La serberò. Nemica
 di Cesare mi vuoi? Dell’odio mio
1870contro lui t’assicuro.
 CATONE
 Giuralo.
 MARZIA
                   (Oh dio!) Su questa man lo giuro. (Prende la mano di Catone e la bacia)
 ARBACE
 Mi fa pietade.
 CATONE
                             Or vieni
 fra queste braccia e prendi
 gli ultimi amplessi miei, figlia infelice.
1875Son padre alfine e nel momento estremo
 cede ai moti del sangue
 la mia fortezza. Ah non credea lasciarti
 in Africa così!
 MARZIA
                             Questo è dolore. (Piange)
 CATONE
 Non seduca quel pianto il mio valore.
 
1880   Per darvi alcun pegno
 d’affetto, il mio core
 vi lascia uno sdegno,
 vi lascia un amore
 ma degno di voi,
1885ma degno di me.
 
    Io vissi da forte;
 più viver non lice.
 Almen sia la sorte
 ai figli felice,
1890se al padre non è. (Parte)
 
 MARZIA
 Seguiamo i passi suoi.
 ARBACE
                                            Non s’abbandoni
 al suo crudel desio. (Parte)
 MARZIA
 Deh serbatemi, o numi, il padre mio. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 CESARE, portato da’ soldati sopra carro trionfale formato di scudi e d’insegne militari, preceduto dall’esercito vittorioso ed accompagnato da FULVIO
 
 CORO
 
    Già ti cede il mondo intero,
1895o felice vincitor.
 
    Non v’è regno, non v’è impero
 che resista al tuo valor. (Terminato il coro, Cesare scende dal carro, il quale disfacendosi, ciascuno de’ soldati che lo componevano si pone in ordinanza con gli altri)
 
 CESARE
 Il vincere, o compagni,
 non è tutto valor; la sorte ancora
1900ha parte ne’ trionfi. Il proprio vanto
 del vincitore è il moderar sé stesso
 né incrudelir su l’inimico oppresso.
 Con mille e mille abbiamo
 il trionfar comune,
1905il perdonar non già. Questa è di Roma
 domestica virtù; se ne rammenti
 oggi ciascun di voi. D’ogni nemico
 risparmiate la vita; e con più cura
 conservate in Catone
1910l’esempio degli eroi
 a me, alla patria, all’universo, a voi.
 FULVIO
 Cesare, non temerne; è già sicura
 la salvezza di lui. Corse il tuo cenno
 per le schiere fedeli.
 
 SCENA ULTIMA
 
 MARZIA, EMILIA e detti
 
 MARZIA
1915Lasciatemi, o crudeli. (Verso la scena)
 Voglio del padre mio
 l’estremo fato accompagnare anch’io.
 FULVIO
 Che fu?
 CESARE
                  Che ascolto!
 MARZIA
                                          Ah quale oggetto! Ingrato! (A Cesare)
 Va’, se di sangue hai sete, estinto mira
1920l’infelice Catone. Eccelsi frutti
 del tuo valor son questi. Il men dell’opra
 ti resta ancor. Via, quell’acciaro impugna;
 e in faccia a queste squadre
 la disperata figlia unisci al padre. (Piange)
 CESARE
1925Ma come?... Per qual mano?...
 Si trovi l’uccisor.
 EMILIA
                                  Lo cerchi invano.
 MARZIA
 Volontario morì. Catone oppresso
 rimase, è ver, ma da Catone istesso.
 CESARE
 Roma, chi perdi!
 EMILIA
                                  Roma
1930il suo vindice avrà. Palpita ancora
 la grand’alma di Bruto in qualche petto.
 CESARE
 Emilia, io giuro ai numi...
 EMILIA
                                                  I numi avranno
 cura di vendicarci. Assai lontano
 forse il colpo non è. Per pace altrui
1935l’affretti il cielo; e quella man che meno
 credi infedel, quella ti squarci il seno. (Parte)
 CESARE
 Tu, Marzia, almen rammenta...
 MARZIA
                                                           Io mi rammento
 che son per te d’ogni speranza priva,
 orfana, desolata e fuggitiva.
1940Mi rammento che al padre
 giurai d’odiarti; e, per maggior tormento,
 che un ingrato adorai pur mi rammento. (Parte)
 CESARE
 Quanto perdo in un dì!
 FULVIO
                                             Quando trionfi,
 ogni perdita è lieve.
 CESARE
1945Ah! Se costar mi deve
 i giorni di Catone il serto, il trono,
 ripigliatevi, o numi, il vostro dono. (Getta il lauro)
 
 FINE
 
 
 
