Ezio, libretto, Stoccarda, Cotta, 1758

 Il più pronto è il migliore. Io ti precedo;
 ardisci. Ad ogni impresa
 io sarò tuo sostegno e tua difesa. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 IARBA ed ARASPE
 
 ARASPE
380Dove corri, o signore?
 IARBA
 Il rivale a svenar.
 ARASPE
                                   Come lo speri?
 Ancora i tuoi guerrieri
 il tuo voler non sanno.
 IARBA
 Dove forza non val, giunga l’inganno.
 ARASPE
385E vuoi la tua vendetta
 con la taccia comprar di traditore?
 IARBA
 Araspe, il mio favore
 troppo ardito ti fe’. Più franco all’opre
 e men pronto ai consigli io ti vorrei.
390Chi son io ti rammenta e chi tu sei.
 
    Son quel fiume che gonfio d’umori,
 quando il gelo si scioglie in torrenti,
 selve, armenti, capanne e pastori
 porta seco e ritegno non ha.
 
395   Se si vede fra gli argini stretto,
 sdegna il letto, confonde le sponde
 e superbo fremendo sen va. (Parte con Araspe)
 
 SCENA XIV
 
 Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
 
 ENEA ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Come! Da’ labbri tuoi
 Dido saprà che abbandonar la vuoi?
400Ah! Taci per pietà
 e risparmia al suo cor questo tormento.
 ENEA
 Il dirlo è crudeltà
 ma sarebbe il tacerlo un tradimento.
 OSMIDA
 Benché costante, io spero
405che al pianto suo tu cangerai pensiero.
 ENEA
 Può togliermi di vita
 ma non può il mio dolore
 far ch’io manchi alla patria e al genitore.
 OSMIDA
 Oh generosi detti!
410Vincere i propri affetti
 avanza ogni altra gloria.
 ENEA
 Quanto costa però questa vittoria!
 
 SCENA XV
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
 Ecco il rival; né seco (Piano ad Araspe)
 è alcun de’ suoi seguaci...
 ARASPE
415Ah pensa che tu sei... (Piano a Iarba)
 IARBA
                                          Sieguimi e taci. (Come sopra)
 Così gli oltraggi miei... (Nel voler ferire Enea, trattenuto da Araspe, gli cade il pugnale ed Araspe lo raccoglie)
 ARASPE
                                             Fermati. (A Iarba)
 IARBA
                                                                Indegno, (Ad Araspe)
 al nemico in aiuto?
 ENEA
 Che tenti, anima rea? (Ad Araspe, vedendogli il pugnale)
 OSMIDA
                                            (Tutto è perduto).
 
