La clemenza di Tito, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1771

 MANDANE
 Il mio Ciro smarrito...
 ARPAGO
 Astiage ah sei tradito; ah corri; opprimi
 il tumulto ribelle
 che si destò. La tua presenza è il solo
1120necessario riparo.
 ASTIAGE
                                    Oimè! Che avvenne?
 ARPAGO
 Confusamente il so. S’affretta a gara
 verso il tempio ciascun. Colà si dice
 che Ciro sia. Tutti a vederlo, tutti
 vanno a giurargli fede; e il volgo insano
1125grida a voce sonora:
 «Ciro è il re, Ciro viva, Astiage mora».
 ASTIAGE
 Ah traditori ecco il segreto; entrambi
 con questo acciar... (In atto di snudar la spada)
 ARPAGO
                                      Mio re che fai? Se Ciro
 è ver che viva, in tuo poter conserva
1130la madre e il genitor; con questi pegni
 lo faremo tremar.
 ASTIAGE
                                   Sì. custodite (Dopo aver pensato)
 dunque la coppia rea, sol perché sia
 la mia difesa o la vendetta mia.
 
    Perfidi non godete
1135se altrove il passo affretto;
 a trapassarvi il petto,
 perfidi, tornerò.
 
    Cadrò, se vuole il fato,
 cadrò trafitto il seno;
1140ma invendicato almeno,
 ma solo non cadrò. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 CIRO, MANDANE, CAMBIdiSE, ARPAGO e guardie
 
 ARPAGO
 Partì; l’empio è nel laccio. Ei corre al tempio
 e là trarlo io volea. Guerrieri, amici
 finger più non bisogna; andiam. Qui resti
1145Ciro intanto e Mandane. E tu Cambise
 sollecito mi siegui. (Vuol partire)
 CAMBISE
                                      Odi; e in Alceo
 com’esser può che Ciro...
 ARPAGO
                                                Oh dio! Ti basti (Con impazienza)
 saper ch’è il figlio tuo. Tutto il successo
 ti spiegherò; ma non è tempo adesso.
1150Resta colla speranza
 di migliorar tra poco il tuo destino;
 il tempo di godere è già vicino.
 
    Del figlio mi chiedi
 del figlio dirò;
1155ma almen mi concedi
 ch’io taccia per ora;
 l’arcano mi credi
 celar non saprò. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 CIRO, MANDANE e CAMBISE
 
 CAMBISE
 Addio. (A Mandane e Ciro)
 CIRO
                 Padre!
 MANDANE
                                Consorte!
 CIRO
                                                    E ci abbandoni
1160così con un addio?
 CAMBISE
                                     Nulla vi dico,
 perché troppo direi; né questo è il loco;
 so ben tacer; ma non saprei dir poco.
 
    Tergi le ingiuste lagrime,
 nol chiede il mio periglio;
1165prendi da me consiglio;
 rinfranca il tuo bel cor.
 
    Tu non restar dubbioso
 tu godi il tuo riposo;
 io del destin mi rido,
1170di mia virtù mi fido;
 l’altrui minacce barbare
 non mi faran timor. (Parte)
 
 SCENA X
 
 MANDANE e CIRO
 
 MANDANE
 Ciro attendimi; io temo
 qualche nuova sventura. Il mio consorte
1175voglio seguir. Te d’Arpago l’avviso
 ritrovi in questo loco.
 CIRO
                                          Or che paventi?
 MANDANE
 Figlio mio nol so dir, tremo per uso
 avvezzata a tremar. Sempre vicino
 qualche insulto mi par del mio destino.
 
