Il filosofo di campagna, libretto, Mannheim, Stamperia Elettorale, 1756

                                   Non lo so.
 
 NARDO
 
 Se n’è ita?
 
 DON TRITEMIO
 
                       Se n’andò!
 
 CAPOCCHIO
 
1165Due contratti?
 
 DON TRITEMIO
 
                              Signor no.
 
 CAPOCCHIO
 
    Casso Eugenia cum etcaetera
 non sapendosi etcaetera
 se sia andata o no etcaetera.
 
 TUTTI
 
    Oh che caso, oh che avventura!
1170Si sospenda la scrittura,
 che dopoi si finirà.
 
    Se la figlia fu involata,
 a quest’ora è maritata.
 E presente la servente,
1175quest’ancor si sposerà.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Luogo campestre con casa rustica di Nardo.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Misera! A che m’indusse
 un eccesso d’amor? Tremo, pavento.
 Parlar mi sento al core,
 giustamente sdegnato, il genitore.
 RINALDO
1180Datevi pace; alfine
 siete con chi v’adora;
 siete mia sposa.
 EUGENIA
                                Ah non lo sono ancora.
 RINALDO
 Venite al tetto mio; colà potrassi
 compire al rito e con gli usati modi
1185celebrare i sponsali.
 EUGENIA
                                       Ove s’intese
 che onesta figlia a celebrare andasse
 dello sposo in balia nozze furtive?
 No, non fia ver, Rinaldo;
 ponetemi in sicuro;
1190salvatemi l’onore
 o pentita ritorno al genitore.
 RINALDO
 Tutto farò, per compiacervi, o cara.
 Eleggete l’albergo ove pensate
 d’essere più sicura.
1195L’onor vostro mi cale, io n’avrò cura.
 
 SCENA II
 
 LA LENA di casa e detti
 
 LA LENA
 Questa, se non m’inganno,
 di don Tritemio è la figliuola.
 EUGENIA
                                                        Dite,
 pastorella gentile, è albergo vostro
 questo di dove uscite?
 LA LENA
                                           Sì signora.
 EUGENIA
1200Altri vi son?
 LA LENA
                          Per ora
 altri non v’è che io
 ed un uomo da ben, qual è mio zio.
 EUGENIA
 Siete voi maritata?
 LA LENA
 Sono fanciulla ancora
1205ma d’esserla son stanca.
 RINALDO
 (Sia malizia o innocenza, ella è assai franca).
 EUGENIA
 D’una grazia pregarvi
 vorrei, se nol sdegnate.
 LA LENA
 Dite pur, comandate.
 EUGENIA
1210Vorrei nel vostro tetto
 passar per un momento.
 LA LENA
 Sola passate pur, che mi contento.
 RINALDO
 Perché sola? Son io,
 pastorella gentile, il di lei sposo.
 LA LENA
1215Davvero? Compatite,
 ho ancor qualche sospetto.
 Perché non la menate al vostro tetto?
 RINALDO
 Vi dirò...
 EUGENIA
                    Non ancora
 son contratti i sponsali.
1220Correr una bugia lasciar non voglio.
 LA LENA
 Me n’avvidi che v’era un qualche imbroglio.
 EUGENIA
 Deh per pietà vi prego...
 LA LENA
 Che sì, che al genitore
 l’avete fatta bella?
 EUGENIA
1225Amabil pastorella,
 voi non sapete al core
 quanto altero comandi il dio d’amore.
 LA LENA
 (Mi fa pietà). Sentite,
 v’offro l’albergo mio ma con un patto
1230che subito sul fatto
 in mia presenza e d’altro testimonio
 si faccia e si concluda il matrimonio.
 EUGENIA
 Sì sì, ve lo prometto.
 Andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
 LA LENA
1235Precedetemi voi, quella è la strada.
 EUGENIA
 Andiam, Rinaldo amato.
 L’innocente desio seconda il fatto.
 
    Che più bramar poss’io?
 Che più dal cielo aspetto?
1240Andrò col mio diletto
 la pace ad incontrar.
 