 SCENA XVI
 
 DIDONE con guardie e detti
 
 OSMIDA
 Siam traditi, o regina. (Con affettato spavento)
420Se più tarda d’Arbace era l’aita,
 il valoroso Enea
 sotto colpo inumano oggi cadea.
 DIDONE
 Il traditor qual è, dove dimora?
 OSMIDA
 Miralo; nella destra ha il ferro ancora. (Accenna Araspe)
 DIDONE
425Chi ti destò nel seno
 sì barbaro desio?
 ARASPE
 Del mio signor la gloria e il dover mio.
 DIDONE
 Come! L’istesso Arbace
 disapprova...
 ARASPE
                           Lo so ch’ei mi condanna;
430il suo sdegno pavento;
 ma il mio non fu delitto e non mi pento.
 DIDONE
 E né meno hai rossore
 del sacrilego eccesso?
 ARASPE
 Tornerei mille volte a far l’istesso.
 DIDONE
435Ti preverrò. Ministri,
 custodite costui. (Araspe parte tra le guardie)
 ENEA
 Generoso nemico, (A Iarba)
 in te tanta virtude io non credea.
 Lascia che a questo sen...
 IARBA
                                                Scostati, Enea.
440Sappi che il viver tuo d’Araspe è dono,
 che il tuo sangue vogl’io, che Iarba io sono.
 DIDONE
 Tu Iarba!
 ENEA
                     Il re de’ Mori!
 DIDONE
 Un re sensi sì rei
 non chiude in seno; un mentitor tu sei.
445Si disarmi.
 IARBA
                        Nessuno (Snuda la spada)
 avvicinarsi ardisca o ch’io lo sveno.
 OSMIDA
 Cedi per poco almeno, (Piano a Iarba)
 finch’io genti raccolga; a me ti fida.
 IARBA
 E così vil sarò? (Piano ad Osmida)
 ENEA
                               Fermate, amici;
450a me tocca il punirlo.
 DIDONE
                                         Il tuo valore
 serba ad uopo miglior. Che più s’aspetta?
 O si renda o svenato al piè mi cada.
 OSMIDA
 Serbati alla vendetta. (Piano a Iarba)
 IARBA
                                           Ecco la spada. (Getta la spada, che viene raccolta dalle guardie, e parte fra quelle)
 DIDONE
 Frenar l’alma orgogliosa (Ad Osmida)
455tua cura sia.
 OSMIDA
                          Su la mia fé riposa. (Parte appresso Iarba)
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Enea, salvo già sei
 dalla crudel ferita.
 Per me serban gli dei sì bella vita.
 ENEA
 Oh dio, regina!
 DIDONE
                               Ancora
460forse della mia fede incerto stai?
 ENEA
 No; più funeste assai
 son le sventure mie. Vuole il destino...
 DIDONE
 Chiari i tuoi sensi esponi.
 ENEA
 Vuol... (mi sento morir) ch’io t’abbandoni.
 DIDONE
465M’abbandoni! Perché?
 ENEA
                                            Di Giove il cenno,
 l’ombra del genitor, la patria, il cielo,
 la promessa, il dover, l’onor, la fama
 alle sponde d’Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
470purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
 DIDONE
 E così fin ad ora,
 perfido, mi celasti il tuo disegno?
 ENEA
 Fu pietà.
 DIDONE
                    Che pietà? Mendace il labbro
 fedeltà mi giurava
475e intanto il cor pensava
 come lunge da me volgere il piede!
 A chi, misera me! darò più fede?
 Vil rifiuto dell’onde
 io l’accolgo dal lido; io lo ristoro
480dalle ingiurie del mar; le navi e l’armi
 già disperse io gli rendo; e gli do loco
 nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco.
 Di cento re per lui,
 ricusando l’amor, gli sdegni irrito;
485ecco poi la mercede.
 A chi, misera me! darò più fede?
 ENEA
 Finch’io viva, o Didone,
 dolce memoria al mio pensier sarai;
 né partirei giammai,
490se per voler de’ numi io non dovessi
 consacrare il mio affanno
 all’impero latino.
 DIDONE
 Veramente non hanno
 altra cura gli dei che il tuo destino.
 ENEA
495Io resterò, se vuoi
 che si renda spergiuro un infelice.
 DIDONE
 No; sarei debitrice
 dell’impero del mondo a’ figli tuoi.
 Va’ pur; siegui il tuo fato;
500cerca d’Italia il regno; all’onde, ai venti
 confida pur la speme tua; ma senti.
 Farà quell’onde istesse
 delle vendette mie ministre il cielo;
 e tardi allor pentito
505d’aver creduto all’elemento insano,
 richiamerai la tua Didone invano.
 ENEA
 Se mi vedessi il core...
 DIDONE
 Lasciami, traditore.
 ENEA
 Almen dal labbro mio
510con volto meno irato
 prendi l’ultimo addio.
 DIDONE
                                           Lasciami, ingrato.
 ENEA
 E pur con tanto sdegno
 non hai ragion di condannarmi.
 DIDONE
                                                            Indegno!
 
    Non ha ragione, ingrato,
515un core abbandonato
 da chi giurogli fé?
 
    Anime innamorate,
 se lo provaste mai,
 ditelo voi per me!
 
520   Perfido! Tu lo sai
 se in premio un tradimento
 io meritai da te.
 
    E qual sarà tormento,
 anime innamorate,
525se questo mio non è? (Parte)
 
 SCENA XVIII
 
 ENEA solo
 
 ENEA
 E soffrirò che sia
 sì barbara mercede
 premio della tua fede, anima mia!
 Tanto amor, tanti doni...
530Ah! Pria ch’io t’abbandoni,
 pera l’Italia, il mondo;
 resti in obblio profondo
 la mia fama sepolta;
 vada in cenere Troia un’altra volta.
535Ah che dissi! Alle mie
 amorose follie,
 gran genitor, perdona; io n’ho rossore.
 Non fu Enea che parlò, lo disse amore.
 Si parta... E l’empio moro
540stringerà il mio tesoro?
 No... Ma sarà frattanto
 al proprio genitor spergiuro il figlio?
 Padre, amor, gelosia, numi, consiglio!
 
    Se resto sul lido,
545se sciolgo le vele,
 infido, crudele
 mi sento chiamar.
 
    E intanto, confuso
 nel dubbio funesto,
550non parto, non resto
 ma provo il martire
 che avrei nel partire,
 che avrei nel restar. (Parte)
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Appartamenti reali con tavolino e sedia.
 
