Il filosofo di campagna, libretto, Vienna, Ghelen, 1763

 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
380Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
 conosciuto a dirittura;
 delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
385Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
390Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
395(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, se io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
400che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua,
 saprete cos’è.
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
405   Vuo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente;
 finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
410ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
415vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io v’abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
420Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’essere amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato).
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
425il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
430Che volete voi qui? (A Lena)
 LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
435La vedrai. È una stella.
 LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
440che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
445ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
450risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Uscendo)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
455dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
460Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto, il genitore.
 
 NARDO
 
 Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra per dove è venuta)
 
 NARDO
 
465   Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
470chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo;
 oh che smania in sen io provo!
 Dove, diavolo, sarà?
 
 NARDO, LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
475   L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO, LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
480Dov’è andata?
 
 LENA
 
                             È andata là. (L’accenna)
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra)
 
 NARDO
 
    Superare il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LENA
 
485Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
 il rispetto con l’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
490via porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco, ve lo do. (Le dà l’anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
495Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Entra, come prima)
 
 NARDO
 
    Caso raro, caso bello!
 
 LENA
 
500Una sposa coll’anello
 ha rossor... del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO, LENA
 
                              Ah ah ah. (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO, LENA
 
                        È stata qua.
 
 LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
505E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 NARDO, LENA
 
                       Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 NARDO, LENA
 
                        Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
510che la sposa vergognosa
 alla fin si cangerà;
 e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 LESBINA
 Venite qui, signora padroncina;
515tenete questo anello,
 ponetevelo in dito,
 fate che il genitore ve lo veda;
 lasciate che la sposa egli vi creda.
 EUGENIA
 Tu m’imbrogli, Lesbina, e non vorrei...
 LESBINA
520Se de’ consigli miei
 vi volete servir, per voi qui sono.
 Quando no, vel protesto, io v’abbandono.
 EUGENIA
 Deh non mi abbandonare, ordina, imponi;
 senza cercar ragioni
525lo farò ciecamente;
 ti sarò, non temer, tutta ubbidiente.
 LESBINA
 Quest’anello tenete,
 quel che seguì saprete;
 e quel che seguirà
530regola in avvenir ci porgerà.
 EUGENIA
 Ecco mio padre.
 LESBINA
                                 Presto;
 ponetevelo al dito.
 EUGENIA
 Una sposa son io senza marito. (Si mette l’anello)
 
 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 A che gioco giochiamo? (Ad Eugenia)
535Corro, ti cerco e chiamo,
 mi fuggi e non rispondi?
 Quando vengo da te, perché ti ascondi?
 EUGENIA
 Perdonate, signore...
 LESBINA
                                        La poveretta
 è un pochin ritrosetta.
 DON TRITEMIO
                                           Oh bella affé,
540si vergogna di me, poi collo sposo
 il suo cuore non è più vergognoso.
 LESBINA
 Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
 cotali maraviglie.
 Soglion tutte le figlie,
545ch’ardon in sen d’amore,
 la modestia affettar col genitore.
 DON TRITEMIO
 Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
 dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
 LESBINA
                                        Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Parlo teco; rispondi. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                         Eccolo qui. (Gli mostra l’anello)
 DON TRITEMIO
550Capperi! È bello assai.
 Non mi credevo mai
 che Nardo avesse di tai gioie in dito.
 Vedi se t’ho trovato un buon marito?
 EUGENIA
 (Misera me, se tal mi fosse!)
 DON TRITEMIO
                                                       Oh via,
555codesta ritrosia scaccia dal petto;
 queste smorfie oramai mi fan dispetto.
 LESBINA
 Amabile sposina,
 mostrate la bocchina un po’ ridente.
 EUGENIA
 Qualche volta Lesbina è impertinente.
 DON TRITEMIO
560È picchiato, mi par.
 LESBINA
                                       Vedrò chi sia.
 Ehi, badate di non far qualche pazzia. (Piano ad Eugenia e parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, EUGENIA, poi LESBINA che torna
 
