Ezio, libretto, Stoccarda, Cotta, 1758

 i rimproveri tuoi vengo, o regina.
 So che vuoi dirmi ingrato,
 perfido, mancator, spergiuro, indegno;
 chiamami come vuoi; sfoga il tuo sdegno.
 DIDONE
860No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
 perfido, mancator più non ti chiamo;
 rammentarti non bramo i nostri ardori;
 da te chiedo consigli e non amori.
 Siedi. (Siedono)
 ENEA
                (Che mai dirà?)
 DIDONE
                                                Già vedi, Enea,
865che fra nemici è il mio nascente impero.
 Sprezzai finora, è vero,
 le minacce e ’l furor; ma Iarba offeso,
 quando priva sarò del tuo sostegno,
 mi torrà per vendetta e vita e regno.
870In così dubbia sorte
 ogni rimedio è vano;
 deggio incontrar la morte
 o al superbo african porger la mano.
 L’uno e l’altro mi spiace e son confusa.
875Alfin femmina e sola,
 lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio;
 e non è meraviglia
 s’io risolver non so; tu mi consiglia.
 ENEA
 Dunque fuor che la morte
880o il funesto imeneo,
 trovar non si potria scampo migliore?
 DIDONE
 V’era purtroppo.
 ENEA
                                  E quale?
 DIDONE
 Se non sdegnava Enea d’esser mio sposo,
 l’Africa avrei veduta
885dall’arabico seno al mar d’Atlante
 in Cartago adorar la sua regnante;
 e di Troia e di Tiro
 rinnovar si potea... Ma che ragiono?
 L’impossibil mi fingo e folle io sono.
890Dimmi, che far degg’io? Con alma forte,
 come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
 ENEA
 Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
 Colei che tanto adoro
 all’odiato rival vedere in braccio!
895Colei...
 DIDONE
                 Se tanta pena
 trovi nelle mie nozze, io le ricuso;
 ma, per tormi agl’insulti,
 necessario è il morir. Stringi quel brando;
 svena la tua fedele;
900è pietà con Didone esser crudele.
 ENEA
 Ch’io ti sveni? Ah! Più tosto
 cada sopra di me del ciel lo sdegno;
 prima scemin gli dei,
 per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
 DIDONE
905Dunque a Iarba mi dono. Olà. (Esce un paggio)
 ENEA
                                                          Deh ferma.
 Troppo, oh dio! per mia pena
 sollecita tu sei.
 DIDONE
                              Dunque mi svena.
 ENEA
 No, si ceda al destino; a Iarba stendi
 la tua destra real. Di pace priva
910resti l’alma d’Enea, purché tu viva.
 DIDONE
 Giacché d’altri mi brami,
 appagarti saprò. Iarba si chiami. (Il paggio parte)
 Vedi quanto son io
 ubbidiente a te.
 ENEA
                                Regina, addio. (S’alzano)
 DIDONE
915Dove, dove? T’arresta.
 Del felice imeneo
 ti voglio spettatore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core).
 
 SCENA XII
 
 IARBA e detti
 
 IARBA
 Didone, a che mi chiedi?
920Sei folle se mi credi
 dall’ira tua, da tue minacce oppresso.
 Non si cangia il mio cor; sempre è l’istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno, o signor. Tu, col tacermi
925il tuo grado e il tuo nome,
 a gran rischio esponesti il tuo decoro.
 Ed io... Ma qui t’assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t’ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
930Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi.
 Troppo lunghe non fian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core).
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna, ha da partir costui.
 ENEA
935(Ed io lo soffro?)
 DIDONE
                                  In lui
 invece d’un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò; per suo consiglio io t’amo.
 Se credi menzognero
940il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
 ENEA
                                                       È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de’ Mori
 altro merto non v’è che un suo consiglio?
 DIDONE
 No, Iarba; in te mi piace
 quel regio ardir che ti conosco in volto;
945amo quel cor sì forte,
 sprezzator de’ perigli e della morte.
 E se il ciel mi destina
 tua compagna e tua sposa...
 ENEA
                                                    Addio, regina.
 Basta che fin ad ora
950t’abbia ubbidito Enea.
 DIDONE
                                            Non basta ancora.
 Siedi per un momento.
 (Comincia a vacillar).
 ENEA
                                          (Questo è tormento!) (Torna a sedere)
 IARBA
 Troppo tardi, o Didone,
 conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
955donar gli oltraggi miei
 tutti alla tua beltà.
 ENEA
                                    (Che pena, o dei!)
 IARBA
 In pegno di tua fede
 dammi dunque la destra.
 DIDONE
                                                 Io son contenta. (Lentamente ed interrompendo le parole, per osservarne l’effetto in Enea)
 A più gradito laccio amor pietoso
960stringer non mi potea.
 ENEA
 Più soffrir non si può. (S’alza agitato)
 DIDONE
                                            Qual ira, Enea?
 ENEA
 E che vuoi? Non ti basta
 quanto finor soffrì la mia costanza?
 DIDONE
 Eh taci.
 ENEA
                  Che tacer? Tacqui abbastanza.
965Vuoi darti al mio rivale,
 brami ch’io tel consigli;
 tutto faccio per te; che più vorresti?
 Ch’io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
 Dimmi che mi vuoi morto e non ch’io taccia.
 DIDONE
970Odi. A torto ti sdegni. (S’alza)
 Sai che per ubbidirti...
 ENEA
                                            Intendo, intendo;
 io sono il traditor, son io l’ingrato;
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio;
975ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 DIDONE e IARBA
 