 SELENE ed ARASPE
 
 SELENE
 Chi fu che all’inumano
555disciolse le catene?
 ARASPE
 A me, bella Selene, il chiedi invano.
 Io prigioniero e reo,
 libero ed innocente in un momento
 sciolto mi vedo e sento
560fra’ lacci il mio signor; il passo muovo
 a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
 SELENE
 Ah contro Enea v’è qualche frode ordita.
 Difendi la sua vita.
 ARASPE
                                      È mio nemico;
 pur se brami che Araspe
565dall’insidie il difenda,
 tel prometto; sin qui
 l’onor mio nol contrasta;
 ma ti basti così.
 SELENE
                                Così mi basta. (In atto di partire)
 ARASPE
 Ah non toglier sì tosto
570il piacer di mirarti agli occhi miei.
 SELENE
 Perché?
 ARASPE
                  Tacer dovrei ch’io sono amante;
 ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
 SELENE
 Araspe, il tuo valore,
 il volto tuo, la tua virtù mi piace;
575ma già pena il mio cor per altra face.
 ARASPE
 Quanto son sventurato!
 SELENE
                                             È più Selene.
 Se t’accende il mio volto,
 narri almen le tue pene ed io le ascolto.
 Io l’incendio nascoso
580tacer non posso e palesar non oso.
 ARASPE
 Soffri almen la mia fede.
 SELENE
 Sì, ma da me non aspettar mercede.
 Se può la tua virtude
 amarmi a questa legge, io tel concedo;
585ma non chieder di più.
 ARASPE
                                              Di più non chiedo.
 SELENE
 
    Ardi per me fedele,
 serba nel cor lo strale
 ma non mi dir crudele,
 se non avrai mercé.
 
590   Hanno sventura eguale
 la tua, la mia costanza;
 per te non v’è speranza,
 non v’è pietà per me. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ARASPE solo
 
 ARASPE
 Tu dici ch’io non speri
595ma nol dici abbastanza;
 l’ultima che si perde è la speranza. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DIDONE con foglio in mano, OSMIDA e poi SELENE
 
 DIDONE
 Già so che si nasconde
 de’ Mori il re sotto il mentito Arbace.
 Ma, sia qual più gli piace, egli m’offese;
600e senz’altra dimora,
 o suddito o sovrano, io vuo’ che mora.
 OSMIDA
 Sempre in me de’ tuoi cenni
 il più fedele esecutor vedrai.
 DIDONE
 Premio avrà la tua fede.
 OSMIDA
605E qual premio, o regina? Adopro invano
 per te fede e valore;
 occupa solo Enea tutto il tuo core.
 DIDONE
 Taci, non rammentar quel nome odiato.
 È un perfido, è un ingrato,
610è un’alma senza legge e senza fede.
 Contro me stessa ho sdegno,
 perché finor l’amai.
 OSMIDA
 Se lo torni a mirar, ti placherai.
 DIDONE
 Ritornarlo a mirar! Per finch’io viva
615mai più non mi vedrà quell’alma rea.
 SELENE
 Teco vorrebbe Enea
 parlar, se gliel concedi.
 DIDONE
 Enea! Dov’è?
 SELENE
                            Qui presso
 che sospira il piacer di rimirarti.
 DIDONE
620Temerario! Che venga. (Selene parte) Osmida, parti.
 OSMIDA
 Io non tel dissi? Enea
 tutta del cor la libertà t’invola.
 DIDONE
 Non tormentarmi più; lasciami sola. (Osmida parte)
 