 CIRO RICONOSCIUTO
 
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel giardino dell’imperial Favorita, festeggiandosi il felicissimo giorno natalizio della sacra cesarea e cattolica real maestà di Elisabetta Cristina, imperadrice regnante, per comando della sacra cesarea e cattolica real maestà di Carlo VI, imperadore de’ Romani sempre augusto, l’anno MDCCXXXVI.
    La poesia è del signor abbate Pietro Metastasio, poeta di sua maestà cesarea e cattolica. La musica è del signor Antonio Caldara, vicemaestro di capella di sua maestà cesarea e cattolica.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Il crudelissimo Astiage, ultimo re de’ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl’indovini, sopra alcun suo sogno, e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno; onde egli per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciol Ciro, che tale era il nome del nato infante, e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l’altra apresso di sé, affinché non nascesser da loro, insieme con altri figli, nuove cagioni a’ suoi timori. Arpago non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l’esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea, in quel giorno appunto, partorito un fanciullo, ma senza vita, onde la natural pietà, secondata dal comodo del cambio, persuase ad entrambi ch’esponesse Mitridate il proprio figliuolo già morto, ed il picciol Ciro, sotto nome d’Alceo, in abito di pastore in luogo di quello educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro ritrovato in una foresta bambino fosse stato dalla pietà d’alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito che approfittandosi di questa favola, o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venir Arpago e dimandollo di nuovo se avesse egli veramente ucciso il picciol Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago che dagli esterni segni avea ragion di sperar pentito il re, stimò questa una opportuna occasione di tentar l’animo suo e rispose di non aver avuto coraggio d’ucciderlo ma d’averlo esposto in un bosco, preparato a scuoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza, e sicuro fra tanto che quando se ne sdegnasse non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro, di cui, con questa dimezzata confessione, accreditava l’impostura. Sdegnossene Astiage ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio e con sì barbare circostanze che non essendo necessarie all’azione che si rappresenta trascuriamo volontieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure avido di vendetta, non lasciò di libertà alle smanie paterne se non quanta ne bisognava perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione; fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re ed ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio, il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscì così felicemente il disegno, che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogn’anno su’ confini del regno, dov’erano appunto le capanne di Mitridate, un solenne sacrificio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sacrificio, che saran quelli dell’azione che si rappresenta, parvero opportuni ad entrambi all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne come egli ne aveva abusato (Erodoto, Clio, libro I; Giustino, libro I; Ctesia, Historiae excerpta; Valerius Maximus, liber I, capitulum VII, eccetera).
    L’azione si rappresenta in una campagna su’ confini della Media.
 
 
 PERSONAGGI
 
 ASTIAGE re de’ Medi, padre di Mandane
 MANDANE moglie di Cambise, madre di Ciro
 CIRO sotto nome d’Alceo in abito di pastore, creduto figliuolo di Mitridate
 ARPAGO confidente d’Astiage, padre di
 ARPALICE confidente di Mandane
 MITRIDATE pastore degli armenti reali
 CAMBISE principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale
 
    Comparse di nobili, guardie reali, soldati medi e paggi con Astiage, pastori e soldati persiani con Mitridate, soldati medi con Arpago, paggi con Mandane
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: campagna sui confini della Media sparsa di pochi alberi ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d’Astiage e della sua corte, da un lato gran padiglione aperto, dall’altro steccati per le guardie reali; parte interna della capanna di Mitridate con porta in faccia che unicamente v’introduce.
    Nell’atto secondo: vasta pianura ingombrata di ruine d’antica città, già per lungo tempo insalvatichite.
    Nell’atto terzo: montuosa; aspetto esteriore di magnifico tempio dedicato a Diana, fabbricato su l’eminenza d’un colle.
    Le suddette mutazioni furono rara invenzione del signor Giuseppe Galli Bibiena, primo ingegnere teatrale ed architetto di sua maestà cesarea e cattolica.
 
 
 BALLI
 
    Nell’atto primo di pastori e di ninfe. Si rappresenta una lotta, terminata la quale si corona il vincitore e si conduce in trionfo.
    Nell’atto secondo di soldati medi e di villani.
    Nell’atto terzo di nobili medi e persiani.
    Li suddetti balli furono vagamente concertati dal signor Alessandro Phillibois, maestro di ballo di sua maestà cesarea e cattolica, con l’arie per li suddetti balli del signor Niccola Matteis, direttore della musica instrumentale di sua maestà cesarea e cattolica.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Campagna sui confini della Media sparsa di pochi alberi ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d’Astiage e della sua corte; da un lato gran padiglione aperto, dall’altro steccati per le guardie reali.
 