1180   Del mar talora,
 fra i venti e l’onde
 scorre la prora,
 né mai gioconde
 vede le stelle
1185a scintillar.
 
    Così fra’ torbidi,
 confusi affetti
 vinto il mio spirito,
 tra’ folli oggetti,
1190qual nave instabile
 suol vacillar. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 CIRO e poi ARPALICE
 
 CIRO
 Ah tramonti una volta
 questo torbido giorno e sia più chiaro
 l’altro almen che verrà!
 ARPALICE
                                             Mio caro Alceo,
1195tu salvo! Oh me felice! Ah vieni a parte
 de’ pubblici contenti. Il nostro Ciro
 vive, si ritrovò; quel che uccidesti
 era un vile impostor.
 CIRO
                                         Sì! Donde il sai?
 ARPALICE
 Certo il fatto esser dee; queste campagne
1200non risuonan che Ciro.
 CIRO
 E tu Ciro vedesti?
 ARPALICE
                                    Ancor nol vidi.
 Corriam...
 CIRO
                      Ferma, il vedrai
 pria d’ognun, tel prometto.
 ARPALICE
                                                    E Ciro...
 CIRO
                                                                      Ah ingrata
 tu non pensi che a Ciro. Il tuo pastore
1205già del tutto obbliasti. E pur sperai...
 ARPALICE
 Non tormentarmi Alceo. Se tu sapessi
 come sta questo cor...
 CIRO
                                          Siegui.
 ARPALICE
                                                          Né vuoi
 lasciarmi in pace?
 CIRO
                                    Ah tu non m’ami.
 ARPALICE
                                                                      Almeno
 veggo che non dovrei. Ma...
 CIRO
                                                    Che?
 ARPALICE
                                                                Ma parmi
1210debil ritegno il naturale orgoglio.
 Parlar di te non voglio; e fra le labbra
 ho sempre il nome tuo. Vo’ dal pensiero
 cancellar quel sembiante; e in ogni oggetto
 col pensier lo dipingo. Agghiaccio in seno
1215se in periglio ti miro. Avvampo in volto
 se nominar ti sento. Ove non sei
 tutto m’annoia e mi rincresce; e tutto
 quel che un tempo bramava or più non bramo.
 Dimmi or tu che ne credi; amo o non amo?
 CIRO
1220Sì, mio ben, sì, mia speme...
 
 SCENA XII
 
 MITRIDATE con guardie e detti
 
 MITRIDATE
                                                      Al tempio, al tempio.
 Mio principe, mio re. Questi guerrieri
 Arpago invia per tua custodia. Ah vieni
 a consolar l’impazienze altrui.
 ARPALICE
 (Con chi parla costui!)
 CIRO
                                            Dunque è palese
1225di già la sorte mia!
 MITRIDATE
                                     Nessuno ignora
 signor che tu sei Ciro. Arpago il disse;
 indubitate pruove
 a’ popoli ne diè; sparger le fece
 per cento bocche, in mille luoghi; e tutti
1230voglion giurarti fé.
 ARPALICE
                                     Scherza? O da senno
 Mitridate parlò?
 CIRO
                                 Ciro son io.
 Non bramasti vederlo. Eccolo.
 ARPALICE
                                                         Oh dio!
 CIRO
 Sospiri? Io non ti piaccio
 pastor né re?
 ARPALICE
                           Né tanto umil né tanto
1235sublime io ti volea; ch’arda al mio foco
 se troppo è per Alceo, per Ciro è poco.
 CIRO
 Mal mi conosci. Arpalice finora
 me amò, non la mia sorte; ed io non amo
 la sua sorte ma lei. La vita e il trono
1240Arpago diemmi; e se ad offrirti entrambi
 il genio mi consiglia,
 quel che il padre mi diè, rendo alla figlia.
 Oh che dolce esser grato, ove s’accordi
 il debito e l’amore,
1245la ragione e il desio, la mente e il core.
 ARPALICE
 Dunque...
 MITRIDATE
                      Ah Ciro t’affretta.
 CIRO
                                                        Andiam. Mia vita,
 mia sposa, addio.
 ARPALICE
                                   Deh non ti cambi il regno.
 CIRO
 Ecco la destra mia; prendila in pegno.
 