 EUGENIA
 (È molto s’io resisto).
 DON TRITEMIO
 Affé non ho mai visto
 una donna di te più scimunita.
565Figlia, chi si marita
 suol esser lieta, al suo gioir condotta;
 e tu stai lì che pari una marmotta?
 EUGENIA
 Che volete ch’io dica?
 DON TRITEMIO
                                          Parla o taci,
 non me ne importa più.
570Sposati e in avvenir pensaci tu.
 LESBINA
 Signor, è un cavaliero
 col notar della villa in compagnia
 che brama riverir vossignoria.
 DON TRITEMIO
 Vengano. (Col notaro!
575Qualchedun ha bisogno di danaro).
 LESBINA
 (È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
 d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
 EUGENIA
                                        (Andiam, Lesbina).
 Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                          Va’ pure.
 EUGENIA
                                             Ahi me, meschina! (Eugenia parte con Lesbina)
 
 SCENA IV
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO e CAPOCCHIO notaro
 
 DON TRITEMIO
 Se denaro vorrà, ghe ne darò,
580purché sicuro sia con fondamento.
 E che almeno mi paghi il sei per cento.
 Ma che vedo? È colui
 che m’ha chiesto la figlia. Or che pretende?
 Col notaro che vuol? Che fare intende?
 RINALDO
585Compatite, signor...
 DON TRITEMIO
                                       La riverisco.
 RINALDO
 Compatite se ardisco
 replicarvi l’incommodo. Temendo
 che non siate di me ben persuaso,
 ho condotto il notaro,
590il qual patente e chiaro
 di me vi mostrerà
 titolo, parentele e facoltà.
 DON TRITEMIO
 (È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco, signore,
 l’istrumento rogato
595di un ricco marchesato;
 ecco l’albero suo, da cui si vede
 che per retto cammino
 vien l’origine sua dal re Pipino.
 DON TRITEMIO
 Oh capperi! Che vedo?
600Questa è una cosa bella in verità;
 ma della nobiltà, signor mio caro,
 come andiamo del par con il danaro?
 RINALDO
 Mostrategli i poderi,
 mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
605Questi sono istromenti
 e di compre e di censi e di livelli,
 questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’istrumenti antichi)
 
    Nel Quattrocento
 sei possessioni,
610nel Cinquecento
 quattro valloni.
 Anno millesimo
 una duchea.
 Milletrentesimo
615una contea
 emit etcaetera.
 
    Case e casoni,
 giurisdizioni,
 frutti annuali,
620censi e cambiali.
 Sic etcaetera,
 cum etcaetera.
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO e RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 La riverisco, etcaetera.
 Vada signor notaro a farsi etcaetera.
 RINALDO
625Ei va per ordin mio
 a prender altri fogli, altri capitoli,
 per provarvi di me lo stato e i titoli.
 DON TRITEMIO
 Sì sì, la vostra casa
 ricca, nobile, grande ognora fu;
630credo quel che mi dite e ancor di più.
 RINALDO
 Dunque di vostra figlia
 mi credete voi degno?
 DON TRITEMIO
                                           Anzi degnissimo.
 RINALDO
 Le farò contradote.
 DON TRITEMIO
                                     Obbligatissimo.
 RINALDO
 Me l’accordate voi?
 DON TRITEMIO
                                      Per verità
635v’è una difficoltà.
 RINALDO
                                   Da che dipende?
 DON TRITEMIO
 Ho paura che lei...
 RINALDO
                                    Chi?
 DON TRITEMIO
                                                La figliuola...
 RINALDO
 D’Eugenia non pavento.
 DON TRITEMIO
 Quando lei possa farlo, io son contento.
 RINALDO
 Ben, vi prendo in parola.
 DON TRITEMIO
640Chiamerò la figliuola.
 S’ella non fosse in caso,
 del mio buon cuor sarete persuaso.
 RINALDO
 Sì, chiamatela pur, contento io sono;
 se da lei son escluso, io vi perdono.
 DON TRITEMIO
645Bravo. Un uomo di ragion si loda e stima.
 S’ella non vuole, amici come prima.
 
