Demetrio, libretto, Mannheim, Pierron, 1753

 SERVILIA
                                                A me t’invola;
 tua sposa io più non son. (Partendo)
 ANNIO
                                                 Fermati e senti.
 SERVILIA
 
    Non odo gli accenti
 d’un labbro spergiuro,
980gli affetti non curo
 d’un perfido cor.
 
    Ricuso, detesto
 il nodo funesto,
 le nozze, lo sposo,
985l’amante e l’amor. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 SESTO, VITELLIA ed ANNIO
 
 ANNIO
 (E Sesto  non favella!)
 SESTO
                                           (Io moro).
 VITELLIA
                                                                 (Io tremo).
 ANNIO
 Ma, Sesto, al punto estremo
 ridotto io sono; e non ascolto ancora
 chi s’impieghi per me. Tu non ignori
990quel che mi dice ognun, quel ch’io non dico.
 Questo è troppo soffrir. Pensaci, amico.
 
    Ch’io parto reo lo vedi;
 ch’io son fedel lo sai.
 Di te non mi scordai;
995non ti scordar di me.
 
    Soffro le mie catene;
 ma questa macchia in fronte,
 ma l’odio del mio bene
 soffribile non è. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 SESTO e VITELLIA
 
 SESTO
1000Posso alfine, o crudele...
 VITELLIA
 Oh dio! L’ore in querele
 non perdiamo così. Fuggi e conserva
 la tua vita e la mia.
 SESTO
                                      Ch’io fugga e lasci
 un amico innocente...
 VITELLIA
                                          Io dell’amico
1005la cura prenderò.
 SESTO
                                  No, finch’io vegga
 Annio in periglio...
 VITELLIA
                                     A tutti i numi il giuro,
 io lo difenderò.
 SESTO
                               Ma che ti giova
 la fuga mia?
 VITELLIA
                          Con la tua fuga è salva
 la tua vita, il mio onor. Tu sei perduto,
1010se alcun ti scopre; e se scoperto sei,
 pubblico è il mio segreto.
 SESTO
                                                 In questo seno
 sepolto resterà. Nessuno il seppe;
 tacendolo morrò.
 VITELLIA
                                  Mi fiderei,
 se minor tenerezza
1015per Tito in te vedessi. Il suo rigore
 non temo già, la sua clemenza io temo.
 Questa ti vincerebbe. Ah! Per que’ primi
 momenti in cui ti piacqui, ah! per le care
 dolci speranze tue, fuggi, assicura
1020il mio timido cor. Tanto facesti,
 l’opra compisci. Il più gran dono è questo
 che far mi puoi. Tu non mi rendi meno
 che la pace e l’onor. Sesto, che dici?
 Risolvi.
 SESTO
                 Oh dio!
 VITELLIA
                                  Sì, già ti leggo in volto
1025la pietà che hai di me; conosco i moti
 del tenero tuo cor. Di’, m’ingannai?
 Sperai troppo da te? Ma parla, o Sesto.
 SESTO
 Partirò, fuggirò. (Che incanto è questo!)
 VITELLIA
 Respiro.
 SESTO
                   Almen talvolta,
1030quando lungi sarò...
 
 SCENA XV
 
 PUBLIO con guardie e detti
 
 PUBLIO
                                       Sesto.
 SESTO
                                                     Che chiedi!
 PUBLIO
 La tua spada.
 SESTO
                            E perché?
 PUBLIO
                                                 Per tua sventura
 Lentulo non morì. Già il resto intendi.
 Vieni.
 VITELLIA
               (Oh colpo fatale!) (Sesto dà la spada)
 SESTO
                                                 Alfin, tiranna...
 PUBLIO
 Sesto, partir conviene. È già raccolto
1035per udirti il Senato; e non poss’io
 differir di condurti.
 SESTO
                                       Ingrata, addio.
 
    Se mai senti spirarti sul volto
 lieve fiato che lento s’aggiri,
 di’: «Son questi gli estremi sospiri
1040del mio fido che muore per me».
 
    Al mio spirto dal seno disciolto
 la memoria di tanti martiri
 sarà dolce con questa mercé. (Parte con Publio e guardie)
 
 SCENA XVI
 
 VITELLIA sola
 
 VITELLIA
 Misera, che farò? Quell’infelice,
1045oh dio! muore per me. Tito fra poco
 saprà il mio fallo e lo sapran con lui
 tutti per mio rossor. Non ho coraggio
 né a parlar né a tacere
 né a fuggir né a restar. Non spero aiuto,
1050non ritrovo consiglio. Altro non veggo
 che imminenti ruine; altro non sento
 che moti di rimorso e di spavento.
 
