Didone abbandonata, libretto, Stoccarda, Cotta, 1763

 Tu Iarba!
 ENEA
                     Il re de’ Mori!
 DIDONE
 Un re sensi sì rei
 non chiude in seno, un mentitor tu sei.
480Si disarmi.
 IARBA
                        Nessuno (Snuda la spada)
 avvicinarsi ardisca o ch’io lo sveno.
 OSMIDA
 (Cedi per poco almeno
 finch’io genti raccolga, a me ti fida). (A Iarba)
 IARBA
 E così vil sarò?
 ENEA
                              Fermate amici,
485a me tocca punirlo.
 DIDONE
                                      Il tuo valore
 serba ad uopo miglior; che più s’aspetta?
 O si renda o svenato a’ piè mi cada.
 OSMIDA
 (Serbati alla vendetta). (A Iarba)
 IARBA
                                              Ecco la spada.
 
    Tu mi disarmi il fianco. (A Didone)
490Tu mi vorresti oppresso. (Ad Enea)
 Ma sono ancor l’istesso,
 ma non son vinto ancor.
 
    Soffro per or lo scorno.
 Ma forse questo è il giorno
495che domerò quell’alma, (A Didone)
 che punirò quel cor. (Ad Enea)
 
 DIDONE
 Frenar l’alma orgogliosa
 tua cura sia.
 OSMIDA
                          Su la mia fé riposa. (Parte con guardie)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, ENEA
 
 DIDONE
 Enea, salvo già sei
500dalla crudel ferita.
 Per me serban gli dei sì bella vita.
 ENEA
 Oh dio regina.
 DIDONE
                              Ancora
 forse della mia fede incerto stai?
 ENEA
 No; più funeste assai
505son le sventure mie. Vuole il destino...
 DIDONE
 Chiari i tuoi sensi esponi.
 ENEA
 Vuol (mi sento morir) ch’io t’abbandoni.
 DIDONE
 M’abbandoni! Perché?
 ENEA
                                            Di Giove il cenno,
 l’ombra del genitor, la patria, il cielo,
510la promessa, il dover, l’onor, la fama
 alle sponde d’Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
 purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
 DIDONE
 E così fin ad ora
515perfido mi celasti il tuo disegno?
 ENEA
 Fu pietà.
 DIDONE
                    Che pietà? Mendace il labbro
 fedeltà mi giurava
 e intanto il cor pensava
 come lunge da me volgere il piede.
520A chi misera me darò più fede!
 Vil rifiuto dell’onde
 io l’accolgo dal lido, io lo ristoro
 dalle ingiurie del mar; le navi e l’armi
 già disperse io gli rendo e gli do loco
525nel mio cor, nel mio regno, e questo è poco.
 Di cento re per lui
 ricusando gli amori i sdegni irrito.
 Ecco poi la mercede.
 A chi misera me darò più fede!
 ENEA
530Finch’io viva, o Didone,
 dolce memoria al mio pensier sarai.
 Né partirei giammai,
 se per voler de’ numi io non dovessi
 consacrare il mio affanno
535all’impero latino.
 DIDONE
 Veramente non hanno
 altra cura gli dei che il tuo destino.
 ENEA
 Io resterò, se vuoi
 che si renda spergiuro un infelice.
 DIDONE
540No, sarei debitrice
 dell’impero del mondo a’ figli tuoi.
 Va’ pur, siegui il tuo fato,
 cerca d’Italia il regno, all’onde, ai venti
 confida pur la speme tua. Ma senti;
545farà quell’onde istesse
 delle vendette mie ministre il cielo.
 E tardi allor pentito
 d’aver creduto all’elemento insano
 richiamerai la tua Didone invano.
 ENEA
550Se mi vedessi il core...
 DIDONE
 Lasciami traditore.
 ENEA
 Almen dal labbro mio
 con volto men irato
 prendi l’ultimo addio.
 DIDONE
                                           Lasciami ingrato.
 ENEA
555E pur a tanto sdegno
 non hai ragion di condannarmi.
 DIDONE
                                                            Indegno.
 
    Non ha ragione, ingrato,
 un core abbandonato
 da chi giurogli fé?
 
560   Anime innamorate,
 se lo provaste mai
 ditelo voi per me.
 
    Perfido tu lo sai
 se in premio un tradimento
565io meritai da te.
 