    Luci vezzose amabili
1250che mi feriste il cor;
 labbra vermiglie e tenere
 che m’inspiraste amor,
 nell’adorarvi ognor
 fido sarò così;
1255e qual nel primo dì
 voi mi piagaste il sen
 da voi sperar convien
 la pace al mio dolor;
 cara, t’adoro e sei
1260la mia speranza ancor. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 ARPALICE sola
 
 ARPALICE
 Io son fuor di me stessa. A un vil pastore
 cieca d’amor mi scopro amante; e sposa
 mi ritrovo d’un re! Gl’istessi affetti
 insuperbir mi fanno, onde poc’anzi
1265arrossirmi dovea! Certo quest’alma
 era presaga; e travedea nel volto
 del finto Alceo... Che traveder? Che giova
 cercar pretesti all’imprudenza? Ad altri
 favelliamo così; ma più sinceri
1270ragioniamo fra noi. Diciam più tosto
 che d’amor non s’intende
 chi prudenza ed amore unir pretende.
 
    Trovar chi aspira
 in uman cor
1275prudenza e amore
 di’ che delira.
 Quest’è un ardore,
 quest’è un martire
 che, chi lo prova,
1280nol può celar.
 
    Non è prudente
 chi vive amante
 d’un bel sembiante
 o non sa amar. (Parte)
 
 SCENA ULTIMA
 
 Aspetto esteriore di magnifico tempio, dedicato a Diana, posto su d’un picciolo colle.
 
 ASTIAGE solo con spada alla mano, poi CAMBISE, indi ARPAGO, ciascuno con seguito, alfin tutti l’un dopo l’altro
 
 ASTIAGE
1285Ah rubelli, ah spergiuri! Ov’è la fede
 dovuta al vostro re? Nessun m’ascolta?
 M’abbandona ciascun? No, non saranno
 tutti altrove sì rei. (Vuol partire)
 CAMBISE
                                     Ferma tiranno. (Arrestandolo)
 ASTIAGE
 Ah traditor! (In atto di difesa)
 CAMBISE
                          Voi custodite il passo. (Al suo seguito)
1290E tu ragion mi rendi. (Ad Astiage)
 ASTIAGE
 Arpago, ah vieni, il tuo signor difendi.
 ARPAGO
 Circondatelo amici. Alfin pur sei (Dall’altro lato con seguaci)
 empio ne’ lacci miei.
 ASTIAGE
                                         Tu ancora!
 ARPAGO
                                                               Io solo,
 barbaro, io sol t’uccido; a questo passo
1295sappilo io ti riduco.
 ASTIAGE
                                      E tanta fede?
 E tanto zelo?
 ARPAGO
                           A chi svenasti un figlio
 non dovevi fidarti. I torti obblia
 l’offensor, non l’offeso.
 ASTIAGE
                                            Ah indegno!
 ARPAGO
                                                                     È questa
 la pena tua.
 CAMBISE
                         La mia vendetta è questa.
 ARPAGO
1300Cadi. (In atto di ferire)
 CAMBISE
               Mori crudel. (Come sopra)
 CIRO
                                        Ferma. (Trattenendo Arpago)
 MANDANE
                                                        T’arresta. (Trattenendo Cambise)
 ARPALICE
 (Che avvenne!)
 MITRIDATE
                                (Che sarà?)
 MANDANE
                                                        Rifletti, o sposo...
 CIRO
 Arpago pensa...
 CAMBISE
                               È un barbaro. (A Mandane)
 MANDANE
                                                           È mio padre.
 ARPAGO
 È un tiranno. (A Ciro)
 CIRO
                             È il tuo re.
 CAMBISE
                                                   Punirlo io voglio.
 ARPAGO
 Vendicarmi desio.
 MANDANE
1305Non fia ver.
 CIRO
                         Non sperarlo.
 ASTIAGE
                                                    Ove son io!
 ARPAGO
 Popoli ardir; l’esempio mio seguite
 s’opprima l’oppressor.
 CIRO
                                            Popoli, udite.
 Qual impeto ribelle?
 Qual furor vi trasporta? Ove s’intese
1310che divenga il vassallo
 giudice del suo re! Giudizio indegno,
 in cui molto del reo
 il giudice è peggiore. Odiate in lui
 un parricidio e l’imitate. Ei forse
1315tentollo sol; voi l’eseguite. Un dritto
 che avea sul sangue mio
 forse Astiage abusò; voi quel che han solo
 gli dei sopra i regnanti
 pretendete usurpar. M’offrite un trono,
1320calpestandone prima
 la maestà. Questo è l’amor! Son questi
 gli auspici del mio regno? Ah ritornate,
 ritornate innocenti. A terra, a terra
 l’armi sediziose. Io vi prometto
1325placato il vostro re. Foste sedotti;
 lo so; vi spiace. A mille segni espressi
 già intendo il vostro cor. Già in ogni destra
 veggo l’aste tremar; leggo il sincero
 pentimento del fallo in ogni fronte.
1330Perdonalo, signor, per bocca mia (Ad Astiage)
 piangendo ognun tel chiede. Ognun ti giura
 eterna fé. Se a cancellar l’orrore
 d’attentato sì rio
 v’è bisogno di sangue, eccoti il mio. (Inginocchiandosi)
 ASTIAGE
1335Oh prodigio!
 MANDANE
                           Oh stupore!
 ARPAGO
 Oh virtù che disarma il mio furore! (Arpago getta la spada e tutti i congiurati l’armi)
 ASTIAGE
 Figlio mio, caro figlio,
 sorgi, vieni al mio sen. Così punisci
 generoso i tuoi torti e l’odio mio?
1340Ed io, misero, ed io
 d’un’anima sì grande
 tentai fraudar la terra! Ah vegga il mondo
 il mio rimorso almeno. Eccovi in Ciro,
 Medi, il re vostro; a lui
1345cedo il serto real. Rendigli, o figlio,
 lo splendor ch’io gli tolsi. I miei deliri
 non imitar. Quel che fec’io t’insegni
 quel che far non dovrai. De’ numi amici
 al favor corrispondi
1350e il mio rossor nelle tue glorie ascondi.
 CORO
 