 MANDANE seduta ed ARPALICE
 
 MANDANE
 Ma di’; non è quel bosco (Con impazienza)
 della Media il confine?
 ARPALICE
                                            È quello.
 MANDANE
                                                               Il loco
 questo non è, dove alla dea triforme
 ogn’anno Astiage ad immolar ritorna
5le vittime votive?
 ARPALICE
                                   Appunto.
 MANDANE
                                                       E scelto
 questo dì, questo loco
 non fu dal genitore al primo incontro
 del ritrovato Ciro?
 ARPALICE
                                     E ben? Per questo
 che mi vuoi dir?
 MANDANE
                                 Che voglio dirti! E dove
10questo Ciro s’asconde?
 Che fa? Perché non viene?
 ARPALICE
                                                   Eh principessa
 l’ore corron più lente
 che il materno desio. Sai che prescritta
 del tuo Ciro all’arrivo è l’ora istessa
15del sacrificio. Alla notturna dea
 immolar non si vuole
 pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole.
 MANDANE
 È ver; ma non dovrebbe
 il figlio impaziente?... Ah ch’io pavento...
20Arpalice...
 ARPALICE
                      E di che? Se Astiage istesso,
 che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro
 chiama, attende, sospira.
 MANDANE
                                                E non potrebbe
 finger così?
 ARPALICE
                         Finger! Che dici! E vuoi
 che di tanti spergiuri
25si faccia reo? Che ad ingannarlo il tempo
 scelga d’un sacrificio e far pretenda
 del tradimento suo complici i numi?
 No; col cielo in tal guisa
 non si scherza, o Mandane.
 MANDANE
                                                    E pur se fede
30prestar si dee... Ma chi s’appressa? Ah corri...
 Forse Ciro...
 ARPALICE
                          È una ninfa.
 MANDANE
                                                   È ver. Che pena!
 ARPALICE
 (Tutto Ciro gli sembra!) E ben?
 MANDANE
                                                            Se fede
 meritan pur le immagini notturne,
 odi qual fiero sogno...
 ARPALICE
                                          Ah non parlarmi
35di sogni, o principessa. È di te indegna
 sì pueril credulità. Tu dei
 più d’ognun detestarla. Un sogno, il sai,
 fu cagion de’ tuoi mali. In sogno il padre
 vide nascer da te l’arbor che tutta
40l’Asia copria. N’ebbe timor; ne volle
 interpreti que’ saggi, il cui sapere
 sta nel nostro ignorar. Questi, ogni fallo
 usi a lodar ne’ grandi, il suo timore
 chiamar prudenza; ed affermar che un figlio
45nascerebbe da te che il trono a lui
 dovea rapir. Nasce il tuo Ciro e a morte,
 oh barbara follia!
 su la fede d’un sogno il re l’invia.
 Né gli bastò. Perché mai più non fosse
50il talamo fecondo
 a te di prole e di timori a lui,
 esule il tuo consorte
 scaccia lungi da te. Vedi a qual segno
 può acciecar questa insana
55vergognosa credenza.
 MANDANE
                                          Eh non è sogno
 che ormai l’ottava messe
 due volte germogliò, da che perdei
 nato appena il mio Ciro. Oggi l’attendo;
 e mi speri tranquilla?
 ARPALICE
                                           In te credei
60più moderato almeno
 questo materno amor. Perdesti il figlio
 nel partorirlo; ed il terz’anno appena
 compievi allora oltre il secondo lustro.
 In quell’età s’imprime
65leggiermente ogni affetto.
 MANDANE
                                                  Ah non sei madre,
 perciò... Ma non è quello
 Arpago, il padre tuo? Sì. Forse ei viene...
 Arpago...
 
 SCENA II
 
 ARPAGO e detti
 
 ARPAGO
                    Principessa
 è giunto il figlio tuo.
 MANDANE
                                        Dov’è? (S’alza)
 ARPAGO
                                                        Non osa
70passar del regno oltre il confin, sintanto
 che il re non vien. Questa è la legge.
 MANDANE
                                                                   Andiamo.
 Andiamo a lui. (Incaminandosi)
 ARPAGO
                               Ferma Mandane. Il padre
 vuol esser teco al grande incontro.
 MANDANE
                                                                E il padre
 quando verrà?
 ARPAGO
                              Già incaminossi.
 MANDANE
                                                               Almeno
75Arpago va’; ritrova Ciro...
 ARPAGO
                                                 Io deggio
 qui rimaner finch’il re venga.
 MANDANE
                                                        Amica
 Arpalice, se m’ami,
 va’ tu (felice me!) presso a quel bosco
 egli sarà.
 ARPALICE
                    Volo a servirti. (Volendo partire)
 MANDANE
                                                 Ascolta.
80Esattamente osserva
 l’aria, la voce, i moti suoi. Se in volto
 ha più la madre o il genitor. Va’, corri
 e a me torna di volo. Odimi; i suoi
 casi domanda, i miei gli narra e digli
85ch’egli è... ch’io sono... Oh dei!
 Digli quel che non dico e dir vorrei.
 ARPALICE
 
    Basta così; t’intendo;
 già ti spiegasti a pieno.
 E mi diresti meno
90se mi dicessi più.
 
