Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 fortunati momenti in cui ti piacqui...
 TIMANTE
 Taci, Dircea.
 DIRCEA
                          Per que’ soavi nodi...
 TIMANTE
 Ma taci per pietà. Tu mi trafiggi
1265l’anima e non lo sai.
 DIRCEA
                                       Già che sì poco
 curi la sposa, almen ti muova il figlio.
 Guardalo, è quell’istesso
 ch’altre volte ti mosse,
 guardalo; è sangue tuo.
 TIMANTE
                                             Così nol fosse.
 DIRCEA
1270Ma in che peccò? Perché lo sdegni? A lui
 perché nieghi uno sguardo? Osserva, osserva
 le pargolette palme
 come solleva a te, quanto vuol dirti
 con quel riso innocente.
 TIMANTE
                                              Ah se sapessi,
1275infelice bambin, quel che saprai
 per tua vergogna un giorno,
 lieto così non mi verresti intorno!
 
    Misero pargoletto,
 il tuo destin non sai.
1280Ah non gli dite mai
 qual era il genitor.
 
    Come in un punto, oh dio,
 tutto cambiò d’aspetto!
 Voi foste il mio diletto,
1285voi siete il mio terror. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 DEMOFOONTE, DIRCEA, CREUSA, ADRASTO
 
 DEMOFOONTE
 Sieguilo, Adrasto. Ah chi di voi mi spiega
 se il mio Timante è disperato o stolto!
 Ma voi smarrite in volto,
 mi guardate e tacete. Almen sapessi
1290qual ruina sovrasta,
 qual riparo apprestar. Numi del cielo,
 datemi voi consiglio;
 fate almen ch’io conosca il mio periglio.
 
    Odo il suono de’ queruli accenti;
1295veggo il fumo che intorbida il giorno;
 strider sento le fiamme d’intorno;
 né comprendo l’incendio dov’è.
 
    La mia tema fa ’l dubbio maggiore;
 nel mio dubbio s’accresce il timore,
1300tal ch’io perdo per troppo spavento
 qualche scampo che v’era per me. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 DIRCEA e CREUSA
 
 CREUSA
 E tu, Dircea, che fai? Di te si tratta,
 si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
 corri, cerca saper... Ma tu non m’odi?
1305Tu le attonite luci
 non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
 svegliati alfin. Sempre il peggior consiglio
 è il non prenderne alcun. S’altro non fai,
 sfoga il duol che nascondi;
1310piangi, lagnati almen, parla, rispondi.
 DIRCEA
 
    Che mai risponderti?
 Che dir potrei?
 Vorrei difendermi,
 fuggir vorrei;
1315né so qual fulmine
 mi fa tremar.
 
    Divenni stupida
 nel colpo atroce;
 non ho più lagrime,
1320non ho più voce,
 non posso piangere,
 non so parlar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 CREUSA sola
 
 CREUSA
 Qual terra è questa? Io perché venni a parte
 delle miserie altrui? Quante in un giorno,
1325quante il caso ne aduna, ire crudeli
 tra figlio e genitor, vittime umane,
 contaminati tempi,
 infelici imenei! Mancava solo
 che tremar si dovesse
1330senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
 è violento il tuo furor. Conviene
 che passi o scemi. In così rea fortuna
 parte è di speme il non averne alcuna.
 
    Non dura una sventura,
1335quando a tal segno avanza.
 Principio è di speranza
 l’eccesso del timor.
 
    Tutto si muta in breve;
 e il nostro stato è tale
1340che se mutar si deve
 sempre sarà miglior. (Parte)
 
 SCENA IX
 
  Luogo magnifico nella reggia festivamente adornato per le nozze di Creusa.
 