 SCENA IV
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Come! Ancor non partisti? Adorna ancora
625questi barbari lidi il grande Enea?
 E pure io mi credea
 che, già varcato il mar, d’Italia in seno
 in trionfo traessi
 popoli debellati e regi oppressi.
 ENEA
630Quest’amara favella
 mal conviene al tuo cor, bella regina.
 Del tuo, dell’onor mio
 sollecito ne vengo. Io so che vuoi
 del moro il fiero orgoglio
635con la morte punir.
 DIDONE
                                      E questo è il foglio.
 ENEA
 La gloria non consente
 ch’io vendichi in tal guisa i torti miei;
 se per me lo condanni...
 DIDONE
 Condannarlo per te! Troppo t’inganni.
640Passò quel tempo, Enea,
 che Dido a te pensò. Spenta è la face,
 è sciolta la catena
 e del tuo nome or mi rammento appena.
 ENEA
 Pensa che il re de’ Mori
645è l’orator fallace.
 DIDONE
 Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
 ENEA
 Oh dio! Con la sua morte
 tutta contro di te l’Africa irriti.
 DIDONE
 Consigli or non desio;
650tu provvedi a’ tuoi regni, io penso al mio.
 Senza di te finor leggi dettai;
 sorger senza di te Cartago io vidi.
 Felice me, se mai
 tu non giungevi, ingrato, a questi lidi!
 ENEA
655Se sprezzi il tuo periglio,
 donalo a me; grazia per lui ti chieggio.
 DIDONE
 Sì, veramente io deggio
 il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
 A sì fedele amante,
660ad eroe sì pietoso, a’ giusti prieghi
 di tanto intercessor nulla si nieghi. (Va al tavolino)
 Inumano! Tiranno! È forse questo
 l’ultimo dì che rimirar mi dei;
 vieni sugli occhi miei;
665sol d’Arbace mi parli e me non curi!
 T’avessi pur veduto
 d’una lagrima sola umido il ciglio!
 Uno sguardo, un sospiro,
 un segno di pietade in te non trovo;
670e poi grazie mi chiedi?
 Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?
 Perché tu lo vuoi salvo, io vuo’ che mora. (Soscrive)
 ENEA
 Idol mio, che pur sei
 ad onta del destin l’idolo mio,
675che posso dir? Che giova
 rinnovar co’ sospiri il tuo dolore?
 Ah! Se per me nel core
 qualche tenero affetto avesti mai,
 placa il tuo sdegno e rasserena i rai.
680Quell’Enea tel domanda
 che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,
 quel che finora amasti
 più della vita tua, più del tuo soglio,
 quello...
 DIDONE
                  Basta; vincesti; eccoti il foglio.
685Vedi quanto t’adoro ancora ingrato!
 Con un tuo sguardo solo
 mi togli ogni difesa e mi disarmi.
 Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
 
    Ah! Non lasciarmi, no,
690bell’idol mio;
 di chi mi fiderò,
 se tu m’inganni?
 
    Di vita mancherei
 nel dirti addio,
695che viver non potrei
 fra tanti affanni. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ENEA, poi IARBA
 
 ENEA
 Io sento vacillar la mia costanza
 a tanto amore appresso;
 e mentre salvo altrui, perdo me stesso.
 IARBA
700Che fa l’invitto Enea? Gli veggo ancora
 del passato timore i segni in volto.
 ENEA
 Iarba da’ lacci è sciolto!
 Chi ti diè libertà?
 IARBA
                                    Permette Osmida
 che per entro la reggia io mi raggiri;
705ma vuol ch’io vada errando
 per sicurezza tua senza il mio brando.
 ENEA
 Così tradisce Osmida
 il comando real?
 IARBA
                                 Dimmi, che temi?
 Ch’io fuggendo m’involi a queste mura?
710Troppo vi resterò per tua sventura.
 ENEA
 La tua sorte presente
 fa pietà, non timore.
 IARBA
 Risparmia al tuo gran core
 questa pietà. D’una regina amante
715tenta pure a mio danno,
 cerca pur d’irritar gli sdegni insani.
 Con altr’armi non sanno
 le offese vendicar gli eroi troiani.
 ENEA
 Leggi. La regal donna in questo foglio
720la tua morte segnò di propria mano.
 Se Enea fosse africano,
 Iarba estinto saria. Prendi ed impara,
 barbaro, discortese,
 come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio e parte)
 
 SCENA VI
 
 IARBA solo
 
 IARBA
725Così strane venture io non intendo.
 Pietà nel mio nemico,
 infedeltà nel mio seguace io trovo.
 Ah forse a danno mio
 l’uno e l’altro congiura.
730Ma di lor non ho cura.
 Pietà finga il rivale,
 sia l’amico fallace,
 non sarà di timor Iarba capace.
 
    Fosca nube il sol ricopra
735o si scopra il ciel sereno,
 non si cangia il cor nel seno,
 non si turba il mio pensier.
 
    Le vicende della sorte
 imparai con alma forte
740dalle fasce a non temer. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 Atrio.
 