    Tremo fra’ dubbi miei;
 pavento i rai del giorno.
1055L’aure che ascolto intorno
 mi fanno palpitar.
 
    Nascondermi vorrei,
 vorrei scoprir l’errore;
 né di celarmi ho core
1060né core ho di parlar. (Parte)
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Camera chiusa con porte, sedia e tavolino con sopra da scrivere.
 
 TITO e PUBLIO
 
 PUBLIO
 Già de’ pubblici giochi,
 signor, l’ora trascorre. Il dì solenne
 sai che non soffre il trascurargli. È tutto
 colà d’intorno alla festiva arena
1065il popolo raccolto; e non si attende
 che la presenza tua. Ciascun sospira
 dopo il noto periglio
 di rivederti salvo. Alla tua Roma
 non differir sì bel contento.
 TITO
                                                    Andremo,
1070Publio, fra poco. Io non avrei riposo,
 se di Sesto il destino
 pria non sapessi. Avrà ’l Senato ormai
 le sue discolpe udite; avrà scoperto,
 vedrai, ch’egli è innocente; e non dovrebbe
1075tardar molto l’avviso.
 PUBLIO
                                         Ah troppo chiaro
 Lentulo favellò.
 TITO
                               Lentulo forse
 cerca al fallo un compagno,
 per averlo al perdono. Ei non ignora
 quanto Sesto m’è caro. Arte comune
1080questa è de’ rei. Pur dal Senato ancora
 non torna alcun! Che mai sarà? Va’, chiedi
 che si fa, che s’attende. Io tutto voglio
 saper pria di partir.
 PUBLIO
                                       Vado; ma temo
 di non tornar nunzio felice.
 TITO
                                                    E puoi
1085creder Sesto infedele? Io dal mio core
 il suo misuro; e un impossibil parmi
 ch’egli m’abbia tradito.
 PUBLIO
 Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.
 
    Tardi s’avvede
1090d’un tradimento
 chi mai di fede
 mancar non sa.
 
    Un cor verace,
 pieno d’onore,
1095non è portento
 se ogn’altro core
 crede incapace
 d’infedeltà. (Parte)
 
 SCENA II
 
 TITO e poi ANNIO
 
 TITO
 No; così scellerato
1100il mio Sesto non credo. Io l’ho veduto
 non sol fido ed amico
 ma tenero per me. Tanto cambiarsi
 un’alma non potrebbe. Annio, che rechi?
 L’innocenza di Sesto,
1105come la tua, di’, si svelò? Che dice?
 Consolami.
 ANNIO
                        Ah signor! Pietà per lui
 io vengo ad implorar.
 TITO
                                          Pietà! Ma dunque
 sicuramente è reo?
 ANNIO
                                      Quel manto, ond’io
 parvi infedele, egli mi diè. Da lui
1110sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia
 esser da lui sedotto
 Lentulo afferma e l’accusato tace.
 Che sperar si può mai?
 TITO
                                             Speriamo, amico,
 speriamo ancora. Agl’infelici è spesso
1115colpa la sorte; e quel che vero appare
 sempre vero non è. Tu n’hai le prove.
 Con la divisa infame
 mi vieni innanzi; ognun t’accusa; io chiedo
 degl’indizi ragion; tu non rispondi,
1120palpiti, ti confondi... A tutti vera
 non parea la tua colpa? E pur non era.
 Chi sa? Di Sesto a danno
 può il caso unir le circostanze istesse
 o somiglianti a quelle.
 ANNIO
                                           Il ciel volesse!
1125Ma se poi fosse reo?
 TITO
 Ma se poi fosse reo, dopo sì grandi
 prove dell’amor mio, se poi di tanta
 enorme ingratitudine è capace,
 saprò scordarmi appieno
1130anch’io... Ma non sarà. Lo spero almeno.
 
 SCENA III
 
 PUBLIO con foglio e detti
 
 PUBLIO
 Cesare, nol diss’io? Sesto è l’autore
 della trama crudel.
 TITO
                                     Publio, ed è vero?
 PUBLIO
 Purtroppo. Ei di sua bocca
 tutto affermò. Co’ complici il Senato
1135alle fiere il condanna. Ecco il decreto
 terribile ma giusto; (Dà il foglio a Tito)
 né vi manca, o signor, che ’l nome augusto.
 TITO
 Onnipotenti dei! (Si getta a sedere)
 ANNIO
 Ah pietoso monarca... (Inginocchiandosi)
 TITO
                                           Annio, per ora
1140lasciami in pace. (Annio si leva)
 PUBLIO
                                   Alla gran pompa unite
 sai che le genti ormai...
 TITO
                                             Lo so. Partite. (Publio si ritira)
 ANNIO
 
    Pietà, signor, di lui.
 So che il rigore è giusto;
 ma norma i falli altrui
1145non son del tuo rigor.
 