    Del genitore alfine
 si placherà lo sdegno.
 Amor prenda l’impegno
1245quest’alme a consolar. (Entra in casa di Nardo)
 
 SCENA III
 
 RINALDO e LA LENA
 
 RINALDO
 Ninfa gentile, al vostro cor son grato.
 In braccio al mio contento
 per voi andrò... (In atto di partire)
 LA LENA
                                Fermatevi un momento.
 Se grato esser volete,
1250qualche cosa potete
 fare ancora per me.
 RINALDO
                                       Che non farei
 per chi fu sì pietosa a’ desir miei?
 LA LENA
 Son contadina, è vero.
 Ma ho massime civili e buona dote;
1255son di Nardo nipote,
 maritarmi vorrei con civiltà.
 Da voi, che siete un cavalier compito,
 secondo il genio mio spero un marito.
 RINALDO
 Ritrovar si potrà.
 LA LENA
                                  Ma fate presto;
1260se troppo in casa resto
 col zio, che poco pensa alla nipote,
 perdo e consumo invan la miglior dote.
 
    Ogn’anno passa un anno,
 l’età non torna più;
1265passar la gioventù
 io non vorrei così,
 ci penso notte e dì.
 
    Vorrei un giovinetto,
 civile, graziosetto,
1270che non dicesse un no,
 quand’io gli chiedo un sì. (Entra nella casa suddetta)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Di Nardo nell’albergo,
 che fu già mio rival, ci porta il fato
 ma Nardo ho ritrovato
1275meco condiscendente e non pavento;
 ed ho cuor d’incontrare ogni cimento.
 
    Guerrier, che valoroso
 nell’assalir si veda,
 quand’ha in poter la preda
1280perderla non saprà.
 
    Pianti, fatiche e stenti
 mi costa l’idol mio.
 Barbaro fatto e rio
 tormela non potrà. (Entra nella casa suddetta)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO e poi LA LENA
 
 DON TRITEMIO
1285Figlia, figlia, sgraziata,
 dove sei? Non ti trovo; ah se Rinaldo
 mi capita alle mani
 lo vuo’ sbranar, come fa l’orso i cani,
 invan l’ho ricercato al proprio albergo;
1290sa il cielo se il briccon se l’ha nascosta
 o se via l’ha menata per la posta.
 Son fuor di me; son pieno
 di rabbia e di veleno.
 Se li trovassi, li farei pentire.
1295Li vuo’ trovar, se credo di morire.
 LA LENA
 Signor, che cosa avete
 che sulle furie siete?
 Fin là dentro ho sentito
 che siete malamente inviperito.
 DON TRITEMIO
1300Ah! Son assassinato.
 M’han la figlia involato;
 non la trovo, non so dov’ella sia.
 LA LENA
 E non vi è altro?
 DON TRITEMIO
                                 Una minchioneria!
 LA LENA
 Eugenia, vostra figlia,
1305è in sicuro, signor, ve lo prometto.
 E collo sposo suo nel nostro tetto.
 DON TRITEMIO
 Là dentro?
 LA LENA
                       Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Collo sposo!
 LA LENA
                         Con lui.
 DON TRITEMIO
                                          Ma Nardo dunque...
 LA LENA
 Nardo, mio zio, l’ha a caro.
1310Per ordin suo vo a prender il notaro. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 DON TRITEMIO, poi NARDO
 