 DIDONE
 Senti.
 IARBA
               Lascia che parta. (S’alza)
 DIDONE
                                                I suoi trasporti
 a me giova calmar.
 IARBA
                                     Di che paventi?
 Dammi la destra e mia
 di vendicarti poi la cura sia.
 DIDONE
980D’imenei non è tempo.
 IARBA
 Perché?
 DIDONE
                  Più non cercar.
 IARBA
                                                Saperlo io bramo.
 DIDONE
 Giacché vuoi, tel dirò: perché non t’amo,
 perché mai non piacesti agli occhi miei,
 perché odioso mi sei, perché mi piace,
985più che Iarba fedele, Enea fallace.
 IARBA
 Dunque, perfida, io sono
 un oggetto di riso agli occhi tuoi!
 Ma sai chi Iarba sia?
 Sai con chi ti cimenti?
 DIDONE
990So che un barbaro sei né mi spaventi.
 IARBA
 
    Chiamami pur così.
 Forse pentita un dì
 pietà mi chiederai
 ma non l’avrai da me.
 
995   Quel barbaro che sprezzi
 non placheranno i vezzi;
 né soffrirà l’inganno
 quel barbaro da te. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 DIDONE sola
 
 DIDONE
 E pure in mezzo all’ire
1000trova pace il mio cor. Iarba non temo;
 mi piace Enea sdegnato ed amo in lui,
 come effetti d’amor, gli sdegni sui.
 Chi sa. Pietosi numi,
 rammentatevi almeno
1005che foste amanti un dì come son io;
 ed abbia il vostro cor pietà del mio.
 
    Va lusingando amore
 il credulo mio core;
 gli dice: «Sei felice»;
1010ma non sarà così.
 
    Per poco mi consolo;
 ma più crudele io sento
 poi ritornar quel duolo
 che sol per un momento
1015dall’alma si partì. (Parte)
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Porto di mare con navi per l’imbarco di Enea.
 
 ENEA con seguito di troiani
 
 ENEA
 Compagni invitti, a tollerare avvezzi
 e del cielo e del mar gl’insulti e l’ire,
 destate il vostro ardire,
 che per l’onda infedele
1020è tempo già di rispiegar le vele.
 Andiamo, amici, andiamo.
 Ai troiani navigli
 fremano pur venti e procelle intorno;
 saran glorie i perigli;
1025e dolce fia di rammentarli un giorno.
 