    Io son di tutti amico,
 son vostro servitor.
 Un uomo di buon cuor
650conoscerete in me.
 
    La chiamo subito,
 verrà ma dubito,
 sconvolta trovisi
 da un non so che;
 
655   farò il possibile
 pel vostro merito,
 che per i titoli,
 per i capitoli
 anche in preterito
660famoso egli è.
 
 SCENA VI
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO ed EUGENIA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
 di sua man, del suo cor certo son io.
 Veggola che ritorna
 col genitore allato;
665della gioia vicino è il dì beato.
 DON TRITEMIO
 Eccola qui; vedete se son io
 un galantuomo.
 RINALDO
                                Ognor tal vi credei,
 benché foste nemico ai desir miei.
 DON TRITEMIO
 Eugenia, quel signore
670ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
 EUGENIA
 Tra le donne felici
 la più lieta sarò, padre amoroso,
 se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
 DON TRITEMIO
 Brava, figliuola mia,
675il rossor questa volta è andato via.
 RINALDO
 L’udiste? Ah non tardate (A don Tritemio)
 entrambi a consolare.
 EUGENIA
                                          E pur pavento...
 RINALDO
 Ogni timor è vano;
 in faccia al genitor mi dia la mano.
 DON TRITEMIO
680La mano? In verità
 s’ha da far; s’ha da far... se si potrà.
 Dammi la destra tua. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                           Eccola. (Don Tritemio le prende la mano)
 DON TRITEMIO
                                                          A voi. (Chiede la mano a Rinaldo)
 Prendetela... bello,
 che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
685Ora che mi ricordo,
 Nardo con quell’anello la sposò;
 e due volte sposarla non si può.
 RINALDO
 Come!
 DON TRITEMIO
                Non è così? (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                       Sposa non sono.
 DON TRITEMIO
 Ma se l’anello in dono
690prendesti già delle tue nozze in segno,
 non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
 Voi che dite, signor? (A Rinaldo)
 RINALDO
                                         Dico che tutti,
 perfidi, m’ingannate,
 che di me vi burlate e che son io
695bersaglio del destin barbaro e rio.
 DON TRITEMIO
 La colpa non è mia.
 EUGENIA
                                      Tacer non posso;
 udite; ah svelar deggio
 l’arcano onde ingannato...
 
 SCENA VII
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 Signor padron, voi siete domandato. (A don Tritemio)
 EUGENIA
700Ci mancava costui.
 DON TRITEMIO
                                     Chi è, chi mi vuole? (A Lesbina)
 LESBINA
 Un famiglio di Nardo.
 DON TRITEMIO
 Sente, signor? Del genero un famiglio
 favellarmi desia,
 onde vosignoria,
705s’altra cosa non ha da comandare,
 per cortesia, se ne potrebbe andare.
 RINALDO
 Sì sì, me n’anderò; ma giuro ai numi,
 vendicarmi saprò.
 EUGENIA
                                    Destin crudele!
 Rinaldo, questo cor...
 RINALDO
                                         Taci, infedele.
 
710   Perfida figlia ingrata,
 padre spietato indegno,
 non so frenar lo sdegno,
 l’alma si scuote irata.
 Empio, crudele, audace, (Or all’una, or all’altro)
715pace per me non v’è;
 
    e tu che alimentasti (A Lesbina)
 sinora il foco mio,
 colla speranza, oh dio!
 così tu m’ingannasti?
720L’offeso cor aspetta
 vendetta anche di te.
 