 DON TRITEMIO
 Oh questa sì ch’è bella,
 Nardo, a cui l’ho promessa,
 me l’ha fatta involar? Per qual ragione.
 Sì sì, l’ha fatta da politicone.
1315Eugenia non voleva...
 Rinaldo pretendeva...
 Ei l’ha menata via.
 Anche questa sarà filosofia.
 NARDO
 Io creppo dalle risa.
1320Oh che caso ridicolo e giocondo!
 Oh che gabbia de pazzi è questo mondo!
 DON TRITEMIO
 (Eccolo qui l’amico). (Vedendo Nardo)
 NARDO
                                         (Ecco il buon padre).
 DON TRITEMIO
 Galantuomo, che fa la figlia mia?
 NARDO
 Bene, al comando di vossignoria.
 DON TRITEMIO
1325Rapirmela mi pare
 una bella insolenza.
 NARDO
 La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
 DON TRITEMIO
 E lei, quella sfacciata,
 cosa dice di me.
 NARDO
                                Non dice niente.
 DON TRITEMIO
1330Non teme il padre?
 NARDO
                                      Non l’ha neanco in mente.
 DON TRITEMIO
 Basta, chi ha fatto il male
 farà la penitenza.
 Dote non ne darò certo, certissimo.
 NARDO
 Sì sì, fate benissimo.
1335Stimo que’ genitori,
 cui profittan dei figli anco gli errori.
 DON TRITEMIO
 Dov’è? La vuo’ veder.
 NARDO
                                          Per ora no.
 DON TRITEMIO
 Eh lasciatemi andar...
 NARDO
                                           Ma non si può.
 DON TRITEMIO
 La volete tener sempre serrata?
 NARDO
1340Sì, finch’è sposata.
 DON TRITEMIO
 Questa è una mala azion che voi mi fate.
 NARDO
 No, caro amico, non vi riscaldate.
 DON TRITEMIO
 Mi riscaldo, perché
 si poteva con me meglio trattare.
1345Se l’aveva promessa,
 lo sposo aveva le ragioni sue.
 NARDO
 I sposi erano due;
 v’erano dei contrasti, onde per questo
 quel che aveva più amor fatto ha più presto.
 DON TRITEMIO
1350Io l’ho promessa a voi.
 NARDO
 Ma lei voleva il suo Rinaldo amato.
 DON TRITEMIO
 Ma questo...
 NARDO
                          Orsù quello ch’è stato è stato.
 DON TRITEMIO
 È ver; non vuo’ impazzire;
 l’ho trovata alla fine e ciò mi basta.
1355Dopo il fatto si loda.
 Chi l’ha avuta l’ha avuta e se la goda.
 
    Da me non speri
 d’aver un soldo,
 se il manigoldo
1360vedessi lì.
 
    Se se n’è andata,
 se si è sposata,
 da me non venga,
 non verrò qui.
 
1365   Chi ha avuto ha avuto;
 chi ha fatto ha fatto,
 non son sì matto,
 non vuo’ gettare,
 non vuo’ dotare
1370la figlia ardita
 che se n’è gita
 da me così. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi LA LENA e CAPOCHIO notaro
 
 NARDO
 A Rinaldo per ora
 basterà la consorte,
1375poi dopo la sua morte il padre avaro
 a suo dispetto lascierà il denaro.
 LA LENA
 Venite a stipulare
 delle nozze il contratto. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
 Eccolo qui, l’avevo mezzo fatto.
 NARDO
1380Andate in casa mia,
 l’opera terminate.
 L’ordine seguitate
 dei due sponsali in un contratto espressi
 colle stesse notizie e i nomi stessi.
 CAPOCCHIO
1385Sì signor, si farà.
 Ma poi chi pagherà?
 NARDO
                                        Bella domanda!
 Pagherà chi è servito e chi comanda.
 LA LENA
 Sentite, se si fanno
 scritture in casa mia,
1390voglio la senseria.
 CAPOCCHIO
                                   Come?
 LA LENA
                                                   Dirò,
 se mi mariterò,
 come spero di farlo prestamente,
 la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
 
 SCENA VIII
 
 NARDO e CAPOCCHIO
 
 CAPOCCHIO
 Vostra nipote è avara, come va.
 NARDO
1395Credetemi, lo fa senza malizia;
 delle donne un costume è l’avarizia.
 CAPOCCHIO
 Son lente nello spendere,
 egli è vero, ma son leste nel prendere.
 
    Voi che filosofo
1400chiamato siete,
 dirmi saprete
 come si dia
 di simpatia
 forza e virtù.
 