    Se a’ prieghi miei non vuoi,
 se all’error suo non puoi,
 donalo al cor d’Augusto,
 donalo a te, signor. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 TITO solo a sedere
 
 TITO
1150Che orror! Che tradimento!
 Che nera infedeltà! Fingersi amico,
 essermi sempre al fianco, ogni momento
 esiger dal mio core
 qualche prova d’amore, e starmi intanto
1155preparando la morte! Ed io sospendo
 ancor la pena? E la sentenza ancora
 non segno... Ah sì, lo scellerato mora. (Prende la penna per sottoscrivere e poi s’arresta)
 Mora... Ma senza udirlo
 mando Sesto a morir? Sì; già l’intese
1160abbastanza il Senato. E s’egli avesse
 qualche arcano a svelarmi? Olà. (S’ascolti (Depone la penna, intanto esce una guardia)
 e poi vada al supplizio). A me si guidi
 Sesto. È pur di chi regna (Parte la guardia)
 infelice il destino! A noi si niega (S’alza)
1165ciò che a’ più bassi è dato. In mezzo al bosco
 quel villanel mendico a cui circonda
 ruvida lana il rozzo fianco, a cui
 è mal fido riparo
 dall’ingiurie del ciel tugurio informe,
1170placido i sonni dorme;
 passa tranquillo i dì; molto non brama;
 sa chi l’odia e chi l’ama; unito o solo
 torna sicuro alla foresta, al monte;
 e vede il core a ciascheduno in fronte.
1175Noi fra tante grandezze
 sempre incerti viviam, che in faccia a noi
 la speranza o il timore
 su la fronte d’ognun trasforma il core.
 Chi dall’infido amico, olà, chi mai
1180questo temer dovea?
 
 SCENA V
 
 PUBLIO e TITO
 
 TITO
                                         Ma, Publio, ancora
 Sesto non viene.
 PUBLIO
                                 Ad eseguire il cenno
 già volaro i custodi.
 TITO
                                      Io non comprendo
 un sì lungo tardar.
 PUBLIO
                                     Pochi momenti
 sono scorsi, o signor.
 TITO
                                        Vanne tu stesso;
1185affrettalo.
 PUBLIO
                     Ubbidisco. I tuoi littori (Nel partire)
 veggonsi comparir. Sesto dovrebbe
 non molto esser lontano. Eccolo.
 TITO
                                                            Ingrato!
 All’udir che s’appressa,
 già mi parla a suo pro l’affetto antico.
1190Ma no; trovi il suo prence e non l’amico. (Tito siede e si compone in atto di maestà)
 