 SCENA VIII
 
 EUGENIA, DON TRITEMIO e LESBINA
 
 LESBINA
 (Obbligata da ver del complimento).
 DON TRITEMIO
 (Ho un tantin di paura).
 EUGENIA
                                               (Ahi, che tormento!)
 DON TRITEMIO
 Orsù, signora pazza,
725ho capito il rossor che cosa sia;
 quel che voglia colui vado a sentire;
 poi la discorrerem. S’ha da finire. (In atto di partire)
 LESBINA
 Sì signor, dite bene. (A don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                                         E tu, fraschetta, (A Lesbina)
 tu alimentasti dell’amante il foco?
730Vado e ritorno; parlerem fra poco.
 
 SCENA IX
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 EUGENIA
 Ah, Lesbina crudele!
 Solo per tua cagion son in periglio.
 LESBINA
 Loderete nel fine il mio consiglio.
 Questa cosa sinor mi pare un gioco;
735non mi perdo da ver per così poco.
 EUGENIA
 Prenditi quest’anello.
 LESBINA
 Eh no, signora mia.
 EUGENIA
 Prendilo o giuro al ciel lo getto via.
 LESBINA
 Ma perché?
 EUGENIA
                         Fu cagione
740che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida.
 Quest’anello omicida
 dinnanzi agli occhi miei soffrir non vuo’.
 LESBINA
 Se volete così, lo prenderò;
 eccolo nel mio dito.
745Che vi par? Mi sta bene?
 EUGENIA
 Ah tu sei la cagion delle mie pene.
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 Oh genero garbato!
 Alla sposa ha mandato
 questo ricco gioiello. (Mostra un gioiello)
750Prendilo, Eugenia mia; guarda s’è bello.
 EUGENIA
 Non lo curo. Signore...
 DON TRITEMIO
                                           Ed io comando
 che tu prender lo debba; il ricusarlo
 sarebe una insolenza.
 EUGENIA
 Dunque lo prendo per obbedienza. (Lo prende)
755Ma... vi chiedo perdono.
 Non mi piace, nol voglio, a te lo dono.
 LESBINA
 Grazie. (Lo prende)
 DON TRITEMIO
                  Rendilo a me.
 LESBINA
                                              Signor padrone,
 sentite una parola; (Piano a don Tritemio)
 se la vostra figliuola
760è meco generosa,
 lo fa perché di voi mi brama sposa.
 DON TRITEMIO
 (Lo crederò?) (A Lesbina)
 LESBINA
                             Signora,
 non è ver che bramate
 che sposa io sia? Nel darmi queste gioie,
765confessatelo pur, vostro pensiero
 non è che sposa sia Lesbina?
 EUGENIA
                                                       È vero.
 DON TRITEMIO
 E tu, che dici? (A Lesbina)
 LESBINA
                              Io dico
 che se il destino amico
 seconderà il disegno,
770le gioie accetto e accetterò l’impegno.
 
    Una ragazza
 che non è pazza
 la sua fortuna
 sprezzar non sa.
 
775   Voi lo sapete,
 voi m’intendete,
 questo mio core
 si scoprirà.
 
    Anche l’agnella,
780la tortorella
 il suo compagno
 cercando va. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 EUGENIA e DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Dunque, giacché lo sai, tel dico anch’io;
 è questi il pensier mio
785dopo che tu sarai fatta la sposa,
 anch’io mi sposerò questa fanciulla.
 Piangi? Sospiri? E non rispondi nulla?
 Son stanco di soffrirti.
 Oggi darai la man. S’ha da finire.
790Se sei pazza, non vuo’ teco impazzire. (Parte)
 EUGENIA
 Pazza a ragion mi chiama
 il genitor crudele,
 se in faccia al mio fedele, al mio diletto,
 ho tradito l’affetto,
795per celar solamente in sen l’arcano,
 ed or mi lagno ed or sospiro invano.
 
    Misera, a tante pene
 come resisto, oh dio!
 Il crudo affanno mio
800ah tollerar non so.
 