    E qual sarà tormento,
 anime innamorate,
 se questo mio non è? (Parte)
 
 SCENA XIX
 
 ENEA
 
 ENEA
 E soffrirò che sia
570sì barbara mercede
 premio della tua fede anima mia?
 Tanto amor, tanti doni...
 Ah pria ch’io t’abbandoni,
 pera l’Italia, il mondo,
575resti in obblio profondo
 la mia fama sepolta,
 vada in cenere Troia un’altra volta.
 Ah che dissi! Alle mie
 amorose follie
580gran genitor perdona, io n’ho rossore.
 Non fu Enea che parlò; lo disse amore.
 Si parta. E l’empio moro
 stringerà il mio tesoro?
 No... Ma sarà frattanto
585al proprio genitor spergiuro il figlio?
 Padre, amor, gelosia, numi consiglio.
 
    Se resto sul lido,
 se sciolgo le vele
 infido, crudele
590mi sento chiamar.
 
    Intanto confuso
 nel dubbio funesto,
 non parto, non resto
 ma provo il martire
595che avrei nel partire,
 che avrei nel restar.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Appartamenti reali con tavolino.
 
 IARBA ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Signor ove ten vai?
 Nelle mie stanze ascoso
 per tuo, per mio riposo io ti lasciai.
 IARBA
600Ma sino al tuo ritorno
 tollerar quel soggiorno io non potei.
 OSMIDA
 In periglio tu sei, che se Didone
 libero errar ti vede
 temerà di mia fede.
 IARBA
                                       A tal oggetto
605disarmato io men vo, fin che non giunga
 l’amico stuol che a vendicarmi affretto.
 OSMIDA
 Va’ pur ma ti rammenta
 ch’io sol per tua cagione...
 IARBA
 Fost’infido a Didone.
 OSMIDA
610E che tu per mercede...
 IARBA
 So qual premio si debba alla tua fede.
 OSMIDA
 
    Pensa che il trono aspetto,
 che n’ho tua fede in pegno
 e che donando un regno
615ti fai soggetto un re.
 
    Un re che tuo seguace
 ti sarà fido in pace;
 e se guerrier lo vuoi
 contro i nemici tuoi
620combatterà per te. (Parte)
 
 SCENA II
 
 IARBA e poi ARASPE
 
 IARBA
 Giovino i tradimenti,
 poi si punisca il traditore. Indegno
 t’offerisci al mio sdegno e non paventi?
 Temerario per te (Vedendo Araspe)
625non cadde Enea dal ferro mio trafitto.
 ARASPE
 Ma delitto non è.
 IARBA
                                  Non è delitto!
 Di tante offese ormai
 vendicato m’avria quella ferita.
 ARASPE
 La tua gloria salvai nella sua vita.
 IARBA
630Ti punirò.
 ARASPE
                      La pena
 benché innocente io soffrirò con pace,
 che sempre è reo chi al suo signor dispiace.
 IARBA
 (Hanno un’ignota forza
 i detti di costui
635che m’incatena e parmi
 ch’io non sappia sdegnarmi in faccia a lui).
 Odi, giacché al tuo re
 qual ossequio tu debba ancor non sai,
 innanzi a me non favellar giammai.
 ARASPE
640Ubbidirò.
 
 SCENA III
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                      Chi sciolse
 barbaro i lacci tuoi? Tu non rispondi?
 Dell’offesa reina il giusto impero
 qual folle ardire a disprezzar t’ha mosso?
 Parla Araspe per lui.
 ARASPE
                                        Parlar non posso.
 SELENE
645Parlar non puoi! (Pavento
 di nuovo tradimento). E qual arcano
 si nasconde a Selene?
 Perché taci così? (Ad Araspe)
 ARASPE
                                  Tacer conviene.
 IARBA
 Senti. Voglio appagarti.
650Vado apprendendo l’arti (A Selene)
 che deve posseder chi s’innamora,
 nella scuola d’amor son rozzo ancora.
 SELENE
 L’arte di farsi amare
 come apprender mai può chi serba in seno
655sì arroganti costumi e sì scortesi?
 IARBA
 Solo a farmi temer sinora appresi.
 SELENE
 E né pur questo sai; quell’empio core
 odio mi desta in seno e non paura.
 IARBA
 La debolezza tua ti fa sicura.
 