 TIMANTE e CHERINTO
 
 TIMANTE
 Dove, crudel, dove mi guidi? Ah! Queste
 liete pompe festive
 son pene a un disperato.
 CHERINTO
                                               Io non conosco
1345più il mio german. Che debolezza è questa
 troppo indegna di te? Senza saperlo
 errasti alfin. Sei sventurato, è vero,
 ma non sei reo. Qualunque male è lieve,
 dove colpa non è.
 TIMANTE
                                  Dall’opre il mondo
1350regola i suoi giudizi; e la ragione,
 quando l’opra condanna, indarno assolve.
 Son reo purtroppo; e se finor nol fui,
 lo divengo vivendo. Io non mi posso
 dimenticar Dircea. Sento che l’amo;
1355so che non deggio. In così brevi istanti
 come franger quel nodo
 che un vero amor, che un imeneo, che un figlio
 strinser così? Che le sventure istesse
 resero più tenace? E tanta fede?
1360E sì lungo costume? Oh dio, Cherinto,
 lasciami per pietà! Lascia ch’io mora,
 finché sono innocente.
 
 SCENA X
 
 ADRASTO e poi MATUSIO, DIRCEA con OLINTO e detti
 
 ADRASTO
                                            Il re per tutto
 ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
 dal domestico tempio uscir lo vidi.
1365Ambo son lieti in volto
 né chiedon che di te.
 TIMANTE
                                         Fuggasi. Io temo
 troppo l’incontro del paterno ciglio.
 MATUSIO
 Figlio mio, caro figlio. (Abbracciandolo)
 TIMANTE
                                            A me tal nome?
 Come? Perché?
 MATUSIO
                                Perché mio figlio sei,
1370perché son padre tuo.
 TIMANTE
                                          Tu sogni... Oh stelle?
 Torna Dircea.
 DIRCEA
                            No, non fuggirmi, o sposo;
 tua germana io non son.
 TIMANTE
                                               Voi m’ingannate
 per rimettere in calma il mio pensiero.
 
 SCENA XI
 
 DEMOFOONTE con seguito e detti
 
 DEMOFOONTE
 Non t’ingannan, Timante; è vero, è vero.
 TIMANTE
1375Se mi tradiste adesso,
 sarebbe crudeltà.
 DEMOFOONTE
                                   Ti rassicura,
 no, mio figlio non sei. Tu con Dircea
 fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole,
 tu di Matusio. Alla di lui consorte
1380la mia ti chiese in dono. Utile al regno
 il cambio allor credé. Ma quando poi
 nacque Cherinto, al proprio figlio il trono
 d’aver tolto s’avvide e a me l’arcano
 non ardì palesar, che troppo amante
1385già di te mi conobbe. All’ore estreme
 ridotta alfin tutto in due fogli il caso
 scritto lasciò. L’un diè all’amica; e quello
 Matusio ti mostrò; l’altro nascose;
 ed è questo che vedi.
 TIMANTE
                                         E perché tutto
1390nel primo non spiegò?
 DEMOFOONTE
                                            Solo a Dircea
 lasciò in quello una prova
 del regio suo natal. Bastò per questo
 giurar ch’era sua figlia. Il gran segreto
 della vera tua sorte era un arcano
1395da non fidar che a me, perch’io potessi
 a seconda de’ casi
 palesarlo o tacerlo. A tale oggetto
 celò quest’altro foglio in parte solo
 accessibile a me.
 TIMANTE
                                  Sì strani eventi
1400mi fanno dubitar.
 DEMOFOONTE
                                    Troppo son certe
 le prove, i segni. Eccoti il foglio in cui
 di quanto ti narrai la serie è accolta.
 TIMANTE
 Non deludermi, o sorte, un’altra volta. (Prende il foglio e legge fra sé)
 