    Meglio parlar tacendo;
 dir molto in pochi detti
 de’ violenti affetti
 è solita virtù. (Parte)
 
 SCENA III
 
 MANDANE ed ARPAGO
 
 MANDANE
95Ed Astiage non viene! Arpago, io vado
 ad affrettarlo. Ah fosse
 il mio sposo presente. Oh dio qual pena
 sarà per lui nel doloroso esiglio
 saper trovato il figlio,
100non poterlo veder! Tutte figuro
 le smanie sue; gli sto nel cor.
 ARPAGO
                                                       Mandane,
 odi; taci il segreto e ti consola.
 Cambise oggi vedrai.
 MANDANE
                                          Cambise! E come?
 ARPAGO
 Di più non posso dirti.
 MANDANE
                                            Ah mi lusinghi
105Arpago.
 ARPAGO
                  No. Su la mia fé riposa.
 Tel giuro; oggi il vedrai.
 MANDANE
                                              Vedrò lo sposo!
 L’unico, il primo oggetto
 del tenero amor mio! Che già tre lustri
 piansi invano e chiamai!
 ARPAGO
                                                Sì.
 MANDANE
                                                        Numi eterni,
110che impetuoso è questo
 torrente di contenti! Oh figlio! Oh sposo!
 Oh me felice! Arpago, amico, io sono
 fuor di me stessa. E nel contento estremo
 per soverchio piacer lagrimo e tremo.
 
115   Par che di giubilo
 l’alma deliri,
 par che mi manchino
 quasi i respiri,
 che fuor del petto
120mi balzi il cor.
 
    Quanto è più facile
 che un gran diletto
 giunga ad uccidere
 che un gran dolor! (Parte)
 
 SCENA IV
 
 ARPAGO solo
 
 ARPAGO
125Sicuro è il colpo. Oggi farò palese
 il vero occulto Ciro; oggi il tiranno
 del sacrificio atteso
 la vittima sarà. Con tanta cura
 lo sdegno mio dissimulai che il folle
130non diffida di me. Sedotti sono
 fuor che pochi custodi
 tutti i suoi più fedeli; infin Cambise
 del disegno avvertii. Potete alfine
 ire mie scintillar; fuggite ormai
135dal carcere del cor. Soffriste assai.
 
    Già l’idea del giusto scempio
 mi rapisce, mi diletta;
 già pensando alla vendetta
 mi comincio a vendicar.
 
140   Già quel barbaro, quell’empio
 fa di sangue il suol vermiglio;
 ed il sangue del mio figlio
 già si sente rinfacciar. (Parte)
 
 SCENA V
 
  Parte interna della capanna di Mitridate con porta in faccia che unicamente v’introduce.
 