660   Leon, ch’errando vada
 per la natia contrada,
 se un agnellin rimira
 non si commove all’ira
 nel generoso cor.
 
665   Ma se venir si vede
 orrida tigre in faccia,
 l’assale e la minaccia,
 perché sol quella crede
 degna del suo furor. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 SELENE ed ARASPE
 
 SELENE
670Chi fu che all’inumano
 disciolse le catene?
 ARASPE
 A me bella Selene il chiedi invano.
 Io prigioniero e reo,
 libero ed innocente in un momento
675sciolto mi vedo e sento
 fra i lacci il mio signore, il passo muovo
 a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
 SELENE
 Ah contro Enea v’è qualche frode ordita.
 Difendi la sua vita.
 ARASPE
                                      È mio nemico.
680Pur se brami che Araspe
 dall’insidie il difenda,
 tel prometto; sin qui
 l’onor mio nol contrasta
 ma ti basti così.
 SELENE
                                Così mi basta. (In atto di partire)
 ARASPE
685Ah non toglier sì tosto
 il piacer di mirarti agli occhi miei.
 SELENE
 Perché?
 ARASPE
                  Tacer dovrei ch’io sono amante
 ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
 SELENE
 Araspe, il tuo valore,
690il volto tuo, la tua virtù mi piace
 ma già pena il mio cor per altra face.
 ARASPE
 Quanto son sventurato!
 SELENE
                                             E più Selene.
 Se t’accende il mio volto
 narri almen le tue pene ed io le ascolto.
695Io l’incendio nascoso
 tacer non posso e palesar non oso.
 ARASPE
 Soffri almen la mia fede.
 SELENE
 Sì, ma da me non aspettar mercede.
 Se può la tua virtù
700amarmi a questa legge, io tel concedo.
 Ma non chieder di più.
 ARASPE
                                             Di più non chiedo.
 SELENE
 
    Ardi per me fedele,
 serba nel cor lo strale
 ma non mi dir crudele,
705se non avrai mercé.
 
    Hanno sventura eguale
 la tua, la mia costanza.
 Per te non v’è speranza,
 non v’è pietà per me. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ARASPE
 
 ARASPE
710Tu dici ch’io non speri
 ma nol dici abbastanza.
 L’ultima che si perde è la speranza.
 
    L’augelletto in lacci stretto
 perché mai cantar s’ascolta?
715Perché spera un’altra volta
 di tornare in libertà.
 
    Nel conflitto sanguinoso
 quel guerrier perché non geme?
 Perché gode colla speme
720quel riposo che non ha. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 DIDONE con foglio, OSMIDA e poi SELENE
 
 DIDONE
 Già so che si nasconde
 de’ Mori il re sotto il mentito Arbace.
 Ma sia qual più gli piace, egli m’offese
 e senz’altra dimora
725o suddito o sovrano io vuo’ che mora.
 OSMIDA
 Sempre in me de’ tuoi cenni
 il più fedele esecutor vedrai.
 DIDONE
 Premio avrà la tua fede.
 OSMIDA
 Eh qual premio, o regina! Adopro invano
730per te fede e valore.
 Occupa solo Enea tutto il tuo core.
 DIDONE
 Taci, non rammentar quel nome odiato.
 È un perfido, è un ingrato,
 è un’alma senza legge e senza fede.
735Contro me stessa ho sdegno,
 perché finor l’amai.
 OSMIDA
 Se lo torni a mirar ti placherai.
 DIDONE
 Ritornarlo a mirar! Per finch’io viva
 mai più non mi vedrà quell’alma rea.
 SELENE
740Teco vorrebbe Enea
 parlar se gliel concedi.
 DIDONE
 Enea! Dov’è?
 SELENE
                            Qui presso
 che sospira il piacer di rimirarti. (Parte Selene)
 DIDONE
 Temerario! Che venga. Osmida parti.
 OSMIDA
745Io non tel dissi? Enea
 tutta del cor la libertà t’invola.
 DIDONE
 Non tormentarmi più, lasciami sola. (Parte Osmida)
 