 SCENA ULTIMA
 
 CREUSA e detti
 
 CREUSA
 Signor, veraci sono
1405le felici novelle, onde la reggia
 tutta si riempì?
 DEMOFOONTE
                                Sì, principessa.
 Ecco lo sposo tuo. L’erede, il figlio
 io ti promisi; ed in Cherinto io t’offro
 ed il figlio e l’erede.
 CHERINTO
                                       Il cambio forse
1410spiace a Creusa.
 CREUSA
                                 A quel che il ciel destina
 invan farei riparo.
 CHERINTO
 Ancora non vuoi dir ch’io ti son caro?
 CREUSA
 L’opra stessa il dirà.
 TIMANTE
                                        Dunque son io
 quell’innocente usurpator di cui
1415l’oracolo parlò?
 DEMOFOONTE
                               Sì; vedi come
 ogni nube sparì. Libero è il regno
 dall’annuo sagrificio; al vero erede
 la corona ritorna, io le promesse
 mantengo al re di Frigia
1420senza usar crudeltà; Cherinto acquista
 la sua Creusa, ella uno scettro; abbracci
 sicuro tu la tua Dircea; non resta
 una cagion di duolo;
 e scioglie tanti nodi un foglio solo.
 TIMANTE
1425Oh caro foglio! Oh me felice! Oh numi!
 Da qual orrido peso
 mi sento alleggerir! Figlio, consorte,
 tornate a questo sen; posso abbracciarvi
 senza tremar.
 DIRCEA
                            Che fortunato istante!
 CREUSA
1430Che teneri trasporti!
 TIMANTE
                                         a’ piedi tuoi (S’inginocchia)
 eccomi un’altra volta,
 mio giustissimo re. Scusa gli eccessi
 d’un disperato amor. Sarò, lo giuro,
 sarò miglior vassallo
1435che figlio non ti fui.
 DEMOFOONTE
                                       Sorgi; tu sei
 mio figlio ancor. Chiamami padre. Io voglio
 esserlo fin che vivo. Era finora
 obbligo il nostro amor ma quindi innanzi
 elezion sarà, nodo più forte
1440fabbricato da noi, non dalla sorte.
 CORO
 
    Par maggiore ogni diletto,
 se in un’anima si spande,
 quand’oppressa è dal timor.
 
    Qual piacer sarà perfetto,
1445se convien per esser grande
 che cominci dal dolor?
 
 
 LICENZA
 
 Che le sventure, i falli,
 le crudeltà, le violenze altrui
 servano in dì sì grande
1450di spettacol festivo agli occhi tui
 non è strano, o signor. Gli opposti oggetti
 rende più chiari il paragon. Distingue
 meglio ciascun di noi
 nel mal, che gli altri oppresse, il ben ch’ei gode;
1455e il ben che noi godiam tutto è tua lode.
 A morte una innocente
 mandi il trace inumano, ognun ripensa
 alla giustizia tua. Frema e s’irriti
 de’ miseri al pregar, rammenta ognuno
1460la tua pietà. Barbaro sia col figlio,
 ciascun qual sei conosce
 tenero padre a noi. Qualunque eccesso
 rappresentin le scene, in te ne scopre
 la contraria virtù. L’ombra in tal guisa
1465ingegnoso pennello al chiaro alterna;
 così artefice industre,
 qualor lucida gemma in oro accoglie,
 fosco color le sottopone; e quella
 presso al contrario suo splende più bella.
 
1470   Aspira a facil vanto
 chi l’ombre, onde maggior
 si renda il tuo splendor,
 trovar desia.
 
    Luce l’antica età
1475chiara così non ha
 che alla tua luce accanto
 ombra non sia.
 
 IL FINE
 
 
 
 DEMOFOONTE
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel teatro Ducale di Stutgart festeggiandosi il felicissimo giorno natalizio di sua altezza serenissima Carlo, duca regnante di Wirtemberg e Teck, etcetera, etcetera.
    La poesia è del signor abbate Pietro Metastasio, poeta cesareo. La musica è nuovamente composta dal signor Nicolò Jommelli, direttore di musica e maestro di cappella all’attual servizio di sua altezza serenissima. I balli sono inventati dal signor Giovanni Giorgio Noverre, direttore di danza e maestro de’ balli di sua altezza serenissima. Lo scenario per i balli è di nuova invenzione del signor cavalier de Servandoni. Le mutazioni di scene per l’opera sono del signor Innocente Colomba, architetto teatrale di sua altezza serenissima. Il vestiario è di nuova invenzione del signor Boquet, disegnatore di gabinetto di sua altezza serenissima.
    Stutgart, nella stamperia di Cotta, stampatore ducale, anno 1764.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Regnando Demofoonte nella Chersoneso di Tracia, consultò l’oracolo d’Apollo, per intendere quando dovesse aver fine il crudel rito già dall’oracolo istesso prescritto di sacrificare ogni anno una vergine innanzi al di lui simulacro, e n’ebbe in risposta:
 
 Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
 quando noto a sé stesso
 fia l’innocente usurpator d’un regno.
 