 CIRO e MITRIDATE
 
 CIRO
 Come! Io son Ciro? E quanti
145Ciri vi son? Già sul confin del regno
 sai pur che un Ciro è giunto. Il re non venne
 per incontrarlo?
 MITRIDATE
                                 Il re s’inganna. È quello
 un finto Ciro. Il ver tu sei.
 CIRO
                                                  L’arcano
 meglio mi spiega. Io non l’intendo.
 MITRIDATE
                                                                  Ascolta.
150Sognò Astiage una volta...
 CIRO
                                                 Io so di lui
 il sogno ed il timor; de’ saggi suoi
 so il barbaro consiglio; il nato Ciro
 so che ad Arpago diessi e so...
 MITRIDATE
                                                        Non darti
 sì gran fretta, o signor; quindi incomincia
155quel che appunto non sai. Sentilo. Il fiero
 cenno non ebbe core
 Arpago d’eseguir. Fra gli ostri involto
 timido a me ti reca...
 CIRO
                                         E tu nel bosco...
 MITRIDATE
 No; lascia ch’io finisca. (Oh impaziente
160giovane età!) La mia consorte avea
 un bambin senza vita
 partorito in quel dì; proposi il cambio;
 piacque. Te per mio figlio
 sotto nome d’Alceo serbo ed espongo
165l’estinto in vece tua.
 CIRO
                                       Dunque...
 MITRIDATE
                                                            Non vuoi
 ch’io siegua? Addio.
 CIRO
                                        Sì sì perdona.
 MITRIDATE
                                                                    Il cenno
 credé compiuto il re. Pensovvi; e sciolto
 dal suo timor, vide il suo fallo; intese
 del sangue i moti e fra i rimorsi suoi
170pace più non avea. Quasi tre lustri
 Arpago tacque; alfin stimò costante
 d’Astiage il pentimento e te gli parve
 tempo di palesar. Pur come saggio
 prima il guado tentò. Desta una voce
175s’era in que’ dì che Ciro
 fra gli Sciti vivea, ch’altri in un bosco
 lo raccolse bambino. O sparso fosse
 dall’impostor quel grido o che dal grido
 nascesse l’impostor, vi fu l’audace
180che il tuo nome usurpò.
 CIRO
                                              Sarà quel Ciro
 che vien...
 MITRIDATE
                      Quello. T’accheta. Al re la fola
 Arpago accreditò, dentro al suo core
 ragionando in tal guisa. O il re ne gode;
 ed io potrò sicuro
185il suo Ciro scoprirgli; o il re si sdegna;
 e i suoi sdegni cadranno
 sopra dell’impostor.
 CIRO
                                       Ma già che tanto
 tenero Astiage è del nipote e vuole
 oggi stringerlo al sen, perché si tace
190il vero a lui?
 MITRIDATE
                          Dell’animo reale
 Arpago non si fida. Il re gli fece
 svenar un figlio in pena
 del trasgredito cenno; e mal s’accorda
 tanto affetto per Ciro e tanto sdegno
195per chi lo conservò. Prima fu d’uopo
 contro di lui munirti. Alfin l’impresa
 oggi è matura. Al tramontar del sole
 sarai palese al mondo; abbraccerai
 la madre, il genitor. Questi fra poco
200verrà; l’altra già venne.
 CIRO
                                             È forse quella
 che mi parve sì bella, or or che quindi
 frettolosa passò?
 MITRIDATE
                                 No; fu la figlia
 d’Arpago.
 CIRO
                     Addio. (Vuol partire)
 MITRIDATE
                                    Dove?
 CIRO
                                                   A cercar la madre. (Come sopra)
 MITRIDATE
 Fermati; ascolta. Ella, Cambise e ognuno
205crede finora al finto Ciro e giova
 l’inganno lor, che se Mandane...
 CIRO
                                                            A lei
 mai per qualunque incontro
 non spiegherò chi sono
 fin che tu nol permetta. Addio. Diffidi
210della promessa mia? Tutti ne chiamo
 in testimonio i numi. (Come sopra)
 MITRIDATE
                                           Ah senti. E quando
 comincerai codesti
 impeti giovanili
 a frenare una volta! In quel che brami
215tutto t’immergi e a quel che dei non pensi.
 Sai qual giorno sia questo
 per la Media e per te? Sai ch’ogni impresa
 s’incomincia dal ciel! Va’ prima al tempio,
 l’assistenza de’ numi
220devoto implora; e in avvenir più saggio
 regola i moti... Ah come parlo! All’uso
 di tant’anni, o signor, questa perdona
 paterna libertà. So che favella
 cambiar teco degg’io. Rigido padre
225no, non riprendo un figlio;
 servo fedele, il mio signor consiglio.
 CIRO
 Padre mio, caro padre, è vero, è vero,
 conosco i troppo ardenti
 impeti miei; gli emenderò; cominci
230l’emenda mia dall’ubbidirti. Ah mai,
 mai più non dir che il figlio tuo non sono.
 È troppo caro a questo prezzo il trono.
 
    Ognor tu fosti il mio
 tenero padre amante;
235essere il tuo vogl’io
 tenero figlio ognor.
 
    E in faccia al mondo intero
 rispetterò regnante
 quel venerato impero
240che rispettai pastor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 MITRIDATE e poi CAMBISE in abito di pastore
 
 MITRIDATE
 Chi potrebbe a que’ detti
 temperarsi dal pianto?
 CAMBISE
                                             Il ciel ti sia
 fausto, o pastor. (Guardando intorno)
 MITRIDATE
                                 Te pur secondi. (Oh dei!
 Non è nuovo quel volto agli occhi miei!)
 CAMBISE
245Se gli ospitali numi
 si veneran fra voi, mostrami, amico,
 del sagrificio il loco. Anch’io straniero
 vengo la pompa ad ammirarne.