 ENEA, poi ARASPE
 
 ENEA
 Fra il dovere e l’affetto
 ancor dubbioso in petto ondeggia il core.
 Purtroppo il mio valore
 all’impero servì d’un bel sembiante.
745Ah una volta l’eroe vinca l’amante.
 ARASPE
 Di te finora in traccia
 scorsi la reggia.
 ENEA
                               Amico,
 vieni fra queste braccia.
 ARASPE
 Allontanati, Enea; son tuo nemico.
750Snuda, snuda quel ferro;
 guerra con te, non amicizia io voglio.
 ENEA
 Tu di Iarba all’orgoglio
 prima m’involi e poi
 guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?
 ARASPE
755T’inganni. Allor difesi
 la gloria del mio re, non la tua vita.
 Con più nobil ferita
 rendergli a me s’aspetta
 quella, che tolsi a lui, giusta vendetta.
 ENEA
760Enea stringer l’acciaro
 contro il suo difensore!
 ARASPE
                                             Olà, che tardi?
 ENEA
 La mia vita è tuo dono,
 prendila pur se vuoi; contento io sono.
 Ma ch’io debba a tuo danno armar la mano,
765generoso guerrier, lo speri invano.
 ARASPE
 Se non impugni il brando,
 a ragion ti dirò codardo e vile.
 ENEA
 Questa ad un cor virile
 vergognosa minaccia Enea non soffre.
770Ecco per soddisfarti io snudo il ferro.
 Ma prima i sensi miei
 odan gli uomini tutti, odan gli dei.
 Io son d’Araspe amico;
 io debbo la mia vita al suo valore.
775Ad onta del mio core
 discendo al gran cimento,
 di codardia tacciato;
 e per non esser vil, mi rendo ingrato. (In atto di battersi)
 
 SCENA VIII
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
 Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate.
780Così mi serbi fé? Così difendi,
 Araspe traditor, d’Enea la vita?
 ENEA
 No, principessa, Araspe
 non ha di tradimenti il cor capace.
 SELENE
 Chi di Iarba è seguace
785esser fido non può.
 ARASPE
                                      Bella Selene,
 puoi tu sola avanzarti
 a tacciarmi così.
 SELENE
                                 T’accheta e parti.
 ARASPE
 
    Tacerò, se tu lo brami;
 ma fai torto alla mia fede,
790se mi chiami traditor.
 
    Porterò lontano il piede;
 ma di questi sdegni tuoi
 so che poi tu avrai rossor. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 SELENE ed ENEA
 
 ENEA
 Allorché Araspe a provocar mi venne,
795del suo signor sostenne
 le ragioni con me. La sua virtude
 se condannar pretendi,
 troppo quel core ingiustamente offendi.
 SELENE
 Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo
800di favellar di lui. Brama Didone
 teco parlar.
 ENEA
                        Poc’anzi
 dal suo real soggiorno io trassi il piede.
 Se di nuovo mi chiede
 ch’io resti in questa arena,
805invan s’accrescerà la nostra pena.
 SELENE
 Come fra tanti affanni,
 cor mio, chi t’ama abbandonar potrai?
 ENEA
 Selene, a me cor mio?
 SELENE
 È Didone che parla e non son io.
 ENEA
810Se per la tua germana
 così pietosa sei,
 non curar più di me, ritorna a lei.
 Dille che si consoli,
 che ceda al fato e rassereni il ciglio.
 SELENE
815Ah no! Cangia, mio ben, cangia consiglio.
 ENEA
 Tu mi chiami tuo bene?
 SELENE
 È Didone che parla e non Selene.
 Vieni e l’ascolta. È l’unico conforto
 ch’ella implora da te.
 ENEA
                                         D’un core amante
820quest’è il solito inganno;
 va cercando conforto e trova affanno.
 
    Tormento il più crudele
 d’ogni crudel tormento
 è il barbaro momento
825che in due divide un cor.
 
    È affanno sì tiranno
 che un’alma nol sostiene.
 Ah! Nol provar, Selene,
 se nol provasti ancor. (Parte)
 
 SCENA X
 
 SELENE sola
 
 SELENE
830Stolta! Per chi sospiro? Io senza speme
 perdo la pace mia. Ma chi mi sforza
 invano a sospirar? Scelgasi un core
 più grato a’ voti miei. Scelgasi un volto
 degno d’amor. Scelgasi... Oh dio! La scelta
835nostro arbitrio non è. Non è bellezza,
 non è senno o valore
 che in noi risvegli amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s’adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
840la fiamma sua ma poche volte è vero.
 
    Ogni amator suppone
 che della sua ferita
 sia la beltà cagione
 ma la beltà non è.
 
845   È un bel desio che nasce
 allor che men s’aspetta;
 si sente che diletta
 ma non si sa perché. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 Gabinetto con sedie.
 
 DIDONE, poi ENEA
 
 DIDONE
 Incerta del mio fato
850io più viver non voglio. È tempo ormai
 che per l’ultima volta Enea si tenti.
 Se dirgli i miei tormenti,
 se la pietà non giova,
 faccia la gelosia l’ultima prova.
 ENEA
855Ad ascoltar di nuovo