    Non poté il re comprenderne l’oscuro senso ed aspettando che il tempo lo rendesse più chiaro, si dispose a compire intanto l’annuo sagrificio, facendo estrarre a sorte dall’urna il nome della sventurata vergine che doveva esser la vittima. Matusio, uno de’ grandi del regno, pretese che Dircea, di cui credevasi padre, non corresse la sorte delle altre, producendo per ragione l’esempio del re medesimo che per non esporre le proprie figlie le teneva lontane di Tracia. Irritato Demofoonte dalla temerità di Matusio, ordina barbaramente che senza attendere il voto della fortuna sia tratta al sagrificio l’innocente Dircea.
    Era questa già moglie di Timante, creduto figlio ed erede di Demofoonte; ma occultavano con gran cura i consorti il loro pericoloso imeneo, per timore d’un’antica legge di quel regno che condannava a morire qualunque suddita divenisse sposa del real successore. Demofoonte, a cui erano affatto ignote le segrete nozze di Timante con Dircea, avea destinata a lui per isposa la principessa Creusa, impegnando solennemente la propria fede col re di Frigia, padre di lei. Ed in esecuzione di sue promesse, inviò il giovane Cherinto, altro suo figliuolo, a prendere e condurre in Tracia la sposa, richiamando intanto dal campo Timante che di nulla informato volò sollecitamente alla reggia. Giuntovi e compreso il pericoloso stato di sé e della sua Dircea, volle scusarsi e difenderla; ma le scuse appunto, le preghiere, le smanie e le violenze, alle quali trascorse, scopersero al sagace re il loro nascosto imeneo. Timante come colpevole d’aver disubbidito il comando paterno, nel ricusar le nozze di Creusa, e d’essersi opposto con l’armi a’ decreti reali, Dircea, come rea d’aver contravvenuto alla legge del regno nello sposarsi a Timante, son condannati a morire. Sul punto d’eseguirsi l’inumana sentenza, risentì il feroce Demofoonte i moti della paterna pietà che secondata dalle preghiere di molti gli svelsero dalle labbra il perdono. Fu avvertito Timante di così felice cambiamento; ma in mezzo a’ trasporti della sua improvvisa allegrezza, è sorpreso da chi gli scuopre, con indubitate prove, che Dircea è figlia di Demofoonte. Ed ecco l’infelice, sollevato appena dall’oppressione delle passate avversità, precipita più miseramente che mai in un abisso di confusione e d’orrore, considerandosi marito della propria germana. Pareva ormai inevitabile la sua disperazione, quando, per inaspettata via meglio informato della vera sua condizione, ritrova non esser egli il successore della corona, né il figlio di Demofoonte, ma bensì di Matusio. Tutto cambia d’aspetto. Libero Timante dal concepito orrore abbraccia la sua consorte. Trovando Demofoonte in Cherinto il vero suo erede, adempie le sue promesse destinandolo sposo alla principessa Creusa; e scoperto in Timante quell’innocente usurpatore di cui l’oracolo oscuramente parlava, resta disciolto anche il regno dall’obbligo funesto dell’annuo crudel sagrificio.
    Il luogo della scena è la reggia di Demofoonte nella Chersoneso di Tracia.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: cortile del palazzo reale nel fondo del quale, da una parte, aspetto esteriore del gran tempio di Apollo con magnifica cala per cui vi si ascende e dall’altra vista di alcune superbe fabbriche della città; orti pensili corrispondenti a diversi appartamenti della reggia; porto di mare festivamente adornato per l’arrivo della principessa di Frigia.
    Nell’atto secondo: gabinetti; portici; atrio nel tempio d’Apollo, magnifica, ma breve scala per cui si ascende al tempio medesimo, la parte interna del quale è tutta scoperta agli spettatori se non quanto ne interrompono la vista le colonne che sostengono la gran tribuna, veggonsi l’are cadute, il fuoco estinto, i sacri vasi rovesciati, i fiori, le bende, le scuri e gli altri stromenti del sagrificio sparsi per le scale e sul piano.
    Nell’atto terzo: cortile interno d’un carcere; luogo magnifico nella reggia festivamente adornato.
 