    Dov’è l’amato bene?
 Dove s’asconde, o cieli?
 Amor, se non lo sveli,
 più vivere non vuo’. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 NARDO, suonando il chitarino e cantando, e poi RINALDO
 
 NARDO
 
805   Amor, se vuoi così,
 quel che tu vuoi farò,
 io mi accompagnerò
 in pace e sanità;
 ma la mia libertà
810perciò non perderò;
 penare, signor no;
 soffrir, gridare, oibò.
 
    Voglio cantare,
 voglio suonare,
815voglio godere
 fin che si può.
 
 RINALDO
 Galantuomo, siete voi
 quello che Nardo ha nome?
 NARDO
                                                    Signorsì.
 RINALDO
 Cerco appunto di voi.
 NARDO
                                          Eccomi qui.
 RINALDO
820Ditemi; è ver che voi
 aveste la parola
 da don Tritemio per la sua figliuola?
 NARDO
 Sì signore, l’ho avuta;
 la ragazza ho veduta;
825mi piace il viso bello
 e le ho dato l’anello.
 RINALDO
 Sapete voi qual dote
 recherà con tal nozze al suo consorte?
 NARDO
 Ancor nol so...
 RINALDO
                             Colpi, ferite e morte.
 NARDO
830Bagatelle, signor! E su qual banco
 investita sarà, padrone mio?
 RINALDO
 Sul dorso vostro e il pagator son io.
 NARDO
 Buono. Si può sapere
 almen per cortesia
835perché vosignoria
 con generosità
 allo sposo vuol far tal carità?
 RINALDO
 Perché di don Tritemio
 amo anch’io la figliuola,
840perché fu da lei stessa
 la sua fede promessa a me suo sposo;
 perché le siete voi troppo odioso.
 NARDO
 Dite da ver?
 RINALDO
                          Non mentono i miei pari...
 NARDO
 E i pari miei non sanno
845per puntiglio sposare il lor malanno.
 Se la figlia vi vuol, vi prenda pure;
 se mi burla e mi sprezza, io non ci penso;
 so anch’io colla ragion vincere il senso;
 vi ringrazio d’avermi
850avvisato per tempo;
 ve la cedo, signor, per parte mia,
 che già di donne non v’è carestia.
 RINALDO
 Ragionevole siete
 giustamente dal popolo stimato;
855filosofo chiamato con ragione,
 superando sì presto la passione.
 Voi l’avete ceduta. A don Tritemio
 la cosa narrerò tutta com’è;
 e se contrasta, avrà da far con me. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 NARDO, poi LESBINA
 
 NARDO
860Pazzo sarei da vero,
 se a costo d’una lite,
 se a costo di temere anche la morte
 procurar mi volessi una consorte.
 Amo la vita assai;
865fuggo se posso i guai;
 bramo sempre la pace in casa mia;
 e non intendo altra filosofia.
 LESBINA
 Sposo, ben obbligata,
 mi avete regalata;
870anch’io, quando potrò,
 qualche cosetta vi regalerò.
 NARDO
 No no, figliuola cara,
 dispensatemi pur da tal finezza,
 quando ho un poco di bene mi consolo;
875ma quel poco di ben lo voglio solo.
 LESBINA
 Che dite? Io non v’intendo.
 NARDO
                                                    Chiaramente
 dunque mi spiegherò;
 siete impegnata, il so, con altro amico
 e a me di voi non me ne importa un fico.
 LESBINA
880V’ingannate, lo giuro; e chi è codesto
 con cui da me si crede
 impegnata la fede?
 NARDO
                                      È un forestiero
 che mi par cavaliero,
 giovine, risoluto, ardito e caldo.
 LESBINA
885(Ora intendo il mister; sarà Rinaldo).
 Credetemi, v’inganna.
 Vostra sono, il sarò, ve l’assicuro.
 A tutti i numi il giuro;
 non ho ad alcuno l’amor mio promesso;
890son ragazza e ad amar principio adesso.
 NARDO
 Eppure in questo loco,
 tutto amor, tutto foco,
 sostenne il cavaliero
 che voi siete sua sposa.
 LESBINA
                                             Ah non è vero;
895di mendace e infedel non vuo’ la taccia;
 lo sosterrò di tutto il mondo in faccia.
 Qualche error vi sarà, ve lo protesto.
 Tenero core onesto
 per voi serbo nel petto;
900ardo solo per voi di puro affetto.
 NARDO
 (Impossibile par ch’ella m’inganni).
 LESBINA
 Tenera sono d’anni
 ma ho cervello che basta e so ben io
 che divider amor non può il cuor mio.
905Voi siete il mio sposino
 e se amico destino a voi mi dona,
 anche un re lascierei colla corona.
 NARDO
 S’ella fosse così...
 LESBINA
                                  Così è purtroppo;
 ma voi siete pentito
910d’essere mio marito;
 qualch’altra donna amate
 e per questo, crudel, mi discacciate.
 NARDO
 No, ben mio, no, carina.
 Siete la mia sposina; e se colui
915o s’inganna, o m’inganna o fu ingannato
 dell’inganno sarà disingannato.
 LESBINA
 Dunque mi amate?
 NARDO
                                       Sì, v’amo di core.
 LESBINA
 Siete l’iddolo mio.
 NARDO
                                    Siete il mio amore.
 