 SCENA II
 
 IARBA con seguito di mori e detti
 
 IARBA
 Dove rivolge, dove
 quest’eroe fuggitivo i legni e l’armi?
 Vuol portar guerra altrove?
 O da me col fuggir cerca lo scampo?
 ENEA
1030Ecco un novello inciampo.
 IARBA
 Per un momento il legno
 può rimaner sul lido.
 Vieni, se hai cor; meco a pugnar ti sfido.
 ENEA
 Vengo. Restate, amici, (Alle sue genti)
1035che ad abbassar quel temerario orgoglio
 altri che il mio valor meco non voglio.
 Eccomi a te. Che pensi?
 IARBA
 Penso che all’ira mia
 la tua morte sarà poca vendetta.
 ENEA
1040Per ora a contrastarmi
 non fai poco se pensi. All’armi.
 IARBA
                                                          All’armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
 ENEA
 Venga tutto il tuo regno.
 IARBA
 Difenditi, se puoi.
 ENEA
                                    Non temo, indegno. (I compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri li sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba che cade)
 Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi
1045o trafiggo quel core.
 IARBA
                                       Invan lo chiedi.
 ENEA
 Se al vincitor sdegnato
 non domandi pietà...
 IARBA
                                         Siegui il tuo fato.
 ENEA
 Sì, mori... Ma che fo? No, vivi. Invano
 tenti il mio cor con quell’insano orgoglio.
1050No; la vittoria mia macchiar non voglio. (Parte)
 IARBA
 Son vinto sì ma non oppresso. Almeno
 oggetto all’ire tue, sorte incostante,
 Iarba sol non sarà.
 
    La caduta d’un regnante
1055tutto un regno opprimerà. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Arborata tra la città e il porto.
 
 OSMIDA solo
 
 OSMIDA
 Già di Iarba in difesa
 lo stuol de’ mori a queste mura è giunto.
 Ecco vicino il punto
 della grandezza mia. D’essere infido
1060ad una donna ingrata
 no, non sento rossor. Così punisco
 l’ingiustizia di lei che mai non diede
 un premio alla mia fede.
 
 SCENA IV
 
 IARBA frettoloso, con seguito, e detto
 
 IARBA
 Seguitemi, o compagni;
1065alla reggia, alla reggia. (Passa davanti Osmida senza vederlo)
 OSMIDA
                                            Odi, signore;
 le tue schiere son pronte; è tempo alfine
 che vendichi i tuoi torti.
 IARBA
                                               Amici, andiamo; (Senza dare orecchio ad Osmida)
 non soffre indugi il mio furor. (In atto di partire)
 OSMIDA
                                                          T’arresta.
 IARBA
 Che vuoi? (Con isdegno)
 OSMIDA
                       Deh non scordarti
1070che deve alla mia fede
 l’amor tuo vendicato una mercede.
 IARBA
 È giusto; anzi preceda
 la tua mercede alla vendetta mia.
 OSMIDA
 Generoso monarca...
 IARBA
                                        Olà, costui
1075si disarmi, s’annodi e poi s’uccida. (In atto di partire)
 OSMIDA
 Come! Questo ad Osmida?
 Qual ingiusto furore...
 IARBA
 Quest’è il premio dovuto a un traditore. (Parte seguito da’ suoi, a riserva di pochi che restano ad eseguire il comando)
 
 SCENA V
 
 ENEA con seguito di troiani e detti
 
 ENEA
 Siam tutti alfin raccolti. Alcun non manca (Uscendo Enea fuggono i mori e lasciano legato ad un albero Osmida)
1080de’ dispersi compagni. E ben si tronchi
 ogni dimora alfin. Sereno è il cielo;
 l’aure e l’onde son chiare;
 alle navi, alle navi; al mare, al mare.
 OSMIDA
 Invitto eroe.
 ENEA
                          Che avvenne?
 OSMIDA
                                                      In questo stato
1085Iarba, il barbaro re...
 ENEA
                                         Comprendo. Amici,
 si ponga Osmida in libertà. (I troiani vanno a sciogliere Osmida) (L’indegno
 da chi men può sperarlo abbia soccorso
 ed apprenda virtù dal suo rimorso).
 OSMIDA
 Ah lascia, eroe pietoso, (S’inginocchia)
1090che grato a sì gran don...
 ENEA
                                               Sorgi ed altrove
 rivolgi i passi tuoi.
 OSMIDA
 Grato a virtù sì rara...
 ENEA
 Se grato esser mi vuoi,
 ad esser fido un’altra volta impara.
 OSMIDA
 
1095   Quando l’onda, che nasce dal monte,
 al suo fonte ritorni dal prato,
 sarò ingrato a sì bella pietà.
 
    Fia del giorno la notte più chiara,
 se a scordarsi quest’anima impara
1100di quel braccio che vita mi dà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 ENEA e SELENE frettolosa
 