1405   La calamita
 tira l’acciaro.
 Tira l’avaro
 l’oro ancor più. (Entra in casa)
 
 SCENA IX
 
 NARDO, poi LESBINA
 
 NARDO
 Nato son contadino,
1410non ho studiato niente
 ma però colla mente
 talor filosofando a discrezione
 trovo di molte cose la ragione.
 E vedo chiaramente
1415che interesse, superbia, invidia e amore
 hanno la fonte lor nel nostro cuore.
 LESBINA
 Ma capperi! Si vede,
 affé, che mi volete poco bene.
 Nel giardino v’aspetto e non si viene.
 NARDO
1420Un affar di premura
 m’ha trattenuto un poco.
 Concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
 Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
1425e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Ma se Eugenia fugì...
 NARDO
                                         Fu ritrovata.
 Là dentro è ricovrata
 e si fa con Rinaldo l’istrumento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
1430Dunque, quand’è così, facciamo presto.
 Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
 (Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate;
 prima che mia voi siate,
1435a voi vuo’ render note
 alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
 Qual dote dar vi possa
 voi l’intendeste già.
 Affetto ed onestà,
1440modesta ritrosia
 ed un poco di buona economia.
 NARDO
 Così mi basta e appunto
 di questo capital, che apprezzo molto,
 intendo ragionar.
 LESBINA
                                   Dunque vi ascolto.
 NARDO
1445In primis che l’affetto
 non sia troppo né poco,
 perché il poco non basta e il troppo annoia;
 e la mediocrità sempr’è una gioia.
 LESBINA
 Com’ho da regolarmi,
1450per star lontana dagli estremi?
 NARDO
                                                          Udite,
 per fuggir ogni lite,
 siate amorosa, se il marito è in vena;
 non lo state a seccar, se ha qualche pena.
 LESBINA
 Così farò.
 NARDO
                     Sul punto
1455della bella onestà
 non v’è mediocrità. Sia bella o brutta,
 la sposa d’un sol uom dev’esser tutta.
 Circa l’economia potrete qui
 regolarvi così:
1460del marito il voler seguire ognora
 e non far la padrona e la dottora.
 LESBINA
 Così farò, son della pace amica;
 obbedirvi sarà minor fatica.
 NARDO
 Or mi sovvien che un altro capitale
1465m’offeriste di lingua.
 LESBINA
                                         È ver.
 NARDO
                                                       Se questo
 mi riuscirà molesto,
 in un più necessario il cambierò.
 LESBINA
 Ho inteso il genio vostro.
 Non vi sarà pericolo
1470che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
 NARDO
 Quand’è così, mia cara,
 porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
 invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
1475   Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
 deh testimon voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
    Alberi, piante e fiori
1480i vostri ardori ascosi
 insegnino a due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
 «Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
1485   Dice la terra e l’onda:
 «Ama la sposa ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella
 vezzosa e bella
 solo il compagno
1490cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
 due piante unite
 ai sposi insegnano
 la fedeltà.
 
 LESBINA
 
1495   Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
    Rondone fido
1500nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto,
 vite amorosa,
 diletta sposa.
 
 A DUE
 
1505   Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor.
 
    No, non si trova,
1510no, non si prova
 più bella pace,
 più caro ardor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito?
 Di Lesbina il marito
1515pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
 colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
 Quel che pensar non so;
1520all’uscio picchierò. Verranno fuori;
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA XI
 
 LA LENA e detto
 
 LA LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
 cosa si fa là dentro?
 LA LENA
 Finito è l’istrumento;
1525si fan due matrimoni.
 Tra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi? Quai son?
 LA LENA
                                               La vostra figlia
1530col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LA LENA
 E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina? Oimè; no non lo credo.
 LA LENA
1535Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ahi! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
1540   Perfidi scelerati,
 vi siete accomodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
 Che bella carità!
 
 LA LENA
 
1545   Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
1550Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegeio da rappresentarsi in Trieste l’autunno dell’anno MDCCLV, dedicato a sua eccellenza Rudolfo Choteck, del sacro romano impero, conte di Chotkowa e Wognin, signore di Janiowes e Auholitz, di sua maestà imperadrice, regina d’Ungheria e Boemia, attuale intimo consigliere di stato, gentiluomo di camera, presidente della ministerial bancale deputazione e supremo direttore del commerzio, signore, signore e patrone graziosissimo.
    In Venezia, con licenza de’ superiori.
 