 SCENA XIV
 
 LENA e detti
 
 LENA
 Signor zio, signor zio, che cosa fate?
920Lontano discacciate
 colei che d’ingannarvi ora s’impegna;
 d’essere vostra sposa non è degna.
 LESBINA
 (Qualche imbroglio novello).
 NARDO
                                                       Hai forse altrui
 data la fé di sposa?
 LENA
                                      Eh signor no.
925Quel ch’io dico lo so per cosa vera;
 ella di don Tritemio è cameriera.
 LESBINA
 (Ah maledetta!)
 NARDO
                                 È ver quel ch’ella dice? (A Lesbina)
 LESBINA
 Ah misera, infelice!
 Compatite se tanto
930amor mi rese ardita.
 Finsi il grado, egli è ver, perché v’adoro;
 per voi languisco e moro;
 confesso il mio fallire
 ma voglio esser vostra oppur morire.
 NARDO
935(Poverina).
 LENA
                        Vi pare
 che convenga sposare
 ad un uom come voi femmina tale?
 NARDO
 Non ci vedo alcun male.
 Per me nel vostro sesso
940serva o padrona sia, tutto è lo stesso.
 LESBINA
 Deh per pietà donate
 perdono all’error mio.
 NARDO
 Se mi amate di cor, v’adoro anch’io.
 Per me sostegno e dico,
945ed ho la mia ragione,
 che sia la condizione un accidente.
 Sposar una servente
 che cosa importa a me, se bella e buona;
 peggio è assai se cattiva una padrona.
 
950   Se non è nata nobile
 che cosa importa a me;
 di donna il miglior mobile
 la civiltà non è;
 il primo è l’onestà;
955secondo è la beltà;
 il terzo è la creanza;
 il quarto è l’abbondanza;
 il quinto è la virtù;
 ma non si usa più.
 
960   Servetta graziosa,
 sarai la mia sposa,
 sarai la vezzosa
 padrona di me.
 
 SCENA XV
 
 LESBINA e LENA
 
 LENA
 Mio zio, ricco sfondato,
965non si puole scordar; che vile!
 LESBINA
 Signora, mi rincresce
 ch’ella sarà nipote
 d’una senza natali e senza dote.
 LENA
 Certo che il zio poteva
970maritarsi con meglio proprietà.
 LESBINA
 Che nella nobiltà
 resti pregiudicato
 certamente è un peccato. Imparentarmi
 arrossire dovrei,
975con una contadina come lei.
 LENA
 Son contadina, è vero,
 ma d’accasarmi spero
 con un uomo civil, poiché del pari
 talor di nobiltà vanno i denari.
 LESBINA
980Udita ho una novella
 d’un somar che solea