 SCENA VII
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Come! Ancor non partisti? Adorna ancora
 questi barbari lidi il grande Enea?
750E pur io mi credea
 che già varcato il mar d’Italia in seno
 in trionfo traessi
 popoli debellati e regi oppressi.
 ENEA
 Quest’amara favella
755mal conviene al tuo cor bella reina.
 Del tuo, dell’onor mio
 sollecito ne vengo. Io so che vuoi
 del moro il fiero orgoglio
 con la morte punir.
 DIDONE
                                      E questo è il foglio.
 ENEA
760La gloria non consente
 ch’io vendichi in tal guisa i torti miei.
 Se per me lo condanni...
 DIDONE
 Condannarlo per te! Troppo t’inganni.
 Passò quel tempo, Enea,
765che Dido a te pensò. Spenta è la face,
 è sciolta la catena
 e del tuo nome or mi rammento appena.
 ENEA
 Sappi che re de’ Mori
 è l’orator fallace.
 DIDONE
770Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
 ENEA
 O dio, con la sua morte
 tutta contra di te l’Africa irriti.
 DIDONE
 Consigli or non desio,
 tu provedi al tuo regno, io penso al mio.
775Senza di te finor leggi dettai,
 sorger senza di te Cartago io vidi.
 Felice me se mai
 tu non giungevi, ingrato, a questi lidi.
 ENEA
 Se sprezzi il tuo periglio,
780donalo a me; grazia per lui ti chieggio.
 DIDONE
 Sì, veramente io deggio
 il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
 A sì fedele amante,
 ad eroe sì pietoso, a’ giusti prieghi
785di tanto intercessor nulla si nieghi.
 Inumano, tiranno, è forse questo
 l’ultimo dì che rimirar mi dei.
 Vieni sugli occhi miei,
 sol d’Arbace mi parli e me non curi.
790T’avessi pur veduto
 d’una lagrima sola umido il ciglio.
 Uno sguardo, un sospiro,
 un segno di pietade in te non trovo.
 E poi grazie mi chiedi?
795Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora? (Sottoscrive il foglio)
 Perché tu lo vuoi salvo, io vuo’ che mora.
 ENEA
 Idol mio, che pur sei
 ad onta del destin l’idolo mio,
 che posso dir, che giova
800rinnovar co’ sospiri il tuo dolore?
 Ah se per me nel core
 qualche tenero affetto avesti mai,
 placa il tuo sdegno e rasserena i rai.
 Quell’Enea tel domanda
805che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,
 quel che finora amasti
 più della vita tua, più del tuo soglio,
 quello...
 DIDONE
                  Basta, vincesti, eccoti il foglio.
 Vedi quanto t’adoro ancora ingrato.
810Con un tuo sguardo solo
 mi togli ogni difesa e mi disarmi.
 Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
 
    Ah non lasciarmi no
 bell’idol mio.
815Di chi mi fiderò
 se tu m’inganni?
 
    Di vita mancherei
 nel dirti addio,
 che viver non potrei
820fra tanti affanni. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 ENEA, poi IARBA
 
 ENEA
 Io sento vacillar la mia costanza
 a tanto amore appresso
 e mentre salvo altrui perdo me stesso.
 IARBA
 Che fa l’invitto Enea? Gli veggo ancora
825del passato timore i segni in volto.
 ENEA
 Iarba da’ lacci è sciolto!
 Chi ti diè libertà?
 IARBA
                                    Permette Osmida
 che per entro la reggia io mi raggiri
 ma vuol ch’io vada errando
830per sicurezza tua senza il mio brando.
 ENEA
 Così tradisce Osmida
 il comando real?
 IARBA
                                 Dimmi, che temi?
 Ch’io m’involi al castigo o a queste mura?
 Troppo vi resterò per tua sventura.
 ENEA
835La tua sorte presente
 è degna di pietà, non di timore.
 IARBA
 Risparmia al tuo gran core
 questa inutil pietà. So che a mio danno
 della reina irriti i sdegni insani.
840Solo in tal guisa sanno
 gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.
 ENEA
 Leggi. La regal donna in questo foglio
 la tua morte segnò di propria mano.
 S’Enea fosse africano
845Iarba estinto saria. Prendi ed impara
 barbaro, discortese
 come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio della sentenza)
 
    Vedi nel mio perdono
 perfido traditor
850quel generoso cor
 che tu non hai.
 
    Vedilo e dimmi poi
 se gli africani eroi
 tanta virtù nel seno
855ebbero mai. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 IARBA
 
 IARBA
 Così strane venture io non intendo!
 Pietà nel mio nemico,
 infedeltà nel mio seguace io trovo.
 Ah forse a danno mio
860l’uno e l’altro congiura.
 Ma di lor non ho cura.
 Pietà finga il rivale,
 sia l’amico fallace,
 non sarà di timor Iarba capace.
 
865   Fosca nube il sol ricopra
 o si scopra il ciel sereno,
 non si cangia il cor nel seno,
 non si turba il mio pensier.
 
    Le vicende della sorte
870imparai con alma forte
 dalle fasce a non temer. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Atrio.
 