 
 INTERLOCUTORI
 
 DEMOFOONTE re di Tracia
 (il signor Arcangelo Cortoni)
 DIRCEA segreta moglie di Timante
 (la signora Maria Masi Giura)
 TIMANTE creduto principe ereditario, figlio di Demofoonte
 (il signor Giuseppe Aprile)
 CHERINTO figlio di Demofoonte, amante di Creusa
 (il signor Antonio Goti)
 MATUSIO creduto padre di Dircea
 (il signor Pietro Santi)
 CREUSA principessa di Frigia, destinata sposa di Timante
 (la signora Monaca Buonani)
 ADRASTO capitano delle guardie reali
 (il signor Francesco Ciaccheri)
 OLINTO fanciullo che non parla, figlio di Timante e di Dircea
 
 Comparse di grandi del regno, sacerdoti, donzelle frigie del seguito di Creusa, cavalieri del seguito di Creusa, paggi del seguito di Creusa, guardie reali, soldati traci, soldati frigi, marinari, popolo.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile del palazzo reale. Nel fondo del quale, da una parte aspetto esteriore del gran tempio di Apollo, con magnifica scala per cui vi si ascende, e dall’altra vista di alcune superbe fabbriche della città.
 
 DEMOFOONTE accompagnato da ADRASTO, preceduto dalle guardie reali e seguito da’ grandi del regno, discende dal tempio
 
 DEMOFOONTE
 Adrasto! Ah dunque esser può il ciel cotanto
 avido ancora d’innocente sangue!
 Sì, m’ero lusingato
 che dovesse esser questo
5il giorno fortunato
 che prescrivesse il fine al crude rito
 dall’oracol richiesto. Io volo al tempio,
 formo preghiere e voti a’ pié del nume,
 lo consulto di nuovo
10sui casi nostri orribili e funesti
 ma qual risposta, oh dio, tu l’intendesti.
 ADRASTO
 Ne mi so ancor riscuoter dall’orrore.
 Ella è oscura e crudel: ma che vuol farsi?
 Convien piegar la fronte, ove si tratta
15di un decreto divino
 e dal tempo sperar miglior destino.
 DEMOFOONTE
 Miserabil conforto! E sempre intanto
 son costretto a tremar.
 ADRASTO
                                            Per chi signor
 poiché da rito orrendo
20lontante dalla Tracia, il cielo assolve
 le figlie del monarca?
 DEMOFOONTE
 Ah, che il monarca, Adrasto,
 d’gni fedel vassallo che l’adora
 perché appunto è monarca, è padre ancora.
 ADRASTO
25Ma nella lor sventura i tuoi vassalli
 lamentarsi di te però non odi.
 Piange ciascun: ma le sue figlie all’urna
 non ricusa d’offrir. Matusio solo...
 DEMOFOONTE
 Compatirei Matusio
30come padre: ma troppo
 con pertinace orgoglio
 uguagliandosi a me troppo pretende
 e la reale maestade offende.
 So quanto può l’amor paterno e questo
35forse ingiusto mi rese allontanando
 le figlie mie... Deh quanto,
 oh figlie mi costate!... Ahi tutti veggo,
 gli obblighi di chi regna,
 ma la necessità gran cose insegna.
 
40   Per lei fra l’armi dorme il guerriero,
 Per lei fra l’armi canta il nocchiero,
 per le la morte terror non ha.
 
    Fin le più timide belve fugaci
 valor dimostrano, si fanno audaci
45quand’è il combattere necessità. (Parte, seguito da Adrasto e da tutti).
 