    Le tue selve in abbandono
 lascia, o Ciro, e vieni al trono;
 vieni al trono, o nostro amor.
 
    Cambia in soglio il rozzo ovile,
1355in real la verga umile;
 darai legge ad altro gregge,
 anche re sarai pastor.
 
 Fine del dramma
 
 
 
 CIRO RICONOSCIUTO
 
 
    Rappresentato con musica del Caldara la prima volta nel giardino dell’imperial Favorita alla presenza degli augustissimi sovrani, il dì 28 agosto 1736, per festeggiare il giorno di nascita dell’imperatrice Elisabetta, d’ordine dell’imperator Carlo VI.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Il crudelissimo Astiage, ultimo re de’ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl’indovini sopra alcun suo sogno e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno; ond’egli, per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciolo Ciro, che tal era il nome del nato infante, e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l’altra appresso di sé, affinché non nascesser da loro insieme con altri figli nuove cagioni a’ suoi timori. Arpago, non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l’esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea in quel giorno appunto partorito un fanciullo ma senza vita; onde la natural pietà, secondata dal comodo del cambio, persuase ad entrambi che Mitridate esponesse il proprio figliuolo già morto, ed il picciol Ciro, sotto nome d’Alceo in abito di pastore, in luogo di quello educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro, ritrovato in una foresta bambino, fosse stato dalla pietà d’alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito che, approfittandosi di questa favola o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venire Arpago e dimandollo di nuovo se avesse egli veramente ucciso il picciolo Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago, che dagli esterni segni avea ragion di sperare che fosse pentito il re, stimò questa una opportuna occasione di tentar l’animo suo; e rispose di non avere avuto coraggio d’ucciderlo ma d’averlo esposto in un bosco, preparato a scoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza, e sicuro frattanto che, quando se ne sdegnasse, non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro di cui con questa dimezzata confessione accreditava l’impostura. Sdegnossi Astiage ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio e con sì barbare circostanze che, non essendo necessarie all’azione che si rappresenta, trascuriamo volentieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure avido di vendetta non lasciò di libertà alle smanie paterne se non quanta ne bisognava, perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione. Fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che, se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re e ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio, il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscì così felicemente il disegno che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo, ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogni anno su’ confini del regno, dov’erano appunto le capanne di Mitridate, un solenne sacrifizio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sagrifizio, che saran quelli dell’azione che si rappresenta, parvero ad entrambi opportuni all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne com’egli ne aveva abusato (Herodotus, Clio, liber I; Giustino, libro I; Ctesia, Historiae excerpta; Valerius Maximus, liber I, capitulum VII, eccetera).
 