 ENEA, poi ARASPE
 
 ENEA
 Fra il dovere e l’affetto
 ancor dubbioso in seno ondeggia il core.
 Purtroppo il mio valore
875all’impero servì d’un bel sembiante.
 Ah una volta l’eroe vinca l’amante.
 ARASPE
 Di te finora in traccia
 scorsi la reggia.
 ENEA
                               Amico
 vieni fra queste braccia.
 ARASPE
880Allontanati Enea, son tuo nemico.
 Snuda snuda quel ferro. (Snuda la spada)
 Guerra con te, non amicizia io voglio.
 ENEA
 Tu di Iarba all’orgoglio
 prima m’involi e poi
885guerra mi chiedi ed amistà non vuoi!
 ARASPE
 T’inganni, allor difesi
 la gloria del mio re, non la tua vita.
 Con più nobil ferita
 rendergli a me s’aspetta
890quella che tolsi a lui giusta vendetta.
 ENEA
 Enea stringer l’acciaro
 contro il suo difensor!
 ARASPE
                                           Olà che tardi?
 ENEA
 La mia vita è tuo dono,
 prendila pur se vuoi, contento io sono.
895Ma ch’io debba a tuo danno armar la mano
 generoso guerrier lo speri invano.
 ARASPE
 Se non impugni il brando
 a ragion ti dirò codardo e vile.
 ENEA
 Questa ad un cor virile
900vergognosa minaccia Enea non soffre.
 Ecco per soddisfarti io snudo il ferro.
 Ma prima i sensi miei
 odan gli uomini tutti e tutti i dei.
 Io son d’Araspe amico,
905io debbo la mia vita al suo valore;
 ad onta del mio core
 discendo al gran cimento
 di codardia tacciato
 e per non esser vil mi rendo ingrato. (Cominciano a battersi)
 
 SCENA XI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
910Tanto ardir nella reggia? Olà fermate.
 Così mi serbi fé? Così difendi,
 Araspe traditor, d’Enea la vita?
 ENEA
 No, principessa. Araspe
 non ha di tradimenti il cor capace.
 SELENE
915Chi di Iarba è seguace
 esser fido non può.
 ARASPE
                                      Bella Selene
 puoi tu sola avanzarti
 a tacciarmi così.
 SELENE
                                 T’accheta e parti.
 ARASPE
 
    Tacerò se tu lo brami
920ma fai torto alla mia fede,
 se mi chiami traditor.
 
    Porterò lontano il piede
 ma placati i sdegni tuoi
 so che poi n’avrai rossor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 SELENE ed ENEA
 
 ENEA
925Allor che Araspe a provocar mi venne
 del suo signor sostenne
 le ragioni con me. La sua virtude
 se condannar pretendi
 troppo quel core ingiustamente offendi.
 SELENE
930Ah generoso Enea
 non fidarti così; d’Osmida ancora
 all’amistà tu credi e pur t’inganna.
 ENEA
 Lo so, ma come Osmida
 non serba Araspe in seno anima infida.
 SELENE
935Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo
 di favellar di lui; brama Didone
 teco parlar.
 ENEA
                        Poc’anzi
 dal suo real soggiorno io trassi il piede.
 Se di nuovo mi chiede
940ch’io resti in questa arena,
 invan s’accrescerà la nostra pena.
 SELENE
 Come fra tanti affanni
 cor mio chi t’ama abbandonar potrai?
 ENEA
 Selene a me cor mio!
 SELENE
945È Didone che parla e non son io.
 ENEA
 Se per la tua germana
 così pietosa sei
 non curar più di me, ritorna a lei.
 Dille che si consoli,
950che ceda al fato e rassereni il ciglio.
 SELENE
 Ah no, cangia ben mio, cangia consiglio.
 ENEA
 Tu mi chiami tuo bene!
 SELENE
 È Didone che parla e non Selene.
 Se non l’ascolti almeno
955tu sei troppo inumano.
 ENEA
 L’ascolterò ma l’ascoltarla è vano.
 
    Non cede all’austro irato
 né teme allor che freme
 il turbine sdegnato
960quel monte che sublime
 le cime innalza al ciel.
 
    Costante ad ogni oltraggio
 sempre la fronte avvezza,
 disprezza il caldo raggio,
965non cura il freddo giel.
 
 SCENA XIII
 
 SELENE
 
 SELENE
 Chi udì, chi vide mai
 del mio più strano amor, sorte più ria?
 Taccio la fiamma mia
 e vicina al mio bene
970so scoprirgli l’altrui, non le mie pene.
 