 SCENA II
 
 Orti pensili corrispondenti a diversi appartamenti della reggia di Demofoonte.
 
 DIRCEA e MATUSIO
 
 DIRCEA
 Credimi, o padre, il tuo soverchio affetto
 un mal dubbioso ancora
 rende sicuro. A domandar che solo
 il mio nome non vegga
50l’urna fatale, altra ragion non hai
 che il regio esempio.
 MATUSIO
                                         E ti par poco? Io forse
 perché suddito nacqui
 son men padre del re? D’Apollo il cenno
 d’una vergine illustre
55vuol che su l’are sue si sparga il sangue
 ogni anno in questo dì; ma non esclude
 le vergini reali. Ei che si mostra
 delle leggi divine
 sì rigido custode agli altri insegni
60con l’esempio costanza. A sé richiami
 le allontanate ad arte
 sue regie figlie. I nomi loro esponga
 anch’egli al caso. All’agitar dell’urna
 provi egli ancor d’un infelice padre
65come palpita il cor, come si trema
 quando al temuto vaso
 la mano accosta il sacerdote, e quando
 in sembianza funesta
 l’estratto nome a pronunziar s’appresta.
70E arrossisca una volta
 ch’abbia a toccar sempre la parte a lui
 di spettator nelle miserie altrui.
 DIRCEA
 Ma sai pur che a’ sovrani
 è suddita la legge.
 MATUSIO
75Le umane sì, non le divine.
 DIRCEA
                                                    E queste
 a lor s’aspetta interpretar.
 MATUSIO
                                                  Non quando
 parlan chiaro gli dei.
 DIRCEA
                                         Mai chiari a segno...
 MATUSIO
 Non più, Dircea. Son risoluto.
 DIRCEA
                                                        Ah meglio
 pensaci, o genitor. Già il re purtroppo
80bieco ti guarda. Ah che sarà se aggiunge
 ire novelle all’odio antico?
 MATUSIO
                                                  Invano
 l’odio di lui tu mi rammenti e l’ira;
 la ragion mi defende, il ciel m’inspira.
 
    O più tremar non voglio
85fra tanti affanni e tanti;
 o ancor chi preme il soglio
 ha da tremar con me.
 
    Ambo siam padri amanti;
 ed il paterno affetto
90parla egualmente in petto
 del suddito e del re. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DIRCEA, poi TIMANTE
 