 INTERLOCUTORI
 
 ASTIAGE re de’ Medi, padre di Mandane
 MANDANE moglie di Cambise, madre di Ciro
 CIRO sotto nome d’Alceo in abito di pastore, creduto figlio di Mitridate
 ARPAGO confidente d’Astiage, padre d’Arpalice
 ARPALICE confidente di Mandane
 MITRIDATE pastore degli armenti reali
 CAMBISE principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale
 
    L’azione si rappresenta in una campagna su’ confini della Media.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Campagna su’ confini della Media, sparsa di pochi alberi ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d’Astiage e della sua corte. Da un lato gran padiglione aperto, dall’altro steccati per le guardie reali.
 
 MANDANE seduta e ARPALICE
 
 MANDANE
 Ma di’; non è quel bosco (Con impazienza)
 della Media il confine?
 ARPALICE
                                            È quello.
 MANDANE
                                                               Il loco
 questo non è, dove alla dea triforme
 ogni anno Astiage ad immolar ritorna
5le vittime votive?
 ARPALICE
                                   Appunto.
 MANDANE
                                                       E scelto
 questo dì, questo loco
 non fu dal genitore al primo incontro
 del ritrovato Ciro?
 ARPALICE
                                     E ben, per questo
 che mi vuoi dir?
 MANDANE
                                 Che voglio dirti? E dove
10questo Ciro s’asconde?
 Che fa? Perché non viene?
 ARPALICE
                                                   Eh principessa,
 l’ore corron più lente
 che il materno desio. Sai che prescritta
 del tuo Ciro all’arrivo è l’ora istessa
15del sacrifizio. Alla notturna dea
 immolar non si vuole
 pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole.
 MANDANE
 È ver; ma non dovrebbe
 il figlio impaziente?... Ah ch’io pavento...
20Arpalice...
 ARPALICE
                      E di che, se Astiage istesso,
 che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro
 chiama, attende, sospira?
 MANDANE
                                                 E non potrebbe
 finger così?
 ARPALICE
                         Finger! Che dici? E vuoi
 che di tanti spergiuri
25si faccia reo? Che ad ingannarlo il tempo
 scelga d’un sacrifizio e far pretenda
 del tradimento suo complici i numi?
 No; col cielo in tal guisa
 non si scherza, o Mandane.
 MANDANE
                                                    E pur, se fede
30prestar si dee... Ma chi s’appressa? Ah corri...
 Forse Ciro...
 ARPALICE
                          È una ninfa.
 MANDANE
                                                   È ver. Che pena!
 ARPALICE
 (Tutto Ciro le sembra). E ben?
 MANDANE
                                                          Se fede
 meritan pur le immagini notturne,
 odi qual fiero sogno...
 ARPALICE
                                          Ah non parlarmi
35di sogni, o principessa; è di te indegna
 sì pueril credulità. Tu dei
 più d’ognun detestarla. Un sogno, il sai,
 fu cagion de’ tuoi mali. In sogno il padre
 vide nascer da te l’arbor che tutta
40l’Asia copria; n’ebbe timor; ne volle
 interpreti que’ saggi, il cui sapere
 sta nel nostro ignorar. Questi, ogni fallo
 usi a lodar ne’ grandi, il suo timore
 chiamar prudenza; ed affermar che un figlio
45nascerebbe da te che il trono a lui
 dovea rapir. Nasce il tuo Ciro e a morte,
 oh barbara follia!
 su la fede d’un sogno il re l’invia.
 Né gli bastò. Perché mai più non fosse
50il talamo fecondo
 a te di prole e di timori a lui,
 esule il tuo consorte
 scaccia lungi da te. Vedi a qual segno
 può acciecar questa insana
55vergognosa credenza.
 MANDANE
                                          Eh non è sogno
 che ormai l’ottava messe
 due volte germogliò, da che perdei
 nato appena il mio Ciro. Oggi l’attendo;
 e mi speri tranquilla?
 ARPALICE
                                           In te credei
60più moderato almeno
 questo materno amor. Perdesti il figlio
 nel partorirlo; ed il terz’anno appena
 compievi allora oltre il secondo lustro;
 in quella età s’imprime
65leggiermente ogni affetto.
 MANDANE
                                                  Ah, non sei madre,
 perciò... Ma non è quello
 Arpago, il padre tuo? Sì. Forse ei viene...
 Arpago...
 