 SCENA VI
 
 TITO, PUBLIO, SESTO e custodi. Sesto entrato appena si ferma
 
 SESTO
 (Numi! È quello ch’io miro (Guardando Tito)
 di Tito il volto? Ah la dolcezza usata
 più non ritrovo in lui! Come divenne
 terribile per me!)
 TITO
                                    (Stelle! Ed è questo
1195il sembiante di Sesto? Il suo delitto
 come lo trasformò! Porta sul volto
 la vergogna, il rimorso e lo spavento).
 PUBLIO
 (Mille affetti diversi ecco a cimento).
 TITO
 Avvicinati. (A Sesto con maestà)
 SESTO
                        (Oh voce
1200che mi piomba sul cor!)
 TITO
                                              Non odi? (A Sesto con maestà)
 SESTO
                                                                 (Oh dio! (S’avanza due passi e si ferma)
 Mi trema il piè; sento bagnarmi il volto
 da gelido sudore;
 l’angoscia del morir non è maggiore).
 TITO
 (Palpita l’infedel).
 PUBLIO
                                    (Dubbio mi sembra
1205se il pensar che ha fallito
 più dolga a Sesto o se il punirlo a Tito).
 TITO
 (E pur mi fa pietà). Publio, custodi,
 lasciatemi con lui.
 SESTO
                                    (No; di quel volto
 non ho costanza a sostener l’impero). (Parte Publio e le guardie)
 TITO
1210Ah Sesto, è dunque vero? (Tito rimasto solo con Sesto depone l’aria maestosa)
 Dunque vuoi la mia morte? E in che t’offese
 il tuo prence, il tuo padre,
 il tuo benefattor? Se Tito augusto
 hai potuto obbliar, di Tito amico
1215come non ti sovvenne? Il premio è questo
 della tenera cura
 ch’ebbe sempre di te? Di chi fidarmi
 in avvenir potrò, se giunse, oh dei!
 anche Sesto a tradirmi? E lo potesti?
1220E il cor te lo sofferse?
 SESTO
                                          Ah Tito! Ah mio (Prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a’ piedi)
 clementissimo prence!
 Non più, non più; se tu veder potessi
 questo misero cor, spergiuro, ingrato
 pur ti farei pietà. Tutte ho sugli occhi
1225tutte le colpe mie; tutti rammento
 i benefizi tuoi; soffrir non posso
 né l’idea di me stesso
 né la presenza tua. Quel sacro volto,
 la voce tua, la tua clemenza istessa
1230diventò mio supplizio. Affretta almeno,
 affretta il mio morir. Toglimi presto
 questa vita infedel; lascia ch’io versi,
 se pietoso esser vuoi,
 questo perfido sangue a’ piedi tuoi.
 TITO
1235Sorgi, infelice. (Si leva) (Il contenersi è pena
 a quel tenero pianto). Or vedi a quale
 lagrimevole stato
 un delitto riduce, una sfrenata
 avidità d’impero! E che sperasti
1240di trovar mai nel trono? Il sommo forse
 d’ogni contento? Ah sconsigliato! Osserva
 quai frutti io ne raccolgo;
 e bramalo, se puoi.
 SESTO
                                      No; questa brama
 non fu che mi sedusse.
 TITO
1245Dunque che fu?
 SESTO
                                La debolezza mia,
 la mia fatalità.
 TITO
                              Più chiaro almeno
 spiegati.
 SESTO
                   Oh dio! Non posso.
 TITO
                                                        Odimi, o Sesto.
 Siam soli; il tuo sovrano
 non è presente. Apri il tuo core a Tito,
1250confidati all’amico. Io ti prometto
 che Augusto nol saprà. Del tuo delitto
 di’ la prima cagion. Cerchiamo insieme
 una via di scusarti. Io ne sarei
 forse di te più lieto.
 SESTO
                                       Ah! La mia colpa
1255non ha difesa.
 TITO
                             In contraccambio almeno
 d’amicizia lo chiedo. Io non celai
 a la tua fede i più gelosi arcani;
 merito ben che Sesto
 mi fidi un suo segreto.
 SESTO
                                            (Ecco una nuova
1260spezie di pena! O dispiacere a Tito
 o Vitellia accusar).
 TITO
                                     Dubiti ancora? (Tito comincia a turbarsi)
 Ma, Sesto, mi ferisci
 nel più vivo del cor. Vedi che troppo
 tu l’amicizia oltraggi
1265con questo diffidar. Pensaci. Appaga
 il mio giusto desio. (Con impazienza)
 SESTO
 (Ma qual astro splendeva al nascer mio!) (Con impeto di disperazione)
 TITO
 E taci? E non rispondi? Ah già che puoi
 tanto abusar di mia pietà...
 SESTO
                                                    Signore...
1270Sappi dunque... (Che fo?)
 TITO
                                                  Siegui.
 SESTO
                                                                  (Ma quando
 finirò di penar?)
 TITO
                                  Parla una volta.
 Che mi volevi dir?
 SESTO
                                     Ch’io son l’oggetto
 dell’ira degli dei, che la mia sorte
 non ho più forza a tollerar, ch’io stesso
1275traditor mi confesso, empio mi chiamo,
 ch’io merito la morte e ch’io la bramo.
 TITO
 Sconoscente! E l’avrai. Custodi, il reo (Tito ripiglia l’aria di maestà)
 toglietemi dinanzi. (Alle guardie che saranno uscite)
 SESTO
                                       Il bacio estremo
 su quella invitta man...
 TITO
                                             Parti. (Non lo concede)
 SESTO
                                                          Fia questo
1280l’ultimo don. Per questo solo istante
 ricordati, signor, l’amor primiero.
 TITO
 Parti; non è più tempo. (Senza guardarlo)
 SESTO
                                              È vero, è vero.
 
    Vo disperato a morte;
 né perdo già costanza
1285a vista del morir.
 