 DIRCEA
 Se ’l mio principe almeno
 quindi lungi non fosse... Oh ciel! Che miro?
 Ei viene a me!
 TIMANTE
                              Dolce consorte...
 DIRCEA
                                                              Ah taci.
95Potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
 che qui non resta in vita
 suddita sposa a regio figlio unita.
 TIMANTE
 Non temer, mia speranza. Alcun non ode;
 io ti difendo.
 DIRCEA
                           E quale amico nume
100ti rende a me?
 TIMANTE
                              Del genitore un cenno
 mi richiama dal campo
 né la cagion ne so. Ma tu, mia vita,
 m’ami ancor? Ti ritrovo
 qual ti lasciai? Pensasti a me?
 DIRCEA
                                                         Ma come
105chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
 TIMANTE
                                                              Oh dio!
 Non dubito, ben mio, lo so che m’ami.
 Ma da quel dolce labbro
 troppo, soffrilo in pace,
 sentirlo replicar troppo mi piace.
110Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
 de’ nostri casti amori
 che fa? Cresce in bellezza?
 Ah dov’è? Sposa amata,
 guidami a lui; fa’ ch’io lo vegga.
 DIRCEA
                                                            Affrena,
115signor, per ora il violento affetto.
 In custodita parte
 egli vive celato e andarne a lui
 non è sempre sicuro. Oh quanta pena
 costa il nostro segreto!
 TIMANTE
                                           Ormai son stanco
120di finger più, di tremar sempre. Io voglio
 cercare oggi una via
 d’uscir di tante angustie.
 DIRCEA
                                                Oggi sovrasta
 altra angustia maggiore. Il giorno è questo
 dell’annuo sacrificio. Il nome mio
125sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole;
 s’oppone il padre; e della lor contesa
 temo più che del resto.
 TIMANTE
                                            È noto forse
 al padre tuo che sei mia sposa?
 DIRCEA
                                                           Il cielo
 nol voglia mai. Più non vivrei.
 TIMANTE
                                                         M’ascolta.
130Proporrò che di nuovo
 si consulti l’oracolo. Acquistiamo
 tempo a pensar.
 DIRCEA
                                 Questo è già fatto.
 TIMANTE
                                                                    E come
 rispose?
 DIRCEA
                   Oscuro e breve.
 «Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
135quando noto a sé stesso
 fia l’innocente usurpator d’un regno».
 TIMANTE
 Che tenebre son queste!
 DIRCEA
                                               E se dall’urna
 esce il mio nome, io che farò? La morte
 mio spavento non è; Dircea saprebbe
140per la patria morir. Ma Febo chiede
 d’una vergine il sangue. Io moglie e madre
 come accostarmi all’ara? O parli, o taccia
 colpevole mi rendo;
 il ciel se taccio, il re se parlo offendo.
 TIMANTE
145Sposa, ne’ gran perigli
 gran coraggio bisogna. Al re conviene
 scoprir l’arcano.
 DIRCEA
                                E la funesta legge
 che a morir mi condanna?
 TIMANTE
                                                   Un re la scrisse,
 può rivocarla un re. Benché severo
150Demofoonte è padre ed io son figlio.
 Qual forza han questi nomi
 io lo so, tu lo sai. Non torno alfine
 senza merito a lui. La Scizia oppressa,
 il soggiogato Fasi
155son mie conquiste; e qualche cosa il padre
 può fare anche per me. Se ciò non basta
 saprò dinanzi a lui
 piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
 abbracciargli le piante,
160domandargli pietà.
 DIRCEA
                                      Dubito... Oh dio!
 TIMANTE
 Non dubitar, Dircea. Lascia la cura
 a me del tuo destin. Va’. Per tua pace
 ti stia nell’alma impresso
 che a te penso, cor mio, più che a me stesso.
 DIRCEA
 
165   In te spero, o sposo amato,
 fido a te la sorte mia;
 e per te, qualunque sia,
 sempre cara a me sarà.
 
    Purché a me nel morir mio
170il piacer non sia negato
 di vantar che tua son io,
 il morir mi piacerà. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 TIMANTE e poi DEMOFOONTE con seguito; indi ADRASTO
 
 TIMANTE
 Sei pur cieca, o fortuna! Alla mia sposa
 generosa concedi
175beltà, virtù quasi divina e poi
 la fai nascer vassalla. Error sì grande
 correggerò ben io. Meco sul trono
 la Tracia un dì l’adorerà. Ma viene
 il real genitor. Più non s’asconda
180il mio segreto a lui.
 DEMOFOONTE
                                      Principe, figlio.
 TIMANTE
 Padre, signor. (S’inginocchia)
 DEMOFOONTE
                              Sorgi.
 TIMANTE
                                            I reali imperi
 eccomi ad eseguir.
 DEMOFOONTE
                                     So che non piace
 al tuo genio guerriero
 la pacifica reggia; e il cenno mio
185che ti svelle dall’armi
 forse t’incresce. I tuoi sudori ormai
 di riposo han bisogno.
 Il meritar son le tue parti; e sono
 il premiarti le mie. Se il prence, il figlio
190degnamente le sue compì finora,
 il padre, il re le sue compisca ancora.
 TIMANTE
 (Opportuno è il momento. Ardir!) Conosco
 tanto il bel cor del mio
 tenero genitor che...
 DEMOFOONTE
                                       No, non puoi
195conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,
 a te più che non credi;
 io ti leggo nell’alma e quel che taci
 intendo ancor. Con la tua sposa al fianco
 vorresti ormai che ti vedesse il regno.
200Di’, non è ver?
 TIMANTE