 SCENA II
 
 ARPAGO e dette
 
 ARPAGO
                    Principessa,
 è giunto il figlio tuo.
 MANDANE
                                        Dov’è? (S’alza)
 ARPAGO
                                                        Non osa
70passar del regno oltre il confin, sintanto
 che il re non vien. Questa è la legge.
 MANDANE
                                                                   Andiamo,
 andiamo a lui. (Incamminandosi)
 ARPAGO
                               Ferma, Mandane; il padre
 vuol esser teco al grande incontro.
 MANDANE
                                                                E il padre
 quando verrà?
 ARPAGO
                              Già incamminossi.
 MANDANE
                                                                   Almeno,
75Arpago, va’; ritrova Ciro...
 ARPAGO
                                                  Io deggio
 qui rimaner, finché il re venga.
 MANDANE
                                                           Amica
 Arpalice, se m’ami,
 va’ tu. (Felice me!) Presso a quel bosco
 egli sarà.
 ARPALICE
                    Volo a servirti. (Volendo partire)
 MANDANE
                                                 Ascolta.
80Esattamente osserva
 l’aria, la voce, i moti suoi, se in volto
 ha più la madre o il genitor. Va’, corri
 e a me torna di volo... Odimi; i suoi
 casi domanda; i miei gli narra e digli
85ch’egli è... ch’io sono... Oh dei!
 Digli quel che non dico e dir vorrei.
 ARPALICE
 
    Basta così; t’intendo;
 già ti spiegasti a pieno;
 e mi diresti meno,
90se mi dicessi più.
 
    Meglio parlar tacendo,
 dir molto in pochi detti
 de’ violenti affetti
 è solita virtù. (Parte)
 
 SCENA III
 
 MANDANE e ARPAGO
 
 MANDANE
95Ed Astiage non viene! Arpago, io vado
 ad affrettarlo. Ah fosse
 il mio sposo presente! Oh dio, qual pena
 sarà per lui nel doloroso esiglio
 saper trovato il figlio,
100non poterlo veder! Tutte figuro
 le smanie sue; gli sto nel cor.
 ARPAGO
                                                       Mandane,
 odi; taci il segreto e ti consola.
 Cambise oggi vedrai.
 MANDANE
                                          Cambise! E come?
 ARPAGO
 Di più non posso dirti.
 MANDANE
                                            Ah mi lusinghi,
105Arpago.
 ARPAGO
                  No; su la mia fé riposa;
 tel giuro, oggi il vedrai.
 MANDANE
                                             Vedrò lo sposo?
 L’unico, il primo oggetto
 del tenero amor mio che già tre lustri
 piansi invano e chiamai?
 ARPAGO
                                                 Sì.
 MANDANE
                                                         Numi eterni,
110che impetuoso è questo
 torrente di contenti! Oh figlio! Oh sposo!
 Oh me felice! Arpago, amico, io sono
 fuor di me stessa; e nel contento estremo
 per soverchio piacer lagrimo e tremo.
 
115   Par che di giubilo
 l’alma deliri;
 par che mi manchino
 quasi i respiri,
 che fuor del petto
120mi balzi il cor.
 
    Quanto è più facile
 che un gran diletto
 giunga ad uccidere
 che un gran dolor! (Parte)