 Eccellenza,
    mentre per onesto trattenimento di questa nobilissima città di Trieste espongo su le scene il presente giocoso dramma, io ardisco offerirlo all’eccellenza vostra e porgli in fronte il suo nome rispettabilissimo, come quegli che saprà recare al medesimo quel pregio onde va interamente privo e rendere il trattenimento stesso più dilettevole e grato a’ spettatori eziandio, se scompagnato in tal guisa non è della sua graziosissima protezione.
    Io ben scorgo che questa mia offerta non è in conto alcuno conforme alla grandezza dell’animo suo e che di troppo m’avvanzo recando a lei un dono troppo disuguale alla magninimità de’ suoi pensieri; ma non pertanto ell’è una particolare qualità di chi ripose il cielo in grande altezza non isdegnare i tributi dell’umiltà, se questi vadano uniti col rispetto di quello che gli presenta.
    Tale fu lo stimolo ch’ebbi ed il motivo che spinsemi a cercare l’alto favore dell’eccellenza vostra, al che, se aggiungasi il riflesso da me fatto sopra il suo carattere gentile e generoso quanto mai pensare si possa, dirò, senza timore d’offenderla, ch’egli fu quel desso che presentemente m’affida e rendemi quasi certo che, sebben tenue e basso sia il dono che umilmente le presento, questi però verrà accettato cortesemente dall’eccellenza vostra e riguardato con quella grandezza d’animo ch’è propria de’ nobilissimi pari suoi ma che in lei in sublime grado brilla e risplende.
    Questa rara dote fu sempre il più bel pregio di que’ della sua illustre prosapia e quella fu che costituì negli avi suoi famosi altrettanti eroi, le di cui gesta palesi per la storia, e celebrate dalla fama, svegliano nella memoria de’ posteri l’ammirazione e la riverenza. I fasti germanici sono l’immortal libro della gloria ove si trovan elleno registrate; ma quella luce che per esse le viene tramandata serve più d’emulazione all’eminenza vostra che di nobile manto onde adornarsi, giacch’ella non cerca di trarre merito alcuno dalle azioni de’ trapassati ma bensì dalle sue proprie, operando in maniera che queste contribuiscano a procacciarle quella stima e quella venerazione che rapporto ai cospicui personaggi diviene il premio della virtù e del vero onore.
    Da ciò sono derivati i favori che l’eccellenza vostra ha ottenuti dalla clemenza e liberalità de’ suoi augusti sovrani, gli onorevoli e sublimi impieghi con tanto suo onore esercitati ne’ tempi più perigliosi della guerra e fra la tranquilità della pace e l’illustre incombenza ond’ella presentemente è incaricata, per cui questa nobilissima città di Trieste, che gode i frutti della sua solecitudine, ne plaude con voci di gioia e con i più sinceri sentimenti del cuore.
    Ma in riguardo mio, giovami intanto che la buona sorte ora mi riponga nel novero di quelli che sperimentano gli effetti del suo cuore generoso e del suo alto padrocinio. Valeranno gli uni e l’altro a rendermi ammiratore sempre più delle adorabili qualità dell’eccellenza vostra e col più vivo del cuore ad ambire la gloria che in me può derivare dall’essere perpetuamente dell’eccellenza vostra umilissimo, devotissimo, ossequiosissimo e obbligatissimo servitore.
 
    Prospero Olivieri impressario
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (la signora Maria Bianchi)
 RINALDO gentiluomo amante di Eugenia
 (la signora Teresa Venturelli detta la Carbonarina, virtuosa di sua altezza serenissima l’elettore di Baviera)
 
 PARTI BUFFE
 
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Leopoldo Burgioni)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (la signora Francesca Santarelli Bovini)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Petronio Manelli)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Angiola Porri)
 CAPOCCHIO nodaro della villa
 (il signor Pietro Leonardi)
 
    La musica è del celebre signor Baldassare Galuppi detto il Buranello. Il vestiario è opera ed invenzione del signor Isaco Calimani.
 
 BALLERINI
 
    La signora Malgherita Morelli, la signora Giacomina Bonomi, la signora Elisabetta Morelli, il signor Giovanni Battista Nichili, il signor Giuseppe Forti, il signor Domenico Morelli.
    Inventore e direttore de’ balli il signor Giovanni Battista Nichili.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: giardino; casa rustica in campagna; salotto con diverse porte.
    Atto secondo: camera; casa rustica sudetta; camera sudetta.
    Atto terzo: casa rustica sudetta.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini. LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vera rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori;
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza.
 S’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfugir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua, dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mel nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah! Mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                 Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Se perde il caro lido
 sopporta il mar che freme.
55Lo scoglio è quel che teme
 il misero nochier.
 
    Lontan dal caro bene
 soffro costante e peno
 ma questo cuore almeno
60rimanga in mio poter.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padrona!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
80Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
90Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
110or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogn’erba si contenti
120d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
140liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
145Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,