    Veggio la sponda,
 sospiro il lido
 e pur dall’onda
 fuggir non so.
 
975   Se il mio dolore
 scoprir diffido,
 pietoso amore
 che mai farò. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 Gabinetto con sedie.
 
 DIDONE, poi ENEA
 
 DIDONE
 Incerta del mio fato
980io più viver non voglio; è tempo omai
 che per l’ultima volta Enea si tenti.
 Se dirgli i miei tormenti,
 se la pietà non giova,
 faccia la gelosia l’ultima prova.
 ENEA
985Ad ascoltar di nuovo
 i rimproveri tuoi vengo o regina.
 So che vuoi dirmi ingrato,
 perfido, mancator, spergiuro, indegno.
 Chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.
 DIDONE
990No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
 perfido, mancator più non ti chiamo.
 Rammentarti non bramo i nostri ardori,
 da te chiedo consigli e non amori.
 Siedi. (Siedono)
 ENEA
                (Che mai dirà!)
 DIDONE
                                               Già vedi Enea
995che fra nemici è il mio nascente impero.
 Sprezzai finora, è vero,
 le minaccie e ’l furor; ma Iarba offeso
 quando priva sarò del tuo sostegno,
 mi torrà per vendetta e vita e regno.
1000In così dubbia sorte
 ogni rimedio è vano.
 Deggio incontrar la morte
 o al superbo african porger la mano.
 L’un e l’altro mi spiace e son confusa.
1005Alfin femmina e sola,
 lungi dal patrio ciel perdo il coraggio
 e non è meraviglia
 s’io risolver non so; tu mi consiglia.
 ENEA
 Dunque fuor che la morte
1010o il funesto imeneo,
 trovar non si potria scampo migliore?
 DIDONE
 V’era purtroppo.
 ENEA
                                  E quale?
 DIDONE
 Se non sdegnava Enea d’esser mio sposo,
 l’Africa avrei veduta
1015dall’arabico seno al mar d’Atlante
 in Cartago adorar la sua regnante.
 E di Troia e di Tiro
 rinnovar si potea... Ma che ragiono?
 L’impossibil mi fingo e folle io sono.
1020Dimmi, che far degg’io? Con alma forte,
 come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
 ENEA
 Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
 Colei che tanto adoro
 all’odiato rival vedere in braccio?
1025Colei...
 DIDONE
                Se tanta pena
 trovi nelle mie nozze, io le ricuso.
 Ma per tormi agl’insulti
 necessario è il morir. Stringi quel brando,
 svena la tua fedele;
1030è pietà con Didone esser crudele.
 ENEA
 Ch’io ti sveni? Ah più tosto
 cada sopra di me del ciel lo sdegno.
 Prima scemin gli dei,
 per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
 DIDONE
1035Dunque a Iarba mi dono. Olà. (Esce un paggio)
 ENEA
                                                          Deh ferma.
 Troppo, oh dio, per mia pena
 sollecita tu sei.
 DIDONE
                              Dunque mi svena.
 ENEA
 No, si ceda al destino; a Iarba stendi
 la tua destra real; di pace priva
1040resti l’alma d’Enea, pur che tu viva.
 DIDONE
 Già che d’altri mi brami
 appagarti saprò. Iarba si chiami. (Parte il paggio e un altro porta da sedere per Iarba)
 Vedi quanto son io
 ubbidiente a te.
 ENEA
                                Regina addio. (Si levano da sedere)
 DIDONE
1045Dove dove? T’arresta.
 Del felice imeneo
 ti voglio spettatore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza o core).
 
 SCENA XV
 
 IARBA e detti
 
 IARBA
 Didone a che mi chiedi?
1050Sei folle se mi credi
 dall’ira tua, da tue minacce oppresso.
 Non si cangia il mio cor, sempre è l’istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno o signor. Tu col tacermi
1055il tuo grado e ’l tuo nome
 a gran rischio esponesti il tuo decoro.
 Ed io... Ma qui t’assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t’ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
1060Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi. (Ad Enea)
 Troppo lunghe non fian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza o core). (Siede)
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna, ha da partir costui.
 ENEA
1065(Ed io lo soffro).
 DIDONE
                                 In lui
 invece d’un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò; per suo consiglio io t’amo.
 Se credi menzognero
1070il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
 ENEA
                                                       È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de’ Mori
 altro merto non v’è che un suo consiglio?