 ENEA
 Principessa, ove corri?
 SELENE
                                            A te. M’ascolta.
 ENEA
 Se brami un’altra volta
 rammentarmi l’amor, t’adopri invano.
 SELENE
 Ma che farà Didone?
 ENEA
                                         Al partir mio
1105manca ogni suo periglio.
 La mia presenza i suoi nemici irrita.
 Iarba al trono l’invita;
 stenda a Iarba la destra e si consoli. (In atto di partire)
 SELENE
 Senti; se a noi t’involi,
1110non sol Didone, ancor Selene uccidi.
 ENEA
 Come?
 SELENE
                 Dal dì ch’io vidi il tuo sembiante,
 celai timida amante
 l’amor mio, la mia fede;
 ma vicina a morir chiedo mercede,
1115mercé, se non d’amore,
 almeno di pietà, mercé...
 ENEA
                                                Selene,
 ormai più del tuo foco
 non mi parlar né degli affetti altrui.
 Non più amante qual fui, guerriero or sono.
1120Torno al costume antico.
 Chi trattien le mie glorie è mio nemico.
 
    A trionfar mi chiama
 un bel desio d’onore;
 e già sopra il mio core
1125comincio a trionfar.
 
    Con generosa brama,
 fra i rischi e le ruine,
 di nuovi allori il crine
 io volo a circondar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SELENE sola
 
 SELENE
1130Sprezzar la fiamma mia,
 togliere alla mia fede ogni speranza
 esser vanto potria di tua costanza;
 ma se né pur consenti
 che sfoghi i suoi tormenti un core amante,
1135ah! sei barbaro, Enea, non sei costante.
 
    Io d’amore, oh dio! mi moro
 e mi niega il mio tiranno
 anche il misero ristoro
 di lagnarmi e poi morir.
 
1140   Che costava a quel crudele
 l’ascoltar le mie querele
 e donare a tanto affanno
 qualche tenero sospir! (Parte)
 
 SCENA VIII
 
  Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s’incendia.
 
 DIDONE e poi OSMIDA
 
 DIDONE
 
    Va crescendo il mio tormento;
1145io lo sento e non l’intendo;
 giusti dei, che mai sarà!
 
 OSMIDA
 Deh regina, pietà!
 DIDONE
                                    Che rechi, amico?
 OSMIDA
 Ah no, così bel nome
 non merta un traditore,
1150d’Enea, di te nemico e del tuo amore.
 DIDONE
 Come!
 OSMIDA
                Con la speranza
 di posseder Cartago,
 m’offersi a Iarba; ei m’accettò; si valse
 finor di me; poi per mercé volea
1155l’empio svenarmi; e mi difese Enea.
 DIDONE
 Reo di tanto delitto hai fronte ancora
 di presentarti a me?
 OSMIDA
                                        Sì, mia regina. (S’inginocchia)
 Tu vedi un infelice
 che non spera il perdono e nol desia;
1160chiedo a te per pietà la pena mia.
 DIDONE
 Sorgi. Quante sventure!
 Misera me, sotto qual astro io nacqui!
 Manca ne’ miei più fidi...
 
 SCENA IX
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                                 Oh dio, germana!
 Alfine Enea...
 DIDONE
                            Partì?
 SELENE
                                          No, ma fra poco
1165le vele scioglierà da’ nostri lidi.
 Or ora io stessa il vidi
 verso i legni fugaci
 sollecito condurre i suoi seguaci.
 DIDONE
 Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei!
1170Un esule infelice...
 Un mendico stranier... Ditemi voi
 se più barbaro cor vedeste mai?
 E tu, cruda Selene,
 partir lo vedi ed arrestar nol sai?
 SELENE
1175Fu vana ogni mia cura.
 DIDONE
 Vanne, Osmida; e procura
 che resti Enea per un momento solo.
 M’ascolti; e parta.
 OSMIDA
                                    Ad ubbidirti io volo. (Parte)
 
 SCENA X
 
 DIDONE e SELENE
 
 SELENE
 Ah non fidarti; Osmida
1180tu non conosci ancor.
 DIDONE
                                         Lo so purtroppo.
 A questo eccesso è giunta
 la mia sorte tiranna;
 deggio chiedere aita a chi m’inganna.
 SELENE
 Non hai, fuor che in te stessa, altra speranza.
1185Vanne a lui, prega e piangi;
 chi sa, forse potrai vincer quel core.
 DIDONE
 Alle preghiere, ai pianti