    Funesta la mia sorte
 la sola rimembranza
 ch’io ti potei tradir. (Parte con le guardie)
 
 SCENA VII
 
 TITO solo
 
 TITO
 E dove mai s’intese
1290più contumace infedeltà? Poteva
 il più tenero padre un figlio reo
 trattar con più dolcezza? Anche innocente
 d’ogn’altro error, saria di vita indegno
 per questo sol. Deggio alla mia negletta
1295disprezzata clemenza una vendetta. (Va con isdegno verso il tavolino e s’arresta)
 Vendetta! Ah Tito! E tu sarai capace
 d’un sì basso desio, che rende eguale
 l’offeso all’offensor? Merita invero
 gran lode una vendetta, ove non costi
1300più che il volerla. Il torre altrui la vita
 è facoltà comune
 al più vil della terra; il darla è solo
 de’ numi e de’ regnanti. Eh viva... Invano
 parlan dunque le leggi? Io lor custode
1305l’eseguisco così? Di Sesto amico
 non sa Tito scordarsi? Han pur saputo
 obbliar d’esser padri e Manlio e Bruto.
 Sieguansi i grandi esempi. (Siede) Ogn’altro affetto
 d’amicizia e pietà taccia per ora.
1310Sesto è reo; Sesto mora. (Sottoscrive) Eccoci alfine
 su le vie del rigore. (S’alza) Eccoci aspersi
 di cittadino sangue e s’incomincia
 dal sangue d’un amico. Or che diranno
 i posteri di noi? Diran che in Tito
1315si stancò la clemenza
 come in Silla e in Augusto
 la crudeltà. Forse diran che troppo
 rigido io fui, ch’eran difese al reo
 i natali e l’età, che un primo errore
1320punir non si dovea, che un ramo infermo
 subito non recide
 saggio cultor, se a risanarlo invano
 molto pria non sudò, che Tito alfine
 era l’offeso e che le proprie offese,
1325senza ingiuria del giusto,
 ben poteva obbliar... Ma dunque io faccio
 sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro
 sarò ch’altri m’approvi? Ah non si lasci
 il solito cammin. Viva l’amico, (Lacera il foglio)
1330benché infedele; e se accusarmi il mondo
 vuol pur di qualch’errore,
 m’accusi di pietà, non di rigore. (Getta il foglio lacerato)
 Publio.
 
 SCENA VIII
 
 TITO e PUBLIO
 
 PUBLIO
                 Cesare.
 TITO
                                 Andiamo
 al popolo che attende.
 PUBLIO
                                          E Sesto?
 TITO
                                                            E Sesto
1335venga all’arena ancor.
 PUBLIO
                                          Dunque il suo fato...
 TITO
 Sì, Publio, è già deciso.
 PUBLIO
                                             (Oh sventurato!)
 TITO
 
    Se all’impero, amici dei,
 necessario è un cor severo,
 o togliete a me l’impero
1340o a me date un altro cor.
 
    Se la fé de’ regni miei
 con l’amor non assicuro,
 d’una fede io non mi curo
 che sia frutto del timor. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VITELLIA uscendo dalla porta opposta richiama PUBLIO che seguiva Tito
 
 VITELLIA
1345Publio, ascolta.
 PUBLIO
                              Perdona; (In atto di partire)
 deggio a Cesare appresso
 andar...
 VITELLIA
                  Dove?
 PUBLIO
                                 All’arena. (Come sopra)
 VITELLIA
                                                     E Sesto?
 PUBLIO
                                                                       Anch’esso.
 VITELLIA
 Dunque morrà?
 PUBLIO
                                 Purtroppo. (Come sopra)
 VITELLIA
                                                       (Aimè!) Con Tito
 Sesto ha parlato?
 PUBLIO
                                  E lungamente.
 VITELLIA
                                                               E sai
1350quel ch’ei dicesse?
 PUBLIO
                                     No; solo con lui
 restar Cesare volle; escluso io fui. (Parte)
 
 SCENA X
 
 VITELLIA e poi ANNIO e SERVILIA da diverse parti
 
 VITELLIA
 Non giova lusingarsi;
 Sesto già mi scoperse. A Publio istesso
 si conosce sul volto. Ei non fu mai
1355con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme
 di restar meco. Ah! Secondato avessi
 gl’impulsi del mio cor. Per tempo a Tito
 dovea svelarmi e confessar l’errore.
 Sempre in bocca d’un reo, che la detesta,
1360scema d’orror la colpa. Or questo ancora
 tardi saria. Seppe il delitto Augusto
 e non da me. Questa ragione istessa